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Quelle trecentomila lire per Caprera

Articolo dello scrittore Antonio Ciotta.

Quando all’inizio del 1887, in esecuzione del R.D. 3 novembre 1886, si pose il problema dell’espropriazione di gran parte dei terreni dell’isola di Caprera per realizzare “le opere a scopo dei servizi militari marittimi da eseguirsi nell’arcipelago di La Maddalena” occorrenti per la grande base navale che vi si stava installando, gran parte dell’isola venne provvisoriamente occupata nell’interesse della difesa dello Stato senza preventivamente stabilire l’indennità, ma col tacito consenso degli eredi di Giuseppe Garibaldi, ed in particolare di Menotti. Solo con dispaccio del 17 febbraio 1890, il Ministero della Marina, su sollecitazione dei Garibaldi, ordinò alla Direzione del Genio Militare di La Maddalena di “…regolare quella occupazione mercé due perizie, l’una per i terreni già occupati e l’altra per quelli a doversi occupare”.

I tecnici del Genio elaborarono le due relazioni estimative dalle quali risultò attribuito a tutti i terreni degli eredi dell’Eroe un valore complessivo di £. 272.434. Ma poiché era necessario concludere l’esproprio nel più breve tempo possibile, stante l’urgenza di eseguire i lavori di fortificazione, dopo una serie di trattative fra il rappresentante del Ministro della Marina e gli eredi Garibaldi si pervenne alla stipula di una convenzione che fu sottoscritta a Caprera il 2 giugno 1890. L’isola veniva ceduta per il prezzo di £. 300.000 escludendo dall’esproprio “la casa, la tomba ed i terreni annessi, ossia frutteto, aranceto, oliveto cinti da muro a secco, nonché una zona sul versante verso La Maddalena delimitata da muro a secco, comprese le tre case del pastore ed i due molini a vento che la famiglia Garibaldi cedono e donano alla Nazione riservandosi l’uso come conferma al progetto di donazione”.

La donazione era già stata decisa dagli eredi fin dal 9 giugno 1882, ma la cosa non aveva poi avuto attuazione in quanto fra gli aventi diritti vi erano anche Manlio e Clelia, allora minorenni, che, in quanto tali non avrebbero avuto la capacità giuridica di donare la loro parte dell’isola allo Stato, né il tribunale avrebbe autorizzato il loro tutore a privarsi di una proprietà se non a titolo oneroso.

La convenzione era stata preceduta da un compromesso, che non fu mai sottoscritto e che non ebbe poi completa attuazione, nel quale, tra l’altro veniva stabilito che “Ai Membri della famiglia del Generale GIUSEPPE GARIBALDI è riservato il diritto, allorché si rechino a CAPRERA, di abitare nella casa attigua alla tomba del Generale GARIBALDI, e la facoltà altresì di farsi seppellire accanto ai sacri avanzi del glorioso CAPO della loro famiglia”.

L’esproprio di Caprera non interessò soltanto i terreni dei Garibaldi in quanto parte dell’isola era di proprietà comunale, alcuni lotti si appartenevano a privati, compreso la stesso Ricciotti che nel 1875 aveva acquistato in proprio quattro lotti a Punta Galera, e molti lotti, già appartenuti a concessionari decaduti dal beneficio della divisione delle terre del 1848, o inadempienti al pagamento delle imposte, erano passati al Comune o al Demanio.

Nel settembre del 1891 Ricciotti propose di sistemare la vertenza mediante la permuta dei beni della famiglia Garibaldi con altri beni demaniali nell’arcipelago ai quali venne attribuito un valore di £. 1.500.000; ma sentito il parere dell’Avvocatura Generale Erariale e della Presidenza del Consiglio dei Ministri, fu deciso di non accettare tale proposta e di procedere alla definitiva espropriazione per pubblica utilità in base alla legge 25 giugno 1865 e secondo il prezzo già convenuto di £. 300.000.

Il 26 marzo 1892 il ministero della Marina, dunque, esaurito l’iter burocratico dell’esproprio, con decreto del 17 febbraio 1892 provvide a depositare l’indennità di £. 300.000 presso la Cassa Depositi e Prestiti con polizza n. 3155 ed a seguito di tale deposito il Prefetto, con successivo decreto del 19 aprile 1892, emetteva il definitivo provvedimento di esproprio. Senonchè Teresita Garibaldi, che nella convenzione del 2 giugno 1892 era stata rappresentata dal marito Stefano Canzio, eccepì che il coniuge era intervenuto a sua insaputa ed aveva sottocritto la cessione senza il suo esplicito assenso, per cui: “…protestando di non aver mai dato autorizzazione per determinarsi in via amichevole la indennità affermata nel decreto prefettizio, a cui perciò si opponeva, domandava che nel di lei interesse fosse accertato con perizia il congruo e giusto prezzo dell’isola espropriata”.

L’opposizione formulata da Teresita e la citazione notificata dalla medesima al Ministro della Marina, al Direttore Generale del Tesoro dello Stato e al Prefetto di Sassari il 23 e il 24 luglio 1892, rimetteva in dicussione, l’ammontare complessivo dell’indennità ed aveva prodotto l’effetto di ritardare la definitiva occupazione dei terreni espropriati avendo l’Avvocatura Erariale espresso il parere che “pendente questa causa” non si dovesse cambiare nulla dello stato delle cose per lasciare la facoltà all’Amministrazione di restituire parte dei terreni espropriati piuttosto che pagare un supplemento d’indennità.

Il tribunale di Tempio si pronunciò con sentenza del 13 dicembre 1892, con la quale, dopo aver posto fuori causa il direttore del Tesoro e il Prefetto di Sassari, riteneva non efficace la sottoscrizione della convenzione da parte di Canzio e accoglieva pertanto l’istanza dell’opponente nominando periti gli ingegneri Edoardo Sangiust di Cagliari, Giuseppe Bossolino di Sassari e Pietro Corda di Tempio ai quali, in forma collegiale, veniva dato il seguente incarico: ”…prestato prima il giuramento davanti al Presidente, si rechino sui luoghi in controversia e tenuti presenti gli atti della causa, l’art. 9 della legge sulle espropriazioni per causa di pubblica utilità, e le osservazioni delle parti, accertino e riferiscano: 
Qual’è il giusto prezzo di terreni della Isola di Caprera occupati dal Ministero della Marina specificando la estensione del suolo, la natura, la coltivazione ed i miglioramenti di esso; e manifestando quali i criteri adottati nel fissare il valore di detti terreni.
Di tutto daranno relazione, che nel termine di due mesi dalla prestazione del giuramento depositarenno nella cancelleria di questo Tribunale”.

Ovviamente la dichiarata nullità della sottoscrizione di Stefano Canzio rendeva implicitamente inefficace la donazione della restante parte di Caprera fatta dagli eredi, che non veniva pertanto accettata dallo Stato anche perché la convenzione, stavolta firmata anche da Clelia, non poté essere sottoscritta da Manlio perché ancora minorenne.

Il tribunale, tuttavia, all’insegna del “dura lex sed lex”, alla pretese avanzate in causa da Teresita e dal suo difensore secondo i quali i terreni di Caprera, a parte il valore intrinseco, avevano un grande valore affettivo del quale doveva essere tenuto conto nella stima, a scanso che i periti confondessero il sacro col profano, aveva chiaramente fatto intendere il suo parere: ”Erra la Sig. Teresita – aveva scritto in sentenza il presidente relatore Giuseppe Angeri – nel pretendere che la stima dell’isola espropriata debba farsi in base ai di lei delicati sentimenti. Anche i di lei fratelli, la sorella Clelia, la madre, ed il medesimo di lei marito Generale Canzio erano animati dagli stessi sentimenti quando consentirono la cessione, e pure si tennero soddisfatti del prezzo offerto dal Ministero. Ben dice la di costei difesa, che quel luogo sacro alla patria, nel quale riposano le ceneri del grande condottiero dei popoli verso la libertà e la indipendenza ha un valore immenso ed incommensurabile tanto nel cuore della famiglia Garibaldi, quanto nel cuore d’ogni italiano, ma non si deve esagerare tanto più che la espropriazione non servirà a distrarre quel luogo dalla religione della Nazione, ma anzi è destinato ad ergervi sul mare un baluardo contro gli attacchi dei nemici, e dove lo spirito del fatidico Duce risplenderà sempre innanzi ai difensori della patria, e come in di lui presenza cadevano gli eserciti nemici ed oppressori, così si sbaraglieranno innanzi alla sua tomba le avverse armate.
Rispettabilissimi adunque i sentimenti nobili ed elevati della Signora Teresita, ma non meno rispettabile il comando della legge, la quale in modo assoluto all’art. 39 ordina così:
– nei casi di occupazione totale, la indennità dovuta all’espropriato consisterà nel giusto prezzo, che a giudizio dei periti avrebbe avuto l’immobile in una libera contrattazione di compra-vendita”.

Fu forse questa solenne e accorata motivazione, o forse più realisticamente l’impossibilità di sostenere l’onere economico di una perizia collegiale, che dissuase Teresita dal proseguire nell’azione. La sentenza, dunque, non fu mai messa in esecuzione e ciò, come vedremo, avrà i suoi effetti al momento della spartizione delle 300.000 lire che, stante la tempestiva opposizione, continuavano a rimanere depositate.

Gli eredi erano comunque convinti che l’indennità (sulla quale frattanto era venuta a gravare una lunga sequela di pignoramenti per debiti contratti da Menotti e Ricciotti con la Banca Nazionale e numerosi privati), andasse spartita in parti uguali. Le trattative per la divisione di quella somma si protrassero ancora per due anni finché Francesca, decisa a far valere i suoi diritti e ad entrare in possesso della quota a lei spettante, con atto di citazione del dicembre 1894, non esitò a chiamare tutti in giudizio, compresi i figli Manlio (ora maggiorenne) e Clelia, quest’ultima rappresentata dal marito prof. Vittorio Graziadei, dal quale si separerà dopo pochi anni di matrimonio.

Questa prima scaramuccia legale si concluse a favore di Francesca; il tribunale di Tempio, difatti, dopo poco più di un mese, con sentenza pronunciata il 29 gennaio 1895, assegnò alla vedova Garibaldi la somma di £. 150.000, cioè la metà dell’intera indennità di esproprio, con facoltà di ritirarla. Nulla disposero i giudici tempiesi in ordine alla divisione fra i cinque figli della somma restante, sia perchè la causa verteva unicamente sulla determinazione della quota da attribuire a Francesca, sia perché rimaneva sempre pendente l’opposizione fatta da Teresita dalla quale si sperava potesse sortire un più favorevole indennizzo; l’altra metà delle 300.000 lire, pertanto, continuò a rimanere ancora bloccata presso la Cassa Depositi e Prestiti.

La definitiva e totale occupazione di Caprera, su conforme parere dell’Avvocatura Erariale, che, come abbiamo visto, aveva a suo tempo suggerito di soprassedere, fu decisa nel maggio-giugno del 1896. Il 27 febbraio 1897 fu compilato il relativo verbale ed in quell’occasione fu anche stabilito di continuare a concedere gratuitamente fino a tutto il 1898 il pascolo ai pastori della famiglia Garibaldi la quale era in parte proprietaria del bestiame.

Frattanto, poiché la somma di £. 150.000, sulla quale gravavano i pignoramenti, continuava a rimanere depositata, ad investire ulteriormente della vicenda lo stesso tribunale di Tempio, fu il cav. Davide Sanguinetti di Roma, debitore degli eredi in forza di una sentenza del tribunale di Roma in data 22/23 giugno 1898 con la quale: “…i fratelli Menotti e Ricciotti nonché la moglie di quest’ultimo Costanza Hopcraft erano stati condannati a pagare in favore di Sanguinetti Davide la somma di lire 8.915,90, interessi e spese ed il Sanguinetti in virtù di tale sentenza insinuava nel 30 maggio 1890 al n. 2744, vol. 18 formalità, nella Conservatoria di Tempio, ipoteca sull’isola di Caprera spettante per due quinte parti pro indiviso ai detti fratelli Garibaldi. Codesta ipoteca, però, conserva il suo effetto per la sola quinta parte spettante al Menotti, mentre per la porzione di Ricciotti venne consentita la cancellazione”.

Il Sanguinetti chiedeva pertanto che l’ipoteca a suo tempo iscritta sul terreno venisse ora a gravare sulla quota di indennità spettante a Menotti e che su di essa venisse aperto il giudizio di graduazione sul quale insinuare il proprio credito. Si costituirono in causa soltanto Teresita Garibaldi, l’amministrazione della Marina e il Prefetto, i quali: “…associati nell’identico argomento di difesa, alle avversarie pretese del Sanguinetti, oppongono che il medesimo non può attualmente sperimentarle, mentre è ancora in vita la opposizione che la Garibaldi Teresita fece contro la indennità controversa, ostandovi l’art. 55 della legge 25 giugno 1865 il quale statuisce che l’ordine di pagamento della indennità, allora solo può decretarsi, quando essa sia rimasta definitiva di fronte a tutti; ciò che non sarebbe nella specie non avendo la Garibaldi Teresita accettata la indennità concordata dai di lei condomini dell’isola espropriata, ed anzi essendosi con la sopracalendata sentenza del 13/14 dicembre 1892 di questo Tribunale ordinato che venisse fissata, per mezzo di perizia, essa indennità non potrebbe dirsi definitiva di fronte alla Teresita, e quindi di fronte a tutti come prescrive il citato art. 55, perchè di essa possa esserne ordinato il pagamento”.

A tali argomentazioni la difesa del Sanguinetti eccepì che: “…la indennità di che è parola deve ritenersi definitivamente stabilita anche di riscontro alla convenuta Garibaldi, dappoiché essa intervenne nel giudizio di divisione della indennità medesima, quale venne iniziato dalla vedova del generale Garibaldi e finì con la sentenza del 28/29 gennaio 1895, addimostrando col fatto di essere addivenuta alla divisione, di averla accettata così come era stata precedentemente concordata, e di avere rinunziato alla opposizione da lai fatta sull’ammontare di essa”.

Il tribunale tagliò corto in favore del Sanguinetti e, dopo aver stabilito che la residua somma depositata andava divisa in cinque parti e aver quantificato in £. 30.000 la quota spettante a Menotti, osservava che: “…comunque non definitivamente stabilita in confronto della convenuta Garibaldi Teresita la indennità dell’Isola di Caprera, deve però ritenersi definitiva rispetto agli altri condomini di lei fratelli e sorella i quali tutti efficacemente, e quindi irrevocabilmente per la loro quota la concordarono con l’atto 2 giugno 1890; deve ritenersi essa indennità definitivamente fissata rispetto al Garibaldi Menotti. e trasportandosi per l’art. 52 della citata legge il credito ipotecario del Sanguinetti sulla porzione di indennità del fondo ipotecato ed espropriato spettante al debitore Menotti Garibaldi, il Sanguinetti può pel successivo art. 96 chiedere che sulla porzione medesima venga dichiarato aperto il giudizio di graduazione”.

Con quest’ultimo atto la vicenda della spartizione delle 300.000 lire poteva dirsi ormai definitivamente conclusa. La quota di Menotti servì a coprire solo in parte i suoi debiti, ma le beghe di Caprera fra gli eredi di Garibaldi e fra gli stessi e lo Stato continueranno ancora per molti anni.

Antonio Ciotta