Appunti di storia della navigazione nelle Bocche di Bonifacio
Nel maggio 2012 si è svolta la prima campagna di ricognizioni archeologiche subacquee nell’arcipelago di La Maddalena (1) voluta e finanziata dal Comune di La Maddalena, con il supporto del Parco Nazionale di La Maddalena, la coordinazione dell’associazione Castra Sardiniae e il supporto tecnico della Capitaneria di Porto (IV Nucleo Sommozzatori di Cagliari). Nel corso dell’indagine studenti e ricercatori dell’Università di Sassari, (2) sotto la direzione scientifica del Prof. Pier Giorgio Spanu e l’alta sorveglianza della Soprintendenza per le Province di Sassari e Nuoro, hanno eseguito circa sessanta immersioni finalizzate alla verifica e alla documentazione di eventuali giacimenti archeologici e alla realizzazione una prima carta archeologica dell’arcipelago, operazione fondamentale per programmare futuri interventi di valorizzazione e fruizione.
L’insieme dei risultati, analizzati in maniera diacronica, ha fornito inoltre dati utili per lo studio delle principali direttrici commerciali attive in epoca romana e medievale. Le più antiche tracce di frequentazione nelle Bocche di Bonifacio – rinvenute all’interno di ripari sotto roccia (3) – certificano il passaggio di gruppi umani almeno a partire dal Neolitico Antico, (4) passaggio da mettere in relazione con la crescente diffusione – nel corso del Neolitico Medio – (5) dell’ossidiana di Monte Arci (Oristano) che, attraverso la Corsica, raggiungeva i mercati dell’Italia centro settentrionale e della Francia meridionale. (6)
Ulteriore indizio dei contatti tra la Sardegna settentrionale, la Corsica e l’area catalano-provenzale, è la diffusione dell’architettura di tipo megalitico, ben documentata nel Golfo di Arzachena e accumunata al proto-megalitismo corso da importanti analogie culturali. (7)
Il periodo nuragico non ha lasciato testimonianze dirette di frequentazione nelle acque dell’arcipelago; unico indizio di un interesse verso le coste è costituito dalla presenza di nuraghi posti nelle immediate vicinanze della linea di costa che, oltre garantire il controllo delle principali vie di penetrazione verso l’interno, avrebbero potuto sorvegliare i punti di passaggio e di approdo. (8)
Durante le fasi di passaggio tra il II e il I millennio a.C., le rotte verso occidente, parzialmente compromesse dalla crescente pressione esercitata dai “popoli del mare”, vennero riaperte ad opera di genti di origine levantina attratte, in particolare, dalla disponibilità di risorse metallifere. (9)
Pur essendo sostanzialmente priva di tali risorse, la Gallura settentrionale dovette rappresentare comunque un polo di attrazione poiché, data la sua posizione, costituiva un importante punto d’appoggio per le rotte d’accesso al distretto minerario dell’Etruria. (10)
Testimonianze relative a questa fase, rappresentate in particolare dagli oxhide ingots di origine ciprota e da prodotti dell’artigianato italico, sono state individuate nel territorio di Arzachena e di Olbia a conferma che la Gallura, già in queste fasi cronologiche, dovette essere inserita nella rete di traffici con il mondo orientale e l’ambito tirrenico. (11)
Le Bocche di Bonifacio dovettero inoltre rappresentare un punto di passaggio obbligato per i collegamenti tra i primi insediamenti autoctoni aperti a genti di origine orientale, in particolare Sant’Imbenia, da cui i prodotti, probabilmente attraverso l’Arcipelago Toscano (12), raggiungevano i centri costieri dell’Etruria. (13)
I contatti con il mondo orientale si intensificarono nel corso dell’VIII sec.; intorno alla metà del secolo i fenici, di probabile origine tiria, arrivarono ad assicurarsi il controllo di Olbia, interessati ad assicurarsi il controllo dello scalo e dei prodotti locali. (14)
Nell’arcipelago maddalenino non sono ancora attestate tracce archeologiche di questo passaggio; l’unica indicazione utile può essere dedotta dai rinvenimenti del Nuraghe Albucciu-Arzachena per i quali, oltre una provenienza da Olbia, non può essere esclusa una veicolazione diretta dal Golfo di Cannigione. (15)
Gli equilibri politici nella Gallura settentrionale mutarono comunque nel volgere di un secolo. La crescente mole di dati archeologici provenienti dagli scavi di Olbia, evidenziando un radicale cambiamento nella cultura materiale (fine del VII sec., circa 630 a.C.), lasciano intravedere il delinearsi di un controllo -seppur breve(16)- da parte di genti di cultura greca (probabilmente Focei), presenza da sempre ipotizzata sulla base delle fonti ma solo recentemente suffragato da dati certi. (17)
Secondo i canoni antichi la Sardegna era l’isola più grande del Mediterraneo. In passato questa notizia, ritenuta erronea poiché la Sicilia ha una superficie maggiore, fu assunta come prova della scarsa conoscenza che i Greci avevano dell’isola. In realtà, in epoca antica, tali misure erano dedotte dal periplo dell’isola, non dalla superficie; in quest’ottica, la Sardegna ha effettivamente un’estensione di coste maggiore della Sicilia. (18) La notizia, riportata da Erodoto, (19) lascia supporre l’esistenza di un canone delle isole formatosi almeno entro la metà del VI sec.
Dal medesimo canone potrebbero derivare le notizie riportate nel Periplo dello Pseudo-Scilace, in cui si fa riferimento ad un’isola deserta posta a metà strada tra la Sardegna e la Corsica. (20)
Senza entrare nel merito delle diverse fonti di tradizione greca, (21) è opportuno sottolineare la possibilità di un profondo legame tra la loro genesi e gli equilibri politici ed economici validi per la Gallura settentrionale; l’assenza di un potere centrale strutturato comportò una commistione di interessi tra Ioni, Greci di Occidente, Fenici ed Etruschi (22) che, di volte in volta, proiettarono sul territorio elementi culturali radicatisi nella toponomastica e nel mito.
Così, ad esempio, le mire espansionistiche perseguite dai tiranni di Siracusa nella prima metà del IV sec. a.C., pur senza mai giungere ad una vera e propria conquista, proiettarono sulle Bocche elementi della toponomastica (il toponimo Longonis corrisponde al termine siracusano “porto”) e del mito di Fintone (da cui deriverà il nesonimo Phintonis insula, da identificare con Caprera, (23) citato da Plinio. (24)
Tuttavia i rinvenimenti archeologici riferibili a questa fase non sono numerosi. (25)
Dal punto di vista archeologico, l’arcipelago appare pienamente inserito nelle dinamiche commerciali mediterranee a partire dal III sec. a.C., ovvero gli anni della conquista romana a scapito dei Punici e dell’istituzione, intono al 227 a.C., della provincia Sardinia et Corsica. (26) Dal punto di vista economico fu un periodo di profonde trasformazioni; la progressiva espansione dei territori assoggettati a Roma costituì l’occasione per l’apertura di nuovi mercati sui quali riversare le eccedenze alimentari prodotte nella penisola italica in seguito al perfezionamento dell’agricoltura estensiva e dei grandi latifondi a conduzione schiavista. (27)
Oggetto privilegiato di tale commercio era il vino, esportato in grandi quantità verso i mercati occidentali e verso la Sardegna (almeno fino ad età imperiale l’isola non aveva una produzione sufficiente a soddisfare la domanda interna. (28)
Questa fase è documentata da almeno due relitti di grande importanza: oltre il noto relitto di Secca Corsara, (29) le indagini hanno permesso di ascrivere a questo secolo il relitto di Spargiottello, già noto in letteratura ma fino ad oggi non sufficientemente caratterizzato né dal punto di vista culturale, né dal punto di vista cronologico. Il relitto trasportava un carico di vino contenuto in anfore greco-italiche tarde (30) (ovvero anfore di tradizione greca, rielaborate in ambito italico e romano sulla base di specifiche esigenze funzionali); proprio sulla base della forma di questi contenitori, l’affondamento può essere datato tra il 200 e il 150/170 a.C. (ovvero pochi decenni prima dell’affondamento del relitto di Secca Corsara, avvenuto a meno di 2 miglia nautiche da Spargiottello).
Ancora a epoca repubblicana andrà ascritto un contesto individuato a Cala Francese; la letteratura riporta notizia della presenza di un relitto con carico di dolia (31) (contenitori di grandi dimensioni destinati al trasporto di vino) ma, a giudicare dai dati raccolti sul campo, il sito individuato presenta caratteristiche non compatibili con la segnalazione. La presenza di materiale da costruzione in terracotta (mattoni e lastre per il rivestimento parietale) in associazione con frammenti ceramici databili, lascia ipotizzare la presenza di un relitto di epoca repubblicana. In attesa di indagini ulteriori, è interessante notare che, nel caso il carico fosse destinato alla Sardegna, potrebbe essere stato destinato su specifica commissione per la realizzazione di un’opera pubblica, probabilmente un impianto termale. (32) È comunque doveroso chiarire che, avendo certificato anche la presenza di materiale ceramico databile alla piena epoca imperiale, la definizione del contesto in oggetto richiede grande prudenza.
Inoltre, già dal I sec. a.C., è attestata la frequentazione di un sito sull’isola di Budelli, probabilmente da mettere in relazione con l’esistenza di un punto di sosta/approdo (non necessariamente strutturato) in cui i navigli in transito potevano trovare riparo durante la traversata e – forse – fare rifornimento di acqua dolce). I dati raccolti, sebbene esigui, consentono di escludere l’eventualità che i materiali siano stati trasportati dal mare e permettono di inquadrare la frequentazione per un periodo relativamente lungo, tra il I sec. a.C. e il III-IV sec. d.C.
La fine dell’epoca repubblicana segnò un nuovo mutamento negli equilibri economici del mondo antico; le province occidentali, Spagna e Gallia in particolare, assunsero progressivamente un ruolo egemone nel commercio romano divenendo in breve tempo importanti centri di produzione. A livello archeologico, questa fase di passaggio è ben rappresentata da una sostanziale trasformazione delle rotte documentate: i contenitori destinati al trasporto del vino tirrenico sono progressivamente imitati e sostituiti da anfore prodotte nelle regioni occidentali, in particolare nella Spagna meridionale (con anfore destinate al trasporto di olio, di salse di pesce e vino) e dalla Gallia meridionale (prevalentemente con anfore vinarie).
Due relitti in particolare certificano tale mutamento: il relitto Punta Sardegna B (33) e il relitto di Cala Corsara.
Del relitto di Cala Corsara, affondato nella parte più interna della cala a -4 m di profondità e segnalato alle autorità nel 2005, rimangono alcune strutture lignee parzialmente coperte dai sedimenti, numerosi chiodi fortemente concrezionati e rari frammenti ceramici in dispersione superficiale.
Sulla base della documentazione raccolta, confrontata con i dati editi, (34) il relitto può essere identificato con una nave oneraria salpata dalla Spagna meridionale con un carico di olio, salse di pesce e defrutum (condimento a base di mosto) (35) e affondata a Cala Corsara intorno alla metà del I sec. d.C.
Anche la Lusitania (attuale Portogallo), nel corso dei primi secoli dell’impero, costituì una provincia molto attiva dal punto di vista economico, in particolare per quanto riguarda lo sfruttamento delle risorse ittiche per la produzione di pesce lavorato e salse di pesce. Contenitori di questa tipologia, dotati di coperchi in ceramica (opercula), sono stati individuati in un grande giacimento ubicato nel tratto di mare prospiciente Punta Sardegna. Il relitto, denominato in letteratura Punta Sardegna A, (36) una volta salpato dalle coste del Portogallo, dovette effettuare uno scalo intermedio in un porto spagnolo (come lasciano supporre le anfore tipiche di questa regione) prima di tentare la traversata fino alle Bocche. Tra i materiali recuperati, un solo frammento di anfora ha caratteristiche ascrivibili alle produzioni italiche e andrà dunque ricondotto alle dotazioni di bordo destinate a contenere i viveri per l’equipaggio. Sulla base delle ceramiche documentate, il naufragio è inquadrabile cronologicamente tra la fine del I e l’inizio del II sec. d.C.
Nel corso del II sec. d.C. si verificò un nuovo mutamento negli equilibri economici del Mediterraneo antico; l’Africa settentrionale, mercato di riferimento per i rifornimenti di grano sin dal I sec. d.C., divenne da questa fase il centro produttivo dell’impero, egemonia che – dal punto di vista archeologico – si tradusse in una ampia e capillare distribuzione del materiale ceramico di produzione africana in tutto il Mediterraneo.
Il transito di tali merci all’interno delle Bocche è ben attestato sia lungo le coste corse, (37) sia nell’arcipelago di La Maddalena. (38)
Le indagini hanno permesso di individuare due relitti inediti con carichi riconducibili a produzioni africane.
Il relitto identificato con la sigla TMR è stato individuato a nord dell’isola di Santa Maria, ad una profondità di circa -8 m. Il giacimento ha restituito numerosi frammenti di contenitori vinari prodotti nell’attuale Algeria e alcuni frammenti di anfore di produzione tunisina destinate al trasporto di salse di pesce.
La tipologia delle anfore indica una cronologia dell’affondamento compresa tra l’inizio e la metà del IV sec. d.C.
La presenza di prodotti riferibili ad aree geografiche così distanti, rende probabile l’ipotesi di una tappa intermedia durante il viaggio; l’imbarcazione, partita dall’Algeria, potrebbe aver seguito una rotta meridionale fino alla Tunisia per poi attraversare il Canale di Sardegna e, dopo aver costeggiato la costa occidentale Sarda, aver tentato la traversata delle Bocche seguendo la rotta interna a Bocca Grande. Esiste tuttavia la possibilità – assolutamente verosimile- che la sosta sia avvenuta in un porto della costa occidentale sarda, probabilmente da identificare in Turris Libisonis (Porto Torres).
Lungo il tratto di costa prospiciente l’altura di Capo D’Orso è stato individuato un altro relitto di epoca tarda con carico di merci africane.
Anche in questo caso il sito si trova a bassissima profondità e presenta una notevole concentrazione di materiale ceramico in condizioni frammentarie.
Il carico era costituito esclusivamente da contenitori di origine tunisina riconducibili – almeno in parte – alla tipologia “Africana III” e destinati al trasporto di salse di pesce o vino. (39) L’analisi incrociata dei materiali rinvenuti suggerisce una datazione compresa nella prima metà del V sec. d.C.
Questa fase storica – la prima metà del V sec. d.C. – segna un nuovo importante mutamento negli equilibri del Mediterraneo antico: i Vandali, conquistata Cartagine nel 439 d.C., iniziarono le incursioni nei territori romani, Sardegna compresa. Le drammatiche conseguenze di tali attacchi sono state ben evidenziate dalle indagini nel porto antico di Olbia e dalle evidenti tracce di decadenza che, dopo questa data, caratterizzarono la città per diversi secoli. (40)
Tuttavia, a livello economico, l’arrivo dei Vandali non comportò un significativo tracollo anzi, i territori africani conservarono il ruolo produttivo e l’egemonia sui mercati mediterranei. (41)
La dominazione vandala non ebbe comunque lunga durata. Con l’ascesa di Giustiniano al trono di Bisanzio, iniziò un periodo di forti pressioni finalizzate alla riunificazione dell’Impero ormai smembrato che portò alla riconquista di Cartagine nel 533 d.C. e della Sardegna, assegnata all’Esarcato d’Africa, un anno dopo. (42)
Gli equilibri politici ed economici che avevano caratterizzato il Mediterraneo antico andarono i frantumi alla fine del VII sec. d.C. a causa della crescente pressione araba: (43) dopo aver conquistato Cartagine nel 698 d.C., i musulmani iniziarono ad attaccare i territori bizantini, compresa la Sardegna. In realtà, più che ad una vera e propria conquista, l’interesse dell’Islam verso la Sardegna sembra indirizzato ad un indebolimento delle strutture difensive dell’isola senza comunque eliminare definitivamente il controllo dell’Impero, (44) la cui presenza sfumò lentamente nel tempo, (45) ponendo le basi per le successive vicende politiche e per la nascita degli organismi di governo autonomi, conosciuti dall’XI secolo con il nome di Giudicati. (46)
Questa situazione di precarietà e di disinteresse del potere centrale, si tradurrà in un ruolo marginale della Sardegna, esclusa dalle principali direttrici commerciali e minacciata dalle frequenti incursioni dei pirati arabi.
Solo tra l’XI e il XII secolo, la crescente pressione di Pisa e Genova, interessate a espandere il proprio impero economico alle regioni occidentali e a scongiurare le incursioni piratesche che dalle coste sarde si spingevano fino a lambire le coste tirreniche, (47) portarono ad un ridimensionamento della minaccia araba e, con una capillare opera di acquisizione terriera, (48) arrivarono ad un sostanziale controllo sulla Sardegna, anche grazie alla creazione di un articolato sistema di porti e approdi pienamente inseriti nelle rotte tirreniche.
Alla fine del XIII secolo, l’istituzione del regnum Sardinie e Corsice, affidato da Bonifacio VIII a Giacomo II d’Aragona, (49) costituì il preludio per un intervento diretto della Corona in Sardegna che, sfruttando i diffusi sentimenti antipisani, riuscì a sottomettere al sistema feudale buona parte dell’isola, compreso il Giudicato di Arborea, sottomesso e trasformato in un marchesato nel 1420.
Il controllo esercitato dalla Corona e il periodo di relativa ripresa economica e sociale, portarono i centri costieri sardi ad una rapida ripresa con l’apertura degli scali portuali (Cagliari e Alghero in particolare) alle principali direttrici commerciali.
In quest’ampio arco cronologico si inquadrano i rinvenimenti di Spalmatore; all’interno della baia sono state rinvenute diverse aree di dispersione che, grazie al campionamento e alla documentazione dei materiali rinvenuti, hanno permesso di acquisire importanti dati (sebbene preliminari) circa la frequentazione dell’arcipelago tra la tarda antichità e la fine del Medioevo.
Tra i materiali recuperati si segnala un frammento di anfora africana di piccole dimensioni (spatheion) databile alla metà del V sec. d.C., (50) indizio che la baia – in epoca tardoantica – era ancora frequentata. In attesa di identificare con certezza alcuni reperti di non chiara attribuzione cronologica, non si hanno al momento indicazioni circa il periodo successivo, ovvero per la fasi comprese tra l’arrivo dei Vandali e la reazione pisana alla minaccia araba (metà V- X sec. d.C.).
È chiara, al contrario, un’intensa frequentazione che – dal X-XI sec. – interessò la baia almeno sino al XVI-XVII sec. I reperti sono ascrivibili a produzioni di diversa estrazione culturale e, per questo motivo, la possibilità discernere i differenti apporti (Pisani, Genovesi, Saraceni, Aragonesi), costituisce ad oggi un’ipotesi di lavoro piuttosto che un dato acquisito.
Solo ulteriori e più approfondite indagini permetteranno in futuro di raccogliere dati sufficienti per una dettagliata narrazione delle vicende storiche succedutesi all’interno della cala.
In conclusione, si intende sottolineare il ruolo che le Bocche di Bonifacio hanno ricoperto nel corso dei millenni: punto di passaggio obbligato per il collegamento tra la Sardegna e la Corsica in epoca preistorica, in epoca romana il Fretum Gallicum rivestì il ruolo di centrale per i collegamenti tra il Mediterraneo occidentale e il Tirreno, garantendo ai naviganti un punto di passaggio vantaggioso in termini di tempo di navigazione, nonostante i pericoli causati dal regime dei venti, da numerosi scogli affioranti e dai pirati che, nel corso dei secoli, trovarono nelle cale dell’arcipelago dei rifugi ideali da cui attaccare le navi in transito e gli insediamenti costieri.
Erano tre le rotte principali interne alle Bocche. La più settentrionale lambiva le coste meridionali della Corsica, attraverso il passo della Piantarella. La rotta più battuta doveva essere la rotta interna a Bocca Grande, il passaggio tra le isole corse e l’arcipelago maddalenino. (51)
Il passaggio interno all’arcipelago corrisponde al canale della Buccinaria (tra l’arcipelago e la costa sarda) come documentato chiaramente dai risultati dell’indagine: su otto relitti citati, sette sono stati individuati proprio in questo tratto di mare.
Alessandro Porqueddu
Articolo pubblicato su Almanacco Maddalenino VII – Paolo Sorba Editore
NOTE
1 Spanu P.G., Giarrusso C., Nieddu G., Porqueddu A., Secci M., The Maddalena archipelago maritime target survey a collaborative effort towards the enhacement of maritime cultural heritage, ACUA Underwater Archaeology Proceedings 2013, in corso di stampa.
2 Oltre a chi scrive, hanno partecipato i Dottori: C. Giarrusso, G. Nieddu, M. Secci, T. Fragopoulou, P. Sechi, G. Meloni, P. Valle, G. Padua, I. Lucherini, E. Aguilera Collado, L. Sanna. Hanno inoltre contribuito alla ricerca il Dott. Fabrizio Antonioli (Primo Ricercatore
ENEA) e la Dott.ssa Emanuela Solinas (archeologa).
3 Per il riparo di Cala Corsara si veda: Ferrarese Ceruti M. L., Pitzalis G., Il tafone di Cala Corsara nell’isola di Spargi (La Maddalena), in Il Neolitico in Italia, Atti della XXVI Riunione Scientifica (Firenze 7-10 novembre 1985), Firenze, 1987, pagg. 871-886; Aa. Vv., Archeologia del territorio, territorio dell’archeologia, Caprara R., Luciano A., Maciocco G. (a cura di), Cagliari, 1996, pag. 501. Per il riparo di Cala Velamarina si veda: Lilliu G., La civiltà dei Sardi dal Paleolitico all’età dei nuraghi, Torino (I ed. 1967), 1988, pagg. 27-succ.; Mancini P., Gallura orientale preistoria e protostoria, Olbia, 2010, pagg. 45-8.
4 Con continuità di frequentazione fino ad epoca nuragica a cala Corsara e all’età del Rame a Santo Stefano (Mancini 2010, op. cit., pag. 48).
5 Moravetti A., La preistoria: dal Paleolitico all’età nuragica, in Brigaglia M., Mastino A., Ortu G.G. (a cura di), Storia della Sardegna. Dalle origini al Settecento, Bari, 2009, pag. 8.
6 Williams Thorpe O., Warren S.E., Courtin J., The distribution and sources of archeological obsidian from southern France, in Journal of archeological Science 11, New York, 1984, pag. 141.
7 Cesari J., Leandri F., Le mégalithisme de la Corse, in Patrimonio Archeologico e Architettonico Sardo-Corso: Affinità e differenze, Sassari, 2007, pagg. 229-232.
8 In particolare: Nuraghe Barrabisa (Palau) ubicato a breve distanza dalla foce del Liscia (Aa. Vv. 1996, op. cit., pagg. 662-3); Stazzo Narcone (Santa Teresa di Gallura) ubicato a circa 1 km dalla costa (Aa. Vv. 1996, op. cit., pagg. 686-7); Nuraghe La Testa (Santa Teresa di Gallura) a circa 800 m dal mare; Nuraghe Vigna Marina; Nuraghe Lu Brandali a 450 m dal mare (Antona A., Il complesso nuragico di Lu Brandali e i monumenti archeologici di Santa Teresa di Gallura, Sardegna Archeologica, Guide e Itinerari, Sassari, 2005, pagg. 41- succ.); penisola di Municca struttura semicircolare, databile all’età del Bronzo grazie alla ceramica nuragica, in posizione ottimale per il controllo dell’antistante tratto di mare (Aa. Vv. 1996, op. cit., pagg. 709-10; Antona A., 2005, op. cit., pag. 15)
9 Bartoloni P., Miniere e metalli nella Sardegna fenicia e punica, in Sardegna Corsica e Baleares Antiquae, vol. VII, Pisa, 2009, cfr.
10 D’Oriano R., Uno sguardo dalla Gallura sull’oxide hingots di S. Anastasia e sul relitto del Golo in Corsica, Atti del colloquio di Mariana (2005), in corso di stampa.
11 Si veda D’Oriano 2005, op. cit., c.d.s. (con bibliografia precedente).
12 La frequentazione fenicia dell’arcipelago Toscano è ipotizzata sulla base dei rinvenimenti di anfore (Cibecchini F., L’arcipelago toscano e l’isola d’Elba, anfore e commerci marittimi, in Gli Etruschi da Genova ad Ampurias, 2006, pagg. 535-552) e dell’origine fenicia dei nesonimi del Giglio e dell’Isola d’Elba; Bartoloni P., Gli Etruschi e la Sardegna, in Paoletti O. (a cura di), Etruria e Sardegna centro-settentrionale tra l’Età del Bronzo Finale e l’Arcaismo, Atti del XXI Convegno di studi Etruschi ed Italici, (Sassari- Alghero- Oristano- Torralba, 1998), Pisa-Roma, 2002, pagg. 251-2.
13 Botto M., I rapporti tra la Sardegna e le coste medio-tirreniche della Penisola Italiana: la prima metà del I millennio a.C., in Etruschi, Greci, Fenici e Cartaginesi nel Mediterraneo centrale, Annali della Fondazione per il Museo “Claudio Faina”, Vol. XIV, 2007, pagg. 75-136, pag. 81.
14 D’Oriano R., Indigeni, Fenici e Greci a Olbia, Bollettino di Archeologia on line I 2010, Volume speciale A / A4 / 3, 2010, pagg. 12-3.
15 D’Oriano 2005, op. cit., c.d.s.
16 In seguito alla sconfitta subita contro la coalizione etrusco-punica nella battaglia del mare Sardonio (intorno al 540-535 a.C.), i Focei furono costretti ad abbandonare la Sardegna entro la fine del secolo (Zucca R., La Sardegna e le grandi civiltà mediterranee, in Brigaglia M., Mastino A., Ortu G.G. (a cura di), Storia della Sardegna. Dalle origini al Settecento, Bari, 2009, pag. 27; D’Oriano R., Indigeni, Fenici e Greci a Olbia, Bollettino di Archeologia on line I 2010, Volume speciale A / A4 / 3, 2010, pag. 22). Da questo momento la Sardegna rimase per buona parte sotto il controllo punico, ad eccezione dei territori controllati dagli Iliesi (Màrghine e Gocèano) e dai Corsi in Gallura (Zucca 2009, op. cit., pag. 30).
17 D’Oriano R., Olbia greca: il contesto di via Cavour, in Arru M.G., Campus S., Cicilloni R., Ladogana R. (a cura di), Ricerca e confronti 2010, Giornate di studio di archeologia e storia dell’arte a 20 anni dall’istituzione del Dipartimento di Scienze Archeologiche e Storico-artistiche dell’Università degli Studi di Cagliari (Cagliari 2010), ArcheoArte, suppl. 2012, n.1, pagg. 183-199.
18 Mastino A., Spanu P.G., Zucca R., Mare Sardum. Merci, mercati e scambi marittimi della Sardegna antica, Roma, 2005, pag. 24.
19 Hdt, I, 170, 2; V, 106, 6; VI, 2, 2.
20 Skyl. 7; Peretti A., Il Periplo di Scilace. Studio sul primo portolano del Mediterraneo, Pisa, 1979, pag. 485.
21 Per unfanalisi delle fonti antiche che riguardano le Bocche di Bonifacio si veda Zucca 2003, op. cit.
22 Mastino A., Nota su Olbia arcaica: i gemelli dimenticati, in Bollettino di Archeologia on line I, 2010, vol. speciale A/A4/2, 2010, pag. 6.
23 Secondo la ricostruzione di Paola Ruggeri, la vicenda di Fintone deriva da una tradizione greca legata alla marineria, poi confluita nella produzione epigrammatica di epoca ellenistica; Zucca R., Insulae Sardiniae et Corsicae. Le isole minori della Sardegna e della Corsica nellfantichita, Roma, 2003, pagg. 163-169.
24 Plin., Nat., III, 6, 83.
25 Tra questi si ricorda in particolare un frammento di kylix attica a figure rosse con tralci di vite rinvenuto da privati nei fondali di budelli; DfOriano R., Olbia e la Sardegna settentrionale, in Bernardini P., Spanu P.G., Zucca R. (a cura di), M.ƒÔƒÅ: la battaglia del mare Sardonio, Studi e ricerche, Cagliari-Oristano, pag. 207. Il reperto e stato inoltre oggetto di studio da parte della Dott.ssa Florinda Corrias il cui contributo e -ad oggi- in corso di stampa.
26 Mastino A., Zucca R., La Sardegna nelle rotte mediterranee in età romana, in Camassa G., Fasce S. (a cura di), Idea e realtà del viaggio. Il viaggio nel mondo antico, Genova, 2001, pag. 41.
27 Su questo argomento si veda ad esempio: Bruno B., Le anfore da trasporto, in Gandolfi D. (Ed.), La ceramica e i materiali di età romana. Classi, produzioni, commerci e consumi, Bordighera, 2005, pag. 364.
28 Mastino & Zucca 2001, op. cit., pag. 253.
29 Si veda: Lamboglia N., 1961. La nave romana di Spargi (La Maddalena). Campagna di scavo 1958, in Atti del II Congresso internazionale di archeologia sottomarina (Albenga 1958), Bordighera 1961, pagg. 143- succ.; Lamboglia N., 1959. La seconda campagna di scavo sottomarino sulla nave romana di Spargi (Sardegna), Notizia preliminare, in RSL, XXV, n. 3-4, pag. 301-succ.; Roghi G., 1965. Spargi, in Marine Archeology, Londra, pagg. 103- succ.; Roghi G., 1966. La vergogna di Spargi, in Mondo Sommerso VIII, n. 11, novembre 1966; Lamboglia N., 1964, Il saccheggio della nave romana di Spargi (La Maddalena Sardegna), in RSL, XXX, pagg. 258- succ.
30 Lyding Will E., Greco-Italic Amphoras, in Hesperia, 51, 1982, pagg. 338-356; Van der Mersch C., Vins et amphores de Grande Grèce et de Sicile. IVe-IIIe s. avant J.-C., Napoli, 1994, 279 pagg.; Peacock D. P. S., Williams D. F., Amphorae and the Roman economy. An introductory guide, Londra e New York, 1986, pagg. 84-5.
31 C.d. La Maddalena A: Parker A. J.,. Ancient Shipwrecks of the Mediterranean & the Roman provincies, British Archaeological Reports International Series 580, Oxford, 1992, pag. 88, n. 146; Mastino A. et al., 2005, op. cit., pag. 235, n. 90.
32 Sul commercio di materiale edilizio in Sardegna si veda: Mastino & Zucca 1991, op. cit., pag. 253; Zucca R., L’opus doliare urbano in Africa ed in Sardinia, in Mastino A., (a cura di), L’Africa romana, Atti del IV convegno di studio, 2, Sassari 12-14 dicembre 1986, 1987, pagg. 665- succ.
33 Questo sito è stato individuato durante un’immersione ricreativa nei mesi successivi la campagna di ricerca. La tipologia dei materiali osservati, ben caratterizzati, consente comunque di identificare -in via ipotetica- il contesto con un relitto affondato nella prima età imperiale con un carico di anfore vinarie prodotte nella Spagna orientale.
34 De Marzo R., Storia e commerci del Fretum Gallicum romano attraverso i relitti. Il relitto di Cala Corsara. Tesi di Laurea Università di Sassari, Zucca R., D’Oriano R. (rel.) a/a 2009/2010, 124 pagg.
35 Caravale A., Toffoletti I., Anfore antiche, conoscerle e identificarle, Roma, 1997, pag. 135.
36 Parker 1992, op. cit., pag. 359; Zucca 2003, op. cit., pag. 177.
37 Zucca 2003, op. cit., pagg. 172- 175.
38 Zucca 2003, op. cit., pagg. 176.
39 Keay S. J., Late roman amphorae in the western Mediterranean, British Archaeological Reports International Series 196 (I), Oxford, 1984, pagg. 184-212.
40 D’Oriano, R., 2002. Relitti di storia: lo scavo del porto di Olbia, in Khanoussi M., Ruggeri P., Vismara C. (a cura di), L’Africa romana, Atti del XIV Convegno di Studi, (Sassari 7-10 dicembre 2000), vol. 2, Roma, pagg. 1249-1262; Pietra G., I Vandali in Sardegna. Nuove acquisizioni dai relitti del porto di Olbia, Akerraz A., Ruggeri P., Siraj A., Vismara C. (a cura di), L’Africa Romana. Mobilità delle persone e dei popoli, dinamiche migratorie, emigrazioni ed immigrazioni nelle province occidentali dell’Impero romano, Atti del XVI convegno di studio (Rabat, 15-19 dicembre 2004), Carocci, Roma, 2006, pp.1307-1320; Pietra G., I Romani a Olbia dalla conquista della città punica all’arrivo dei Vandali. L’arrivo dei Vandali, Bollettino di Archeologia on line I 2010, Volume speciale A / A4 / 6, 2010, pagg. 63-65.
41 Spanu P.G., La Sardegna vandalica e bizantina, in Brigaglia M., Mastino A., Ortu G.G. (a cura di), Storia della Sardegna. Dalle origini al Settecento, Bari, 2009, pagg. 60, 64.
42 Spanu 2009, op. cit., pag. 67.
43 Panella C., Le anfore di età imperiale nel Mediterraneo occidentale, in Lévêque P., Morel J. P., Geny E. (edd.), Céramiques hellénistique et romaines III, Paris, 2001, pag. 181.
44 Meloni, G., 2009. L’origine dei Giudicati, in Brigaglia M., Mastino A., Ortu G.G. (a cura di), Storia della Sardegna. Dalle origini al Settecento, Bari, 2009, pag. 73.
45 Spanu 2009, op. cit. pag. 69.
46 Meloni 2009, op. cit., pag. 70, pagg. 80- succ.
47 Artizzu F., La Sardegna pisana e Genovese, in Storia della Sardegna antica e moderna diretta da Alberto Boscolo, vol. V, Sassari, 1985, pagg. 18-9.
48 Ortu G. G., I Giudicati: storia, governo e società, in Brigaglia M., Mastino A., Ortu G. G. (a cura di), Storia della Sardegna. Dalle origini al Settecento, Bari, 2009, pag. 113.
49 Casula F. C., La Sardegna aragonese. La corona d’Aragona, Boscolo A., Storia della Sardegna antica e moderna, vol. 6, Sassari, 1990, pagg. 47-succ. 50 Bonifay M., Ètudes sur la céramique roma ine tardive d’Afrique British Archaeological Reports, International Series, 1301, Oxford, 2004, pagg. 225-9.
51 Tuttavia le maggiori profondità rendono l’individuazione dei giacimenti impossibile senza l’ausilio di adeguate attrezzature; i relitti documentati nel passaggio di Bocca Grande sono i relitti Sud Lavezzi 1-3, Basile de Lavezzi (Parker 1992, op. cit., pag. 238; Zucca 2003, op. cit., p. 175) e il relitto di Santa Maria-TMR.