I battesimi nei registri della parrocchia bonifacina
Per conoscere meglio questi primi pastori che si sono insediati alla Maddalena non abbiamo un elenco nominativo ufficiale delle famiglie e dei singoli, come invece si ha per i coloni che da Tabarka affluirono nell’isola di S. Pietro nel 1738. Purtroppo non è stato ancora rintracciato il “rolle des familles soit de la Maddaleine que de la Caprara”, che il maggiore La Rocchetta, comandante della spedizione militare che occupò le isole nel 1767, aveva rilevato, su ordine del viceré, subito dopo l’operazione militare da parte delle truppe sardo-piemontesi.
Sono noti solo due elenchi di presenti nelle isole di Maddalena e Caprera, ma risultano redatti nel 1765 e nel 1767, nell’immediatezza dei progetti di occupazione delle isole, per cui di essi si dirà in seguito. Si deve, quindi, procedere con modalità più indirette e lacunose a formare l’identikit del pastore corso-maddalenino che ha avviato la colonizzazione delle isole, oltre le indicazioni sommarie già conosciute. E’ stato seguito, a questo proposito, l’invito formulato dallo storico corso contemporaneo Francis Pomponi, dell’Università di Nizza, che proprio per il nostro caso di microstoria ha esortato ad individuare e seguire il filone patronimico (“suivez le nom!”). Sappiamo, inoltre, dall’ottimo saggio di Carlino Sole, “Sovranità e giurisdizione sulle isole Intermedie (1767-1793)”, che nella diatriba tra le cancellerie francesi e piemontesi i bonifacini produssero gli atti di battesimo dei nati nelle isole presenti nella loro parrocchiale, a riprova dei loro diritti su di esse. Gli estratti degli atti formano due documenti separati inviati a Parigi nel 1777, oggi conservati nell’Archivio Nazionale della stessa città. Andando alla fonte sono stati esaminati i registri di Santa Maria Maggiore, parrocchia di Bonifacio, ora conservati nell’archivio storico della biblioteca comunale. Il preziosissimo materiale di studio soffre, peraltro, di una pesante lacuna, essendo stato disperso il registro relativo agli anni 1761-1770, molto significativo per il presente lavoro.
Questo corpo documentale consta di 100 atti di battesimo di nati nelle isole, di cui il primo atto era stato redatto il 18 aprile 1683 e l’ultimo il 15 gennaio 1760, con leggera prevalenza dei maschi (54) rispetto alle femmine (46). Oltre il dato assoluto e quello di genere, è significativo il dato relativo alla dinamica demografica che viene innescata in quello stesso periodo nelle isole dall’operazione di colonizzazione diretta da Bonifacio. Dividendo gli 80 anni della rilevazione in 4 classi generazionali di 20 anni si registrano i seguenti dati quantitativi:
1° ventennio (1683-1702) 10 nati;
2° ventennio (1703-1722) 23 nati;
3° ventennio (1723-1742) 28 nati;
4° ventennio (1743-1760) 39 nati.
Siamo di fronte ad un movimento positivo di crescita demografica continua e costante, che appare il segno di una ricerca di stabilizzazione e di un “investimento” sulle isole da parte dei coloni, che iniziarono a “credere” in esse, quale territorio in cui far crescere la propria famiglia. Da mero terreno da sfruttare, le isole stavano diventando luogo degli affetti e delle relazioni. In esse si stava strutturando un aggregato umano avviato a costituire una comunità. Questa avrà possibilità di sorgere solo quando le esclusive esigenze di semplice sfruttamento del terreno per sopravvivenza, saranno superate dalle ragioni più complesse di voler vivere quello stesso territorio, che da spazio fisico sarebbe diventato spazio umano di vita.
La mobilità delle famiglie e delle persone tra le isole e Bonifacio, porta d’entrata per la Corsica sottana, favoriva, nondimeno, la possibilità che i figli delle coppie che avevano scelto Maddalena e Caprera nascessero sia nelle isole che in Corsica, a secondo della necessità e del caso. Saggi di ricerca fatti negli stessi registri battesimali hanno individuato figli delle nostre coppie, per così dire isolane, partoriti in Corsica, per cui si deve tener presente che le stesse famiglie erano più prolifiche di quanto non appaia dai soli certificati di battesimo dei nati nelle isole. Evidentemente anche i nati in Corsica vivevano poi con le proprie famiglie nelle isole, formando una popolazione residente, pressoché continuativamente, di quasi 150/200 unità e un complesso di 30/35 famiglie (o fuochi), nel periodo di massima presenza. I nati nei villaggi o nel sobborgo bonifacino ricevevano il battesimo nell’immediatezza del parto, mentre quelli nati nelle isole venivano battezzati nella stessa parrocchiale di S. Maria Maggiore nei mesi estivi da luglio a settembre, con rare eccezioni negli altri mesi.
Dai dati relativi ai nati in Corsica da coppie maddalenine e da coppie provenienti dagli stessi villaggi di montagna che rimasero nell’isola madre, si ricavano le notizie necessarie per riscontrare la correttezza dell’analisi dei flussi migratori di cui s’è detto. Da questi dati si conosce, cioè, da quale albergo della piaghja provenivano i nostri coloni-pastori originariamente discesi dalla montagna, e in cui ritornavano dalle isole in occasione dei loro rientri stagionali. Dalle annotazioni delle località del parto vengono confermate le destinazioni degli sfollamenti dalla montagna delle nostre famiglie, che andarono a sistemarsi a Figari, nella “piaggia di S. Martino”, a Sartene, nella Serra de Oro, a Sotta e Chera. Ritornando ai nati nelle isole, le indicazioni esplicite della località di provenienza del genitore maschio sono rilevate in 60 atti sui 100. Per una trentina di casi il dato è facilmente, anche se indirettamente, desumibile dai nomi dei genitori o da altri elementi, e solo una dozzina di situazioni rimangono senza indicazione d’origine certa. I villaggi muntagnoli di provenienza più remota vengono indicati esplicitamente nei registri parrocchiali, a significare da una parte il riconoscimento delle radici, dall’altro per specificare la estraneità da Bonifacio. In questi atti si ritrovano 24 nuclei familiari provenienti da Sorbollà, 16 da Zicavo, 13 da Ornano, 7 da Zerubia, 6 da Levie, 6 da Quenza, 4 da Serra di Scopamene, 3 da Zonza e infine 2 da Tallà e 2 da Petretto. Sia gli studi sui flussi migratori tra piaghja e montagna e viceversa, sia l’analisi degli atti battesimali della parrocchia bonifacina verificano la correttezza dell’informazione che viene da un importante documento datato Corsica 20 settembre 1777. Una “Mémoire concernant les iles intermédiaries”, conservato anch’esso nell’archivio parigino, in cui l’estensore rilevava che le isole: « erano da sempre coltivate dai pastori originari delle pievi di Zicavo, Talavo, Corbin e Scopamene, che di padre in figlio usavano abitare le isole da otto a nove mesi l’anno ».
Dagli stessi atti si ricava anche qualche curiosità, come per esempio la presenza nelle isole di religiosi. Senz’altro si trattava di occasioni particolari, magari con il pretesto di raccogliere elemosine se non le decime. Ne abbiamo notizia per il fatto che moltissimi battesimi avvenivano col doppio rito, il primo in stato di necessità per pericolo di morte del neonato svolto nel luogo del parto con officianti occasionali, e il secondo celebrato solennemente nella parrocchiale con i padrini ufficiali. Nel primo rito si trovano indicati in qualità di ministranti anche dei frati minori osservanti di Bonifacio, e una volta addirittura un cappellano “super coralina”, che ci fa pensare che i corallari dei banchi di Caprera avessero frequentazioni con i corsi-caprerini, giacché il battesimo fu per Simone Giovanni nato a Caprera nel marzo del 1693, da Giovanni Angelo di Quenza e Pasquina sua moglie. I frati evidentemente svolgevano un minimo di assistenza religiosa ai pastori, e il cappellano della flottiglia di coralline era al seguito di quei pescatori, significando che quella attività era svolta da un alto numero di addetti ed era tanto ben organizzata che si dotavano anche del sostegno religioso. Per restare nella parte degli atti che danno notizia dei padrini, risulta significativa la chiamata al comparatico, frequentissima anche se non nella totalità dei casi, dei principali, dei nobili e dei mercanti e professionisti bonifacini. Da un’analisi più approfondita di quanto non si possa fare in questa occasione, sarebbe possibile da queste informazioni ricostruire il sistema di clientele in cui erano impegnati questi pastori.
Salvatore Sanna – Co.Ri.S.Ma
Nel mondo agropastorale corso, che era poi quello che si era trapiantato nelle isole dell’Arcipelago, il battesimo, nella vita di una persona, era un fatto molto importante. I bambini nati nelle Isole, prima che queste diventassero sardo-piemontesi nel 1767, venivano portati prima possibile a Bonifacio per essere battezzati. Prima possibile (vento e mare permettendo), si diceva, perché la mortalità infantile allora era molto elevata.
Dalla fine 1767, per buona parte del 1768 e agli inizi del 1769, con la presenza di un sacerdote le cose erano però cambiate. Lo dimostra il fatto che a pochi giorni dalla nascita i bambini nati a Maddalena e a Caprera venissero battezzati. Prima veniva cancellato il peccato originale e meglio era …ma non solo. “Le anime dei bambini morti non battezzati, per la credenza popolare si trasformavano in folletti e non andavano in cielo”. Lo riporta nel libro ‘La paura, superstizione e credenze nella tradizione sarda e corsa’, Taphros editrice, lo stimato studioso e storico Renzo de Martino. Non solo ma, “nelle notti di luna si potevano vedere le loro fiammelle danzare nell’aria; inoltre, se il battesimo avveniva entro le 24 ore, l’anima di un familiare defunto veniva liberato dalle pene del Purgatorio”. Superstizione, certo, ma era quello che si credeva nelle casupole isolane dai tetti di frasca e battute dal vento. Non solo ma quando in queste isole non c’erano ancora preti “i più superstiziosi preferivano lasciare a Bonifacio le loro mogli incinte e conoscere i loro nati soltanto quando rientravano, nei mesi di luglio e agosto”.
Il neonato, racconta ancora Renzo de Martino, era portato in chiesa da u pairinu e da a mairina (padrino e madrina), scelti tra le persone più care e stimate, che da allora, come compare e comare, entravano a far parte della famiglia al pari degli altri parenti più stretti. “La madrina non doveva essere incinta perché c’era il rischio che portasse male”.
Superstizioni e credenze queste un tempo assai diffuse, alle quali i preti non riuscivano a mettere argini, che in qualche maniera e in parte sono giunte fino a noi o quantomeno alle nostre nonne.
Claudio Ronchi