Breve conclusione
I pastori maddalenini non facevano molte distinzioni giuridiche e istituzionali, né avevano interesse a valutare la questione giurisdizionale, che appassionava i dotti consiglieri delle corti con i loro pareri. Per essi l’operazione di un corpo militare, che si insediava nei territori sino ad allora utilizzati in piena libertà, era da considerarsi sul piano esclusivo del tornaconto. Giacché non potevano pensare di contrapporvisi, dovevano predisporsi ad accettarlo, ricercando il massimo utile possibile, o altrimenti ad abbandonare le isole. Anche un gruppo geograficamente e socialmente marginale come il loro non poteva non rendersi conto, per le frequentazioni che aveva con Bonifacio, che in Corsica si stava esaurendo la forza del dominio genovese, e che la Francia sarebbe subentrata. E inoltre, l’ipotesi caldeggiata dai bonifacini di rimanere una enclave genovese, o almeno di godere di uno statuto di autonomia anche da Parigi, non parve convincente e conveniente ai nostri pastori.
Di fatto essi, sin dall’incontro con il conte Rivarola prima e dai contatti con Brondel e De Nobili poi, si trovarono impegnati in una alternativa radicale su dove stare e con chi stare. Ma niente di dottrinale, per cui la ragione più profonda della scelta che i maddalenini operarono è da ricercarsi, alla grossa, nella convenienza che valutarono tra il mantenimento della situazione in cui stavano e la possibilità di una riconversione della loro situazione economica e patrimoniale. Più in generale, per le prospettive delle condizioni di vita delle loro famiglie che essi potevano sperare dal nuovo, piuttosto che dall’esistente. Essi scelsero superando la temuta pressione dei mercanti bonifacini, che avevano interesse a tenere le isole indipendenti per il loro comodo dei rifornimenti in contrabbando. Non dovette essere secondario, per la opzione a favore della Sardegna, proprio il motivo della liberazione dallo stato di dipendenza da quelli. La condizione esistente, conosciuta, e probabilmente non particolarmente gradita, parve meno accettabile di quella futura ipotizzabile, che si sarebbe instaurata nei confronti del comando del distaccamento e quindi con il governo vicereale di Cagliari.
Il vassallo Allion de Brondel, in occasione della sua relazione del giugno 1767 al viceré, espresse un giudizio lapidario sui maddalenini che aveva incontrato già più di una volta: “circa alli abitatori di dette isole, sono di bella statura e buoni per le armi, ma volubili di sentimento, e questo per non avere veruna amministrazione né di Chiesa né di Giustizia”. Con la presa di possesso da parte delle armi sarde, gli isolani iniziarono ad avere religione, giustizia e sostegno economico. Si trattava, nei primi tempi, di una giustizia immediata, fatta di decisioni equitative, e senza procedure formali, ma che risultò efficace e soddisfacente per quei pastori. L’assistenza religiosa divenne continua, e la richiesta di un edificio per il culto esprimeva il bisogno di stabilizzare la loro nuova appartenenza anche dal punto di vista religioso. Il sostegno economico, pur con gli obblighi di restituzione, non era vessatorio e carico degli oneri aggiuntivi pretesi dai mercanti bonifacini. La primissima fase della nuova convivenza confermò, quindi, tutte le più positive previsioni dei pastori isolani, e per altra parte rassicurò il viceré, Bogino e la corte torinese dell’atteggiamento di accettazione e collaborativo dei maddalenini. D’altronde, Des Hayes lo aveva scritto al nuovo comandante del distaccamento delle isole, capitano Pestalozzi, in occasione della notizia dell’invio dell’orzo richiesto: i pastori isolani per le provvidenze di cui stavano beneficiando sarebbero stati “sudditi soddisfatti e più fedeli”.
Salvatore Sanna – Co.Ri.S.Ma