Contrabbando postale
Il 15 ottobre 1767 il maggiore La Rocchetta, comandante del corpo di spedizione che in nome di S.M. Carlo Emanuele III aveva il giorno prima preso possesso dell’arcipelago, indirizzò al viceré conte Des Hayes una lunga lettera per notiziarlo sull’esito della missione e sull’avvenuta occupazione delle isole.
Nella lunga relazione, dopo aver descritto le varie fasi dello sbarco, in merito all’atteggiamento assunto dagli isolani, così scriveva: “…ho intimato loro che dovranno riconoscere il Nostro Augusto Sovrano come loro Autorità; essi mi hanno risposto che sono e saranno sempre sottomessi al vincitore, servendosi della frase “Viva chi vince”, e aggiungeva “…per il momento non ho niente di chiaro da dire sull’inclinazione degli abitanti di queste isole, li studierò meglio per poter esprimere un giudizio con maggior certezza”.
Al dettagliato rapporto allegava la copia di una protesta che alcuni giorni prima il Commissario Aldrovandi di Bonifacio, avuto sentore di quanto stava avvenendo, aveva rimesso agli isolani, unitamente a una bandiera della Repubblica di Genova “…per farne uso in occasione dello sbarco delle Regie Truppe”.
E’ certamente questa la prima missiva partita da La Maddalena per i canali ufficiali del servizio postale interno che era stato istituito il 13 luglio 1739 da Carlo Emanuele III con l’apertura dei primi cinque uffici postali ubicati a Cagliari, Oristano, Bosa, Alghero e Sassari, sulla direttrice centrale dell’isola, e successivamente esteso con la creazione degli uffici di Iglesias, Castell’Aragonese (Castelsardo) e Tempio, la cui apertura era stata voluta dallo stesso sovrano con carta reale del 12 ottobre 1766 pubblicata in Sardegna dal viceré Francesco Luigi Costa della Trinità con Pregone del 3 febbraio 1767.
A quell’epoca, in virtù di un singolare sistema che ebbe attuazione solo in Sardegna, la posta interna dell’Isola non era soggetta a tassazione e le lettere venivano trasportate e recapitate gratuitamente grazie a un contributo per il mantenimento del servizio postale messo a carico dei comuni; pertanto, a differenza di quanto avveniva in tutti gli stati italiani e del continente europeo, in Sardegna chiunque poteva spedire e ricevere posta senza il pagamento di nessun diritto di affrancatura. Era invece soggetta a tassazione (ed il costo era alquanto elevato) la posta diretta fuori dall’isola e quella proveniente dagli stati continentali che non fosse stata resa franca in partenza. Per la posta d’oltremare era stato istituito nel 1749 un regolare servizio marittimo attuato da navi della Marina Sarda, dopo che la media delle missive era salita da 929 lettere all’anno nei primi cinque anni dal 1739 al 1743, a 2473 missive annue nel quinquennio dal 1744 al 1749. Oltre che attraverso il servizio ufficiale era tuttavia consentito spedire e ricevere posta a mezzo di bastimenti mercantili o militari di passaggio purchè, come vedremo, si assolvesse al pagamento della tassa dovuta.
Ovviamente, mentre il movimento della posta interna, stante la gratuità del servizio, non era soggetto ad alcun controllo, per la posta diretta all’estero e negli stati piemontesi di Terraferma i controlli erano severissimi ed altrettanto severe erano le sanzioni per chi spediva, riceveva o trasportava le missive in contrabbando al regolamento postale.
Il giorno successivo alla partenza di quella prima lettera da La Maddalena, il 16 ottobre 1767, una barca partita in tutto segreto dall’isola recò al Commissario di Bonifacio un messaggio degli isolani diretto alla Repubblica di Genova nel quale Matteo Culiolo, Domenico Variano, Giovanni Battista Zicavo, Pietro Millelire, Silvestro Panzano e Pietro Culiolo “…a nome di tutti li isolani”, lamentavano di essere stati militarmente occupati e, sebbene avessero già pronunciato la storica frase “Viva chi vince!”, confermavano la loro fedeltà alla Repubblica di Genova, scrivendo: “…noi semo figli del Prencipe di Genova…semo pronti, semo fedeli al nostro Prencipe tutti l’ora che ci comanda, sempre viva il nostro Prencipe fino all’ultima stilla di sangue, noi semo sempre allo aspetto e aiuto del Prencipe”.
Questa seconda missiva, diretta oltremare, con la quale i doppiogiochisti isolani intendevano evidentemente salvare la faccia, partita clandestinamente da La Maddalena, costituisce il primo caso di lettera in contrabbando al regolamento postale e di evasione della relativa tassa.
Fu un vezzo che i maddalenini mantennero per oltre un secolo. Divenuta l’isola un importante scalo marittimo, la frequenza degli arrivi e partenze di navi mercantili, ed anche di quelle militari, dava l’occasione, malgrado i severi controlli, di inoltrare missive oltremare e di riceverne senza il pagamento della tassa dovuta. E la cosa dovette assumere proporzioni di tale portata da provocare l’intervento del viceré.
A rivelarcelo è una lettera del marchese Ettore Veuillet d’Yenne, che assunse il governo viceregio dal 1820 al 1821, a cavallo fra il regno di Vittorio Emanuele e quello del suo successore Carlo Felice. Questi, avuto chiaro sentore delle malefatte dei maddalenini, il 16 maggio 1820, indirizzava a Domenico Millelire, l’eroe della battaglia del 1793, che era successo al fratello Agostino quale comandante del porto, la seguente reprimenda:
“Per vigente stabilimento delle Regie Poste, che per mezzo di tre Regi Legni traghettano tre volte al mese regolarmente da Genova nel Regno avendo S.M. provveduto opportunamente al mezzo sicuro di far pervenire in ogni parte la corrispondenza di questi commercianti, con le piazze di Terraferma, non possono che attribuirsi a motivo d’abuso le pratiche che, in contravvenzione del prescritto Regolamento per dette Regie Poste si è avuto modo di osservare dal canto dei bastimenti che approdano in questo Porto, i quali si fanno lecito di ricevere dai particolari delle lettere e trasmetterle nel continente senza la dovuta dipendenza degli uffici di posta.
Eccitati quindi da S.M. – proseguiva il viceré – a dare delle disposizioni per far generalmente cessare questo abuso, deve indirizzarsi a lei eccitandola a proibire indistintamente ai Capitani e Padroni di bastimenti, che approdano in codesto Porto, di ricevere alcuna lettera da chiunque siasi, senza eccezione, che non pervenga loro per il canale dell’ufficio di posta, sotto la pena di scudi cinquanta di questa moneta, e rispetto a quei legni, che capitando in codesto porto avessero delle lettere dirette a particolari, inibirà sotto la stessa pena di distribuirle, o farle pervenire in altro modo, che per il canale dell’Ufficio di posta per esservi smaltite con la stessa tassa.
A tal effetto – avvertiva ancora il vicerè – sarà accurata nel prendere fra i costituti del comandante il bastimento che vi approda, anche la sua deposizione di avere o non avere a bordo delle lettere di tale natura per fargliele nel suo caso consegnare, onde essere da Lei rimesse all’Ufficio della Posta, e nel distendervi l’atto dei costituti dovrà Ella specificare non solo la circostanza di avere o non il suddetto comandante denunciato tali lettere, ma anche quella di essere stato da Lei avvertito di non riceverne dai particolari sotto la surriferita penale di scudi cinquanta”.
La predica valse ben poco ed ogni caso il destinatario di essa, i suoi parenti e i suoi familiari erano certamente quelli che ricorrevano maggiormente al contrabbando postale. Abbiano avuto modo di esaminare molta corrispondenza prefilatelica, sia in partenza da La Maddaldena e sia in arrivo, ed abbiano potuto constatare che la stessa, anche dopo la solenne reprimenda, salvo rare eccezioni, non reca alcun segno di tassazione. La corrispondenza della famiglia Millelire, che ci è pervenuta copiosa, se si escludono alcune lettere provenienti da Torino, dove non c’erano occasioni di inoltro clandestino, da Villafranca, dove evidentemente i controlli erano più scrupolosi, e poche lettere viaggiate in periodo di colera, quando la posta, ritenuta veicolo di contagio, veniva sottoposta a disinfezione, è quasi tutta in contrabbando. In molte di queste lettere traspare addirittura che i parenti di Agostino Millelire, la cui nipote era andata sposa a Gaspare Andreys, già comandante di La Maddalena e successivamente uno degli ultimi governatori di Sassari, si facevano sistematicamente recapitare le missive dal continente con i dispacci in franchigia diretti al parente governatore il quale, poi, da Sassari, li immetteva nei canali ordinari delle poste interne per farle giungere a La Maddalena in totale esenzione.
L’antica pratica del contrabbando, che gli isolani esercitarono fin dai loro primi insediamenti, divenuta mestiere, come emerge da queste piccole vicende, era evidentemente entrata nei cromosomi dei maddalenini.