Correva l’anno 1840
Tomaso Volpe è sindaco di La Maddalena. Professioni degli abitanti di La Maddalena in valori assoluti e in percentuale nel 1840:
- Marinaio – 280 (65,9%)
- Pescatore – 30 (7,1%)
- Meccanico – 30 (7,1%)
- Negoziante – 40 (9,4%)
- Agricoltori e pastori – 35 (8,2%)
- Altre professioni – 10 (2,3%)
- TOTALE 425
Quasi il 66% degli occupati dell’isola svolgeva l’attività di marinaio, cifra che raggiunge il 73% se si sommano i meccanici addetti alla manutenzione delle imbarcazioni. Complessivamente, coloro che svolgevano attività legate al mare, compresi, quindi, i pescatori, rappresentavano l’80,1% del totale della forza lavoro impiegata.
Nell’isola aveva sede anche un presidio della R. Marina con circa 70 uomini, mentre il porto offriva un ormeggio sicuro a una ventina di battelli per il trasporto merci da e per la penisola e la Sardegna, più a circa 25 barche da pesca, ospitando, periodicamente, dalle 20 alle 40 gondole per la pesca del corallo, battenti bandiera napoletana o sarda. Di quelli che sono addetti al mare la maggior parte sono coscritti nella marina regia, gli altri o servono in navi di commercio, o ne’ piccoli legni del loro porto. Questi battelli non saranno più di 20. Essi importano dalla Sardegna e dal continente grani, vini, legumi, olio, ferro, zucchero, caffè, manifatture, e altri molti articoli per il bisogno degli abitanti e per i popoli della Gallura: ma poi o una volta o l’altra importanti alcuni di questi articoli da navi nazionali o francesi (della Corsica). Un piccol battello fa tutti i giorni la corrispondenza di quest’isola col prossimo continente trasportando merci e passeggieri. Qualche anno più tardi, nella primavera del 1843, un altro viaggiatore inglese, John Warre Tyndale, durante il suo soggiorno in Sardegna, visitò l’arcipelago de La Maddalena. Costui scrive che gli abitanti si aggiravano attorno alle 2.300 unità, «due terzi dei quali trovano occupazione nel traffico marittimo». In realtà, mentre la cifra di 2.300 abitanti potrebbe non essere molto rispondente alla realtà, è però verosimile, come precedentemente confermato da altri autori, che la maggior parte della popolazione fosse dedita ad attività marinaresche. Tyndale sostiene, inoltre, che «nell’organico della Marina reale degli Stati di Sardegna, l’isola di Sardegna contribuisce solamente con non più di due ufficiali e quindici marinai e la maggior parte di questi sono Ilvesi (ovvero gli abitanti di La Maddalena)». Questo, probabilmente, potrebbe significare che il presidio militare di 70 uomini di cui parla il Casalis, non fosse composto solo da militari sardi, o che ci sia stato un ulteriore ridimensionamento del presidio stesso. Ma appare difficile credere che l’apporto alla Regia Marina della Maddalena e dell’intera Sardegna, per quanto limitato, si riducesse a soli 15 marinai, se si tiene conto anche del solo fatto che i 2/3 degli abitanti dell’arcipelago gallurese erano impegnati tanto nella Marina mercantile quanto in quella militare. Certamente, col passare degli anni, diminuì il peso dei maddalenini all’interno della Marina militare e si accentuò quello all’interno della Marina mercantile. Infatti, il grosso degli uomini della Maddalena risultava essere impiegato presso compagnie di navigazione private che avevano sede, soprattutto a Genova, ma anche imbarcato in mezzi navali della Marina militare sarda. La Maddalena, inoltre, persa nel 1815 la sua centralità come sede del Comando navale della Regia Marina, si accinse a svolgere un ruolo significativo dal punto di vista commerciale. Non a caso, «Il commercio – prosegue Tyndale – che consiste nell’esportazione e nel trasporto del grano, bestiame e formaggio verso i porti di Bastia, Livorno e Marsiglia, si effettua con circa ventidue navi da venti tonnellate, mentre settanta di stazza inferiore vengono impiegate nel traffico costiero». Nell’anno 1842, «entrarono in porto 262 navi, eccettuate quelle da guerra; di queste, 121 erano genovesi, 55 napoletane, 14 francesi e 2 toscane, per un complesso di 4825 tonnellate».
Il medico corso Francesco Barboni esercita la sua professione a Santa Teresa, grazie a una convenzione con il Comune.
Il faro della Testa viene progettato, d’accordo con il governo francese, contemporaneamente ad altri, nell’intento di illuminare il pericoloso passaggio delle Bocche di Bonifacio.
Il bandito corso Paul Ettori viene arrestato a Santa Teresa e inviato nel carcere di La Maddalena.
Vittorio Angius compila la lunga voce dedicata alla Gallura nel Dizionario Geografico-Storico-Statistico- Commerciale degli stati di S. M. il Re di Sardegna del Casalis: descrive le rovine del castello con un riferimento alla lapide di Eleonora che sarebbe stata rubata dai Maddalenini (Angius, 78). Tyndale, a questo proposito, afferma che i responsabili del furto sarebbero stati “gli abitanti di Ula” che la avrebbero portata a La Maddalena (Tyndale, 344).
Viceré è Giacomo conte de Asarta, che ricoprirà l’incarico fino al 1843.
Tempio ottiene la titolarità della diocesi di Civita e la creazione del Capitolo in luogo della Collegiata.
Grazie a un censimento del 1840, possiamo apprendere che “il porto della Maddalena è ordinato tra quelli di terza classe, ed ha un comandate particolare. Per l’amministrazione delle dogane vi è un ricevitore particolare; per la marina mercantile un viceconsole, ed un ricevitore dei diritti di ancoraggio”. Sull’aggettivo “particolare” ci sarebbe da scrivere un trattato a parte. Alla necessità di ritoccare i banchinamenti, sempre in funzione delle esigenze del naviglio, si appaiava l’esigenza della viabilità a terra, sacrificata e difficoltosa in alcuni punti del lungomare, in particolare all’altezza dello spigolo dell’attuale Bar dello Sport, soprattutto in occasione di affollate processioni, che in un preciso tratto, rischiavano di veder finire in acqua sia i fedeli che i pesanti simulacri. Tanto che si sentiva la necessità di allargare il banchinamento, imponendo la demolizione di parte della casa degli eredi di Anna Maria Chiozzi e Giovanni Maria Maso, per allinearla al banchinamento stesso. Progetto che, come vedremo, si realizzerà solo nel 1897. Nel frattempo le carte ci presentano un argano (segno di rimessaggio a terra) sulla banchina davanti all’imboccatura della via Grande (che poi diventerà Corso Vittorio Emanuele). Le prime foto, invece, che confermano i disegni del progetto, ci mostrano un piccolo scalo di alaggio, esattamente nel cuore della mitica Cala. Lo scalo, d’altra parte, era sorto naturalmente lì, perché il fondale marino nella zona andava a morire proprio in quel punto, a causa della valanga dei detriti e di sabbia che portava periodicamente una delle più tumultuose vadine dell’isola, che raccoglieva le acque della corona collinare degli Ulivi, attraverso il terreno a valle di proprietà dei Millelire (Battista fu Agostino e Millelire Antonio, Ignazio, Mariangela e Maria fu Agostino) che costeggiava da nord a sud il letto del torrente dove incautamente sorgerà l’emporio commerciale di Carlo Ajassa. Si provvide quindi a spingere il prolungamento del banchinamento a sud-est, al fine di inglobare una famosa secca dove, ancora il 19 luglio 1863, persino il piroscafo “Sardegna” dei Servizi Postali Raffaele Rubattino & C. di Genova si era insellato. La popolazione, in quella circostanza, si era prodigata con slancio per salvare il salvabile, compreso il bastimento, ottenendo il ringraziamento ufficiale della Società di Navigazione, rappresentata nell’isola da sir Daniel Roberts, un distinto e molto rispettato ufficiale in pensione della Royal Navy, amico dei poeti Shelley e Byron, che furono, per qualcuno, anche suoi ospiti a Cala Gavetta. Il dragaggio del fondale della cala si rese presto necessario proprio per consentire ai bastimenti che scaricavano merci per l’emporio Ajassa, edificato sul terreno già citato dei Millelire, di accostarsi il più possibile a terra. L’emporio occuperà un’area di 57 metri per 34, orientato da nord a sud, all’epoca a una trentina di metri dalla battigia, con un numero imprecisato di box ai lati di levante e di ponente, per stiparvi e vendere tutto ciò che fosse essenziale e utile per l’edilizia. La costruzione di un nuovo molo, intanto, proprio per inglobare la famigerata secca diventerà così importante che chiunque dovesse andare a fare una passeggiata al porto, non nominava più Cala Gavetta, ma soltanto “U Molu”, che di Cala Gavetta era diventato il fiore all’occhiello. Per raggiungere questo obiettivo una delegazione si era recata addirittura a Roma, l’11 marzo 1875, per ottenere dal generale Garibaldi, il suo prestigioso appoggio politico. Gli amministratori locali chiedevano la sistemazione dei banchinamenti, il potenziamento dello scalo, la creazione di un bacino e di tante altre cose ancora, come pure la costruzione di “un lazzaretto internazionale a Santo Stefano”, per le navi che battevano bandiera gialla e che, con contagiati a bordo, magari pretendessero di entrare a Cala Gavetta. Richiesta che molto prima aveva fruttato la costruzione di un bollitore-disinfettore sul lungomare di Cala Gavetta, tra il Comando Militare e Punta Nera, dove sorgerà la Capitaneria del Porto, e dove i contagiati, al termine della quarantena sull’isola dirimpettaia, venivano denudati, gli abiti sterilizzati nel disinfettore, e loro, nudi, con una coperta sulle spalle, si recavano nel piazzale interno del rione sanità, per essere ispezionati, a distanza, dal Bailo, che aveva competenze pure in materia sanitaria. Ricevuto il via libera, finalmente gli ospiti erano messi nella condizione di rivestire i loro panni e di entrare in paese. Nel frattempo si costruirono nuove garitte doganali, un tempo arretrate, a levante, di una cinquantina di metri, dove ancora oggi sopravvive il “Vicolo Garitta”, tra via XX Settembre e via Principe di Napoli. Quest’ultimo vicolo, quando la nominata garitta era attiva, non esisteva ancora, in quanto la linea della costa rasentava proprio la garitta, come da un importante e chiarificatore disegno del prof. Chiaese. Le nuove opere dovevano garantire un più pratico “affaccio” sullo specchio acqueo della cala, ora che una buona parte di mare era stata rubata dall’avanzamento del nuovo banchinamento. 14Poi, per la necessità di proteggere i gozzi e i bastimenti dal libeccio, si era studiato lo sviluppo di pennelli sempre più a tenaglia verso meridione, con conseguenti ulteriori avanzamenti nel mare, garantendo a un tempo maggiore spazio stradale e fondali più adeguati, per ormeggi importanti. Questi, però, in realtà, si realizzeranno soltanto per fasi successive e in periodi molto più vicini a noi. (Giancarlo Tusceri)
Vittorio Angius, che sta compilando le voci sarde del “Dizionario Geografico Storico Statistico Commerciale degli Stati di S.M. il Re di Sardegna”, visita La Maddalena e ne “scatta” una interessante “istantanea”: Nell’anno 1840 la popolazione della Maddalena componevasi di anime 2.115, delle quali 1.025 nel sesso maschile, 1.090 nel femminile, distribuite in famiglie 425. La parte maschile appare troppo scarsa, perché non si vedono nel giusto numero che le due età estreme i fanciulli e i vecchi, o manca la maggior parte delle persone di miglior età, per i molti che travagliano nella marineria. La foggia del vestire è la stessa che si usa in Italia. Le medie risultate dal decennio diedero nascite 65, morti 20, matrimoni 12. Vivesi da molti oltre i sessant’anni. Le malattie più frequenti sono infiammazioni, febbri gastriche e biliose; e non sono rari i casi di scorbuto. Attendono alla salute pubblica due medici ed alcuni flebotomi con un farmacista.
Professioni. Sono in quest’isola famiglie di marinari 280, di pescatori 30, di negozianti 40, di agricoltori e pastori 35, di meccanici 30, e altre 10 di altri uffici. I marinari servono con molta loda nelle navi regie, o navigano in legni mercantili; i pescatori lavorano per provvedere il paese e la Gallura; gli agricoltori e pastori spesso riuniscono le due arti; i meccanici sono per i soliti bisogni di società, e per il ristauramento delle navi; i negozianti provvedono le cose necessarie al paese, e fanno molti affari in Gallura e Corsica, essendo i mezzani o sensali delle due isole. Le donne lavorano tele, reti, filano la gnacchera, e fanno guanti di gran pregio, de’ quali provvedono molti in Sardegna e altrove.
Istruzione. La scuola primaria conta circa 100 tra fanciulli e giovanetti, ai quali si insegnano le prime lettere, poche regole dell’aritmetica, ed i principi dell’agricoltura. Sarebbe molto utile se si aggiungessero gli elementi della geografia, della quale han bisogno uomini, che si dovranno dedicare alla marina.
Governo ed amministrazioni. In quest’isola è un comandante militare, un presidio di circa 70 uomini della R. marina, ed un ergastolo con certo numero di servi pubblici. Risiede nella medesima un giudice di mandamento con giurisdizione sopra le due popolazioni litoranee Longone, e Terranova. Il porto della Maddalena è ordinato tra quelli di terza classe, ed ha un comandante particolare. Per l’amministrazione delle dogane vi è un ricevitore particolare; per la marina mercantile un viceconsole, ed un ricevitore dei dritti di ancoraggio. Le cose comunali sono governate da un consiglio di probi uomini, in cui primeggia il sindaco.
Borgo. È situato sulla sponda meridionale dell’isoletta rimpetto al Palào che resta al libeccio, in distanza di 3 miglia. Vi sono 2 contrade principali senza selciamento, o lastrico. Le case sono circa 320, tutte di costruzione ordinaria, nessuna che meriti essere indicata. Fortificazioni. Nel promontorio della guardia vecchia è il forte di San Vittorio, stabilito come specola sul mare, e armato di 9 cannoni, e presso la chiesa campestre il forte della Trinità, dove vedonsi le vestigie d’un vecchio castello e le rovine delle prime case, che si erano fabbricate. A questi si aggiungano i forti del Balbiano, di Santa Teresa, Sant’Andrea, Sant’Agostino, e quello di San Giorgio, che fu eretto nel 1809, i quali sono tra loro così disposti, che possano incrociar i tiri.
Porto della Maddalena. Si appella Cala gavetta, ed ha fondo perché vi possano star all’ancora de’ brik da guerra, e tanta capacità da contenere 150 legni mercantili. Si sta in esso con sicurezza in tutti i tempi, perché riparato da tutte le parti. Anche nel porto di levante, nel seno che dicono Mangiavolpe, può un legno trovar rifugio, e riposare dal travaglio delle tempeste; già che la Caprera lo copre a mezzogiorno, levante e greco, e un grande scoglio frange il mare di settentrione. Però il porto principale è il bacino di Mezzoschiffo, dell’area di circa 2 miglia quadrate, che formasi dalle sponde della Sardegna nel Palào, dall’isoletta di S. Stefano, e dalla spiaggia australe della Maddalena. Qui possono stare legni da guerra di qualunque portata, flotte intere, anche 200 navi, e starvi anche ne’ tempi più terribili con quella stessa sicurezza, che si può stare in una darsena, che non riceva direttamente il mar esterno. Gl’inglesi nel tempo della guerra ne conobbero tutto il vantaggio, epperò meglio che altrove in questo porto amavano di stare, donde dominavano il mar tirreno e il mare sardo, perché a’ segni delle navi esploratrici potevano facilmente veleggiare sul nemico.
Marineria. Di quelli che sono addetti al mare la maggior parte sono coscritti nella marina regia, gli altri o servono in navi di commercio, o ne’ piccoli legni del loro porto. Questi battelli non saranno più di 20. Essi importano dalla Sardegna e dal continente grani, vini, legumi, olio, ferro, zucchero, caffè, manifatture, e altri molti articoli per il bisogno degli abitanti e per li popoli della Gallura: ma poi o una volta o l’altra importansi alcuni di questi articoli da navi nazionali o francesi (della Corsica). Un piccol battello fa tutti i giorni la corrispondenza di quest’isola col prossimo continente trasportando merci e passeggeri. Dalla Maddalena al Palào sono tre miglia.
Pesca. Le barche pescherecce sono circa 25. Abbondano in queste acque pesci di moltissime specie, e sono un gran ramo di lucro pei pescatori, già che provvedono tutta la Gallura. A dir però il vero essi guadagnano assai più dalla secreta industria de’ contrabbandi, che esercitano con molta accortezza. Vengono tutti gli anni in queste acque da 20 a 40 gondole coralliere con bandiera napoletana o sarda, e fanno una pescagione or copiosa ora scarsa secondo che ne’ paraggi ove faticano, prevalga il levante o il ponente. Giova sperare che il guadagno vistoso di cui vedono spesso contenti i corallieri possa persuadere questi isolani ad applicarsi a tal pesca.
Agricoltura. La sterilità del luogo avrebbe dovuto stimolare i coloni a superar questo difetto, trasportando terra dalla Sardegna, formando con le muriccie diversi piani, ed estendendo ogni dì più il suolo produttivo, perché si avesse il necessario in frumento e legumi, in vino ed olio, anzi si avesse per dare rinfreschi alle navi che nei lunghi viaggi si fermano a riposare e a riparar le vettovaglie: tutta volta si è fatto ben poco, come si può computare ricordando la superficie di questa e delle isole prossime, e vedendo quanta parte di quel totale sia la terra coltivata.
L’ordinaria seminagione non sopravanza li starelli 36 di frumento, e i 34 di orzo, e non fruttifica solitamente più che il sette. Essa suol farsi in tutte le isole già nominate, alternandosi l’aratura ed il maggese. Da questo può dedursi che tutte le terre arative della Maddalena, Caprera, Santo Stefano, Spargi, Santa Maria, Razzoli, e Budello, sono angustissimi tratti di terra fra le nude roccie, e che in totale non oltrepassano li 140 starelli di superficie. E a questo numero se si addizioni quello che dice la total superficie degli orti e delle vigne, che non sarà di molto maggiore, si vedrà che nè pur un miglio quadrato è ancora colto, e che restano in istato selvatico forse più che altre tredici parti del territorio. Le piante ortensi solite coltivarsi sono cavoli, lattuche, cipolle, melloni, cocomeri, pomidoro e diverse erbette che si mangiano insalate. La vigna prospera, e nelle uve bianche ha più comuni le varietà che dicono brustiana, vermentina, moscatello: nelle nere le nominate girò, muristellu, cardarellu, carcangliola. La vendemmia suol soventi produrre più di 100 botti di 500 pinte: il vino formato dalla mescolanza di tante uve lodasi per gran bontà. Siccome questa quantità è molto minore del bisogno, quindi non se ne può bruciare per ottenerne acquavite. I fruttiferi sono in poche specie e piccol numero. Nell’anno 1836 si numerarono ficaje 250, peri 154, pomi 170, susini 113, peschi 60, ulivi in sol sito 237. I prodotti sono deliziosi. In queste piccole terre sono ben rari i grandi vegetali. Le piante più frequenti sono il lentisco, il mirto, l’arbito, come essi dicono, il corbezzolo, pochi olivastri, ed è sparso in tutte le parti e in larghe macchie la pianta che dicono muchiu. I terreni chiusi per pascolo e seminerio sono circa 50, ed occupano poco men che la terza parte dell’isola, cioè miglia quadrate 1,84.
Pastorizia. Anche la pastorizia è più ristretta, che consente il territorio. Nella Maddalena, in s. Stefano, nella Caprera, in Santa Maria, vi sono de’ pastori fissi, e che hanno abitazione nelle cussorgie. Nell’anno 1836 si numeravano vacche tra grandi e piccole 204, pecore 577, capre 996, maiali 25, giumenti 45. Quasi tutti gli anni il bestiame patisce dal morbo che dicono dessa ferula, del quale muoiono senza rimedio quanti ne sono attaccati. I formaggi sono ottimi, e molto pregia-ti; ma non se ne vende perché in piccola quantità. La ricotta che fanno i pastori dell’isola gode non minor riputazione, che quella che san fare i pastori romani.
Religione. La parrocchia della Maddalena comprendesi nella diocesi di Civita, o Tempio, e si governa da un parroco che si intitola vicario, ed è assistito nella cura delle anime da un altro sacerdote. La chiesa oggi campestre della Trinità e distante mezz’ora, fu la prima parrocchia fabbricata, quando il Re di Sardegna comprese nella sua protezione quei pastori. Dopo queste non si ha a notare, che la cappella del Camposanto situato a mezzo miglio dal paese, e le rovine d’una antica chiesa nella così detta cala di Chiesa, dove non si sa in quali tempi sia esistita la popolazione, che da certi indizi pare esservi stata. Nelle altre isole non fu alcun edifizio religioso, fuorché in quella di s. Maria di sei miglia di circonferenza, nella quale era la chiesa di tal denominazione. Non si ha sopra la medesima alcuna notizia.
Notizie storiche. Si trovano queste nella storia annessa all’articolo della Gallura. In quella si sono narrati i casi dell’invasione francese, nella quale questi popolani assistiti da 150 bravi Galluresi fecero una valida resistenza e ottennero vittoria. Non si è omessa alcuna cosa degna di memoria, fuorché l’atto generoso di un certo Asmard soldato del reggimento Courten, il quale corse a ritirare una miccia accesa che era in sul punto di arrivare alla traccia della polvere che dovea far saltare la torre di Santo Stefano, vendetta che il giovine Bonaparte volea fare contro i sardi da’ quali fu sospinto in una precipitosa fuga. A questo valoroso fu esibito il grado di sottotenente; però egli si contentò dell’alta paga e del distintivo onorifico della medaglia d’argento avente l’effigie di Vittorio Amedeo III. Sarebbe si dovuto parlare de’ combattimenti di questi isolani co’ barbareschi, che spesso venivano nel mar d’intorno per predare e invadere, quando avessero potuto, la popolazione; ma perché di quelle azioni di valore, che pur erano grandi, non si tenne il dovuto conto; però non si può proporre alcuna particolarità. Il fatto certo è questo che, mentre tutti gli anni i barbareschi mareggiavano presso quest’isola, e adunavano quante forze potevano per vincere questi isolani, sempre furono battuti fieramente, ed o spinti in una vergognosa fuga, o arrestati prigionieri.
Caprera, anticamente Porcaria e da Tolommeo insula Phintonis? è una piccola terra montuosa aggiacente alla costa settentrionale della Sardegna, contro al golfo di Arsaquèna, sulle bocche dalla parte di levante. La sua situazione geografica è determinata tra li paralleli 41°, 10′ e 41°, 15′, e tra li meridiani (all’oriente di Cagliari) 0°, 17′, 31″, e 0°, 20′. Sarebbe affatto deserta, se non vi stanziassero da dieci famiglie di pastori della Maddalena in capanne di frasche a educarvi delle vacche, pecore e capre. È celebre la ricotta butirrosa che vi si manipola conformata in una pinocchia spirale; quella che lavorano i galluresi è ben inferiore; la romana non vince nel paragone. I maddalenini poveri di terre bramerebbero queste a se in una equa divisione a piantarvi un vigneto, e coltivarvi delle piante fruttifere, onde accadesse di dipender meno dalla Ogliastra per li vini, e di avere dove e come impiegarsi, quando vacassero dal mare. Le rocce sono granitiche: il Tialone è la eminenza più ragguardevole.
Arena Bianca, monte nell’isola di Santa Maria, dalla spiaggia di Liscia poco discosto, a cui fanno corona colli incolti, popolati di olivi selvatici, non che valloni ricchi di eccellenti pascoli. È una regione per la mitezza e soavità del suo clima piacevolissima.
1 gennaio
Negli stati di terraferma entra in vigore il nuovo Codice penale.
In aprile muore il cagliaritano Raimondo Marras, esiliato con Sulis e Pili.
27 maggio
Per contrastare le numerose eccezioni invocate dal clero il sovrano ribadisce l’abolizione del privilegio delle esenzioni nella contribuzione richiesta dai comuni per il riscatto dei feudi.