Correva l’anno 1836

21 maggio

Abolita in Sardegna la giurisdizione feudale: il provvedimento prevede il riscatto dei feudi attraverso indennizzi pattuiti caso per caso con i feudatari.

26 giugno

Il governo tenta di contenere le spinte anti-feudali che si sviluppano nell’isola: una circolare viceregia chiarisce che il re non intende privare i baroni dei loro redditi e chiama gli ufficiali di giustizia a sostenere le ragioni dei feudatari contro i debitori che vogliono sottrarsi al pagamento dei tributi.

16 agosto

Il sovrano riforma i consigli civici delle città dell’isola. In forza del Regio Editto emesso da Carlo Alberto, pubblicato in Sardegna il 25 Marzo 1837 dal Viceré Giuseppe Maria Montiglio, venne istituito il primo ufficio postale a La Maddalena, alle dipendenze dell’Ufficio primario di Tempio. Le esigenze postali del piccolo centro, che sino allora venivano assolte dai “Bastimenti Leggeri” della Marina Sandra, da “Gondole” da carico e da viaggiatori occasionali, furono affidate ad un regolare Corriere. I corrieri partivano da La Maddalena due volte la settimana: La domenica ed il mercoledì, alle ore 8 di sera, con la “Gondola del dispaccio”, sbarcando sulla costa (era del tutto inesistente Palau), raggiungevano Tempio, capoluogo Gallurese, che era collegato alla costa da una strada stretta e polverosa, una pista per carri.

7 settembre

Una delle epidemie più virulente che le cronache ricordano fu però quella di peste e di “Cholera Morbus” scoppiata nell’estate del 1835 e durata fino agli ultimi mesi del 1837. Furono tempi durissimi per tutti i paesi che si affacciavano sul Mediterraneo e gli abitanti di La Maddalena dovettero sottoporsi a non pochi sacrifici. L’isola, interessata allora da intensi traffici marittimi, fu sede con Carloforte di un lazzaretto abilitato alla contumacia delle navi (le cui vestigia sono giunte sino ai nostri giorni), mentre per la quarantena erano abilitati i soli porti di Cagliari e Alghero. Eccezionalmente, però, quando le navi non potevano proseguire alla volta dei porti abilitati per gravi danni che ne impedivano la navigazione, su autorizzazione del viceré la quarantana poteva essere scontata a La Maddalena. Grazie alle salvaguardie sanitarie poste in atto nei confronti dei bastimenti e all’intensa opera di vigilanza esercitata dalle vedette e dalle ronde sanitarie, l’isola rimase quasi sempre immune dal contagio, ma la popolazione dovette affrontare pesanti privazioni. C’era poco bestiame, scarsi i prodotti dell’agricoltura ed il timore del colera sconsigliava il consumo dei prodotti ittici dei quali, invece, v’era abbondanza. I rifornimenti, a causa delle lunghe soste alle quali erano soggette le navi, sia nel viaggio di andata che in quello di ritorno (la doppia quarantena comportava ottanta giorni di sosta forzata), subivano enormi ritardi e spesso si rimaneva per intere settimane privi di carne e di grano. Frequenti dunque gli episodi di ruberie negli ovili, negli orti e nelle vigne ed altrettanto frequenti le denunce, i processi e le ritorsioni nei confronti dei sospettati. Quale fosse in quegli anni la situazione delle epidemie nel Mediterraneo ci viene narrato in una lettera del 7 settembre 1836, scritta da Agostino Azara al padre Pietro, console di Marina a La Maddalena. Agostino, che come vediamo porta in nome del nonno materno essendo figlio della primogenita di Agostino Millelire, Mariangela, si trovava in navigazione su una nave partita da Genova alla volta del nord Africa e approdata a Cagliari nel viaggio di ritorno dopo settimane di sofferta navigazione. La missiva, che riporta due evidenti tagli di disinfezione e segni di fumigazione, scritta dalla quarantena di Cagliari ed inoltrata a La Maddalena via mare con una nave di passaggio, così descrive il viaggio compiuto dal giovane ufficiale: “Dalla partenza di Genova abbiamo messo 29 giorni per arrivare in Alessandria, lì vi era la peste; cosicché non sono stato messo a terra che io solo per servizio; e quindi ci siamo messi in quarantena per paura della detta peste la quale ora va correndo ed ha preso piede in tutto il Levante. Dopo 10 giorni (il 10 agosto) siamo partiti ed abbiamo ancorato a Malta il 27 dopo una navigazione di cattivi tempi ed abbiamo sofferto la fame, perché i viveri erano pessimi e carne fresca non ne avevamo. Lì eravamo nuovamente in quarantena ed abbiamo appreso che a Genova vi era il Colera, ciò mi ha messo in inquietudine; il 5 settembre abbiamo fatto vela per Cagliari ove arrivammo li 11 a sera e vi dimoreremo da 12 a 15 giorni pendente la quale stazione spero di avere delle ulteriori notizie. La nostra quarantena avrà luogo sino al 10 di ottobre finita la quale andremo probabilmente in disarmo, ed alla fine del mese potrei forse venire in permesso se il Colera cessasse”. Dalle notizie fornite da Agostino è facile apprendere che la nave sulla quale era imbarcato, partita per una qualche missione, era passata invece da una quarantena all’altra costringendo l’equipaggio a rimanere a bordo dall’inizio di luglio fino a metà ottobre. All’arrivo della lettera, Pietro Azara annotava a tergo della stessa: “…da Cagliari del figlio Agostino, contiene dettaglio della provenienza da Alessandria, ove corre la peste; che il ciel ci liberi”. Ma se il cielo fu clemente con la peste e col colera del 1835, non liberò l’isola dall’epidemia di colera del 1854, ricomparsa con maggior virulenza l’anno successivo in quasi tutto il nord della Sardegna ed in particolare a Sassari dove i morti, come riferisce il Costa, che visse quelle tragiche giornate, furono oltre cinquemila e a dire di Salvatore Farina “…non è lontano dal vero che Sassari, la quale contava allora un po’ più di 30 mila abitanti, ne seppellisse quell’anno 10 mila, e almeno le avesse seppellite bene”. Non sappiamo quanti furono i morti a La Maddalena, ma certamente, come traspare da una lettera inviata al sindaco Giò Leonardo Bargone dall’intendente provinciale di Tempio il 31 agosto 1854, la situazione non doveva essere rosea. E a soffrirne maggiormente erano i più poveri che colti dal morbo, si trovavano nell’impossibilità di lavorare e di procacciarsi il necessario per curarsi e sopravvivere. Il Bargone, per sopperire alle esigenze dei più bisognosi, aveva dunque fatto ricorso all’intendente che, sia pure in maniera singolare, era venuto in aiuto degli isolani, “La deplorabile situazione di codesto luogo – scriveva l’intendente – ove è scoppiato ed infierisce il Colera Morbus, stato ormai dichiarato tale, come rilevasi dal rapporto del Dr. Tamponi, sta sommamente a cuore dello scrivente, il quale in vista della mancanza di mezzi di codesta comunità, e della nessuna offerta privata si è determinato d’inviare al Sig. Sindaco la somma di lire trecento da erogarsi nei bisogni attuali, massime a beneficio della classe povera”. La premurosa sovvenzione dell’intendente non era però a titolo grazioso; egli, infatti, precisava che la somma inviata “…si intende concessa a titolo di prestito che a suo tempo sarà oggetto di apposita pratica da istruirsi secondo che meglio sarà avvertito, e di cui il prefato Sig. Sindaco spedirà ricevuta in carta da bollo da centesimi quaranta che qui si unisce trasmettendola a volta di corriere allo scrivente in cui favore verrà fatta, e che alla somma medesima aggiunga franchi quaranta del proprio da distribuire ai Cholerosi poveri”. Strana sovvenzione dunque quella dell’intendente che, oltretutto, impone al sindaco di aggiungere alla somma rimessa altri quaranta franchi del proprio. Molto generosamente, però, fa pervenire la carta bollata da centesimi quaranta per stendervi la ricevuta, salvo poi a chiedere in futuro anche il rimborso di quella. A sobbarcarsi gli oneri di quelle tristi giornate non fu però il sindaco Bargone, anche lui colpito dal morbo, ma il consigliere Nicolò Susini chiamato ad assumerne le funzioni. E l’intendente, venuto a conoscenza dell’impegno da lui profuso, non mancò, visto che almeno quelli non costavano nulla, di tributargli sperticati elogi: “Quanto viene penoso al sottoscritto lo stato di Maddalena, altrettanto gli è confortevole sapere che chi fa le veci del sindaco abbia provveduto alle emergenze in modo assai commendevole, come riferisce il Dr. Tamponi, per cui il sottoscritto stesso gliene esterna tutta la sua soddisfazione e gliene tributa le lodi meritate, riservandosi di segnalarlo al Ministro. Continui l’autorità municipale in questa via e metta in pratica quelle misure che non fossero state adottate, infonda coraggio, inspiri nella popolazione generosi e filantropici sentimenti che il morbo sarà presto per cessare, speriamolo”. Non abbiamo precisa notizia su quanto avvenne a La Maddalena, ma alcuni atti della Giudicatura ci offrono l’opportunità di rievocare un episodio avvenuto in quei tristi giorni. Il 4 settembre, il sindaco Bargone, fortunosamente e fortunatamente rimessosi, denunciava: “Nella sera di oggi è deceduta Maddalena Chinedri da malattia del terribile Cholera, superstite costei del predefunto di lei marito Giovanni Sanguinetti, Gabelloto di questo comune, rimane la casa di abitazione di costoro deserta di persone che abbiano diritto alla loro professione, quali piuttosto esistono in altri paesi, io vengo perciò a porgerne notizia alla Giudicatura perché con suo ufficio ponga riparo su qualunque danno potesse emergere dall’abbandono della casa ove esistono le cose che appartenevano ai preindicati Giugali non a guari deceduti”. Il Gabelloto era l’unico depositario in paese dei generi di privativa, cioè dei tabacchi, del sale e della polvere da sparo che non potevano rimanere abbandonati ed erano necessari alla popolazione. Il giudice mandamentale Efisio Bisson, pertanto, recatosi nella casa dei Sanguinetti, posta a Cala Gavetta, alla presenza dell’ispettore delle gabelle Luigi Cossu, dopo aver provveduto alla consegna dei tabacchi e della polvere da mina e da caccia al gabelloto provvisorio Felice Fienga, coll’ausilio di tre facchini, fatte convenientemente allontanare le persone presenti, faceva sciorinare alla riva del mare tutti gli effetti contenuti nella casa e ripostili poi nella stessa, dopo lo sciorinamento, provvedeva alla chiusura della porta non potendosi procedere oltre in quanto “…per risparmio di tempo nell’attuale infausta circostanza del Cholera Morbus non abbiamo inventariato con verificazione di ciò che esiste nella detta casa e ci siamo limitati a lasciare le cose in stato quo senza la benché menoma rimozione, assicurandole a chi di diritto con aver chiuso come abbiamo fatto chiudere dal fabbro ferraro Giuseppe Manca la porta d’ingresso non solo colla sua serratura a chiave ma con lunghi chiodi di ferro ribattuti”. Le speranze dell’intendente furono alfine esaudite; nel mese di ottobre l’epidemia era stata pressoché domata. Lo apprendiamo proprio grazie all’evento di cui sopra. Difatti, sull’istanza di Francesco Viggiani, viceconsole francese nominato procuratore di Gerolama Chinedri, madre della defunta Maddalena, residente a Bonifacio, si procedette all’apertura della casa per l’inventario e la consegna dei beni all’erede. Ma il sindaco, anche stavolta rappresentato dal suo vice Nicolò Susini, temendo che dall’apertura della casa potessero insorgere pericoli, il 20 ottobre così si rivolgeva al giudice: “Per la notizia pervenutami che da questa giudicatura si procede al dissigillamento ed apertura della casa nella quale abitavano gli oggi defunti Giovanni Sanguinetti e Maddalena Chinedri deceduti nel tempo del terribile morbo che ha afflitto questa popolazione, essendo stata la stessa casa sempre chiusa fino a questo momento, credo necessario, qualunque sia l’interesse degli eredi per la detta apertura, che si usino le necessarie precauzioni onde disinfettare quell’aria mefitica che potrebbe essere cagionevole alla pubblica salute e perciò promuovo istanza che si eseguiscano tali precauzioni”. E il giudice Bisson, in giorno stesso, così procedeva e verbalizzava: “…onde schivare il maggior danno, che potrebbe succedere nella salute pubblica per il Cholera Morbus, la di cui scomparsa non è tuttavia certa fra questi abitanti, abbiamo accettato la proposizione di esso sindaco di premunirci delle materie necessarie dalla farmacia per disinfettare l’aria della stessa casa per tanto tempo rinchiusa e di tenerla aperta alla ventilazione e prima di procedersi alla descrizione di ciò che vi esiste abbiamo fatto profumare la stessa casa lasciandovi anche materie disinfettanti e abbiano altra volta chiuse le porte e finestre colle cautele prescritte dalle leggi”. L’inventario fu poi eseguito il 23 ottobre. In tale data il giudice Bisson ritornava sul posto e così verbalizzava: “Dopo tre giorni consecutivi dal dì dell’apertura della presente casa nelle porte e finestre e di profumi con materie disinfettanti per le istanze promosse dal Sindaco Comunale a scanso di nuovamente riprodursi nel vicinato ed in questa popolazione il malore che l’affliggeva avendo noi prestato con personale intervento la necessaria assistenza nelle operazioni suddette si è proceduto all’apertura e alla ventilazione della stessa…”; ed esaurite queste formalità, si dava corso all’inventario e alla successiva consegna della casa e degli effetti contenuti al procuratore dell’erede. Anche La Maddalena, dunque, malgrado tutte le cautele sanitarie adottate, dovette pagare lo scotto di una delle tante terribili epidemie oggi fortunatamente scomparse o quanto meno sopite. (A. Ciotta)

8 dicembre

Nasce a La Maddalena Giuseppe Cuneo. Era meglio conosciuto come “Cissia“, il suo nome di guerra. Non ci sono giunte molte informazioni riguardo la vita di Giuseppe, solo la memoria di lui come eroe. Sicuramente era un uomo di grande valore, dal momento che nel 1879 il “Fanfulla”, un giornale di Roma, pubblicò un elogio funebre a Cissia, dopo la sua morte. Si imbarcò da giovinetto sulle navi della Regia Marina Sarda e fu primo capo cannoniere nella marina di S. M. Combatté la guerra di Crimea, quella del 59, 60, 61 e 66. A La Maddalena abitava, con la moglie Caterina Mamberti, in una modesta casetta bianca nei pressi di Punta Nera. Morì per paralisi al cuore il 20 agosto 1879, lontano dalla sua amata patria, a Rio De Janeiro, a bordo della Regia corazzata “Garibaldi”. Che egli fosse un valoroso lo provano le tante medaglie che aveva ricevuto: oltre alle commemorative per le guerre di indipendenza, vi era la commemorativa del ’59, quella al valore militare francese, due al valore militare italiano e la commemorativa inglese per la guerra in Crimea. Era un vero esempio di virtù e disciplina militare ed era tanto entusiasta del suo dovere che non sopportava di vedersi infermo e sdegnava il riposo, seppur ne avrebbe avuto bisogno. Giuseppe era conosciuto, stimato e amato da tutti. Ebbe splendidi onori funebri, come giustamente meritava.

13 dicembre

Nasce Angelo Tarantini, da Giuseppe e Maria Scotto; la famiglia, di origine procidana, si era mossa, come molte altre di pescatori e corallari provenienti dall’area campana, alla ricerca di migliori condizioni lavorative lungo le coste sardo-corse; il padre di professione era marittimo. Angelo, giovanissimo, rimase orfano di padre, morto a soli quarantacinque anni nel 1843. La sua figura è principalmente legata alla partecipazione alla nota Spedizione dei Mille, unico rappresentate maddalenino fra i volontari che partirono da Quarto. Nella permanenza a La Maddalena, un solo episodio lega i Tarantini alla figura di Giuseppe Garibaldi; esso va collocato nel 1849, nel periodo della breve presenza coatta del Generale nell’arcipelago; il 12 ottobre egli si trovava nella vigna della famiglia Susini Millelire, con cui era legato da una stretta amicizia, quando, in presenza di una tempesta, salvò dal naufragio i componenti di una barca, fra i quali il piccolo Domenico Tarantini, cugino di Angelo. All’epoca questi che, dopo la scomparsa del padre, faceva parte, direttamente o indirettamente, del nucleo familiare dello zio Antonio, padre del piccolo Domenico, era poco più di un ragazzo e non è improbabile che quel gesto di coraggio, idealizzato da un tredicenne, possa aver avuto un’influenza sugli avvenimenti successivi. La maturazione dei sentimenti patriottici di Tarantini, secondo la famiglia degli attuali eredi, si colloca, verosimilmente, nel periodo in cui Garibaldi acquistò Caprera trasferendovisi a partire dal 1856; presumibilmente ispirato dalla vicina presenza e dal probabile contatto con Garibaldi, si determinarono in tal modo le sue scelte politiche, l’adesione alla causa nazionale e più in generale gli avvenimenti della sua vita. Nel registro della leva del 1855 viene indicata come residenza, seppure genericamente, l’America, esso ci attesta inoltre, la professione di marinaio mercantile; in un successivo registro, quello del 1857, la residenza è riportata alla Maddalena. Tarantini rientrando alla Maddalena continuò a svolgere, probabilmente, la professione di marittimo e, nell’approssimarsi al momento cruciale della sua vita, cioè la partenza della Spedizione dei Mille, è ipotizzabile che possa essersi trovato ai primi di maggio del 1860, nei pressi di Quarto, per motivi di lavoro. Tale versione iniziale, è stata confutata da quella riportata dalla famiglia degli attuali eredi Tarantini. Sui tempi e sui modi della partecipazione di Angelo Tarantini alla causa nazionale è importante seguire il filo dei ricordi dei suoi discendenti, con tutte le cautele che tali testimonianze richiedono: nella seconda metà degli anni ’50 e comunque a cavallo del 1860, Angelo Tarantini si impegnò a promuovere nel territorio del comune di Thiesi, centro agricolo del sassarese, in modo cauto e con mille attenzioni, attività di proselitismo per la causa italiana. Va qui ricordato come, dopo la spedizione, egli si sarebbe sposato a Thiesi con Antonina Fadda. Uno zio materno di questa, Gavino Chighine, si era unito in matrimonio, qualche anno prima, con la maddalenina Adelaide Tarantini cugina del nostro garibaldino. Il personaggio del Chighine riveste una particolare importanza: egli era delegato di Pubblica Sicurezza, e in questa veste probabilmente fu presente a La Maddalena ove conobbe la futura consorte. L’influenza del matrimonio di Chighine con Adelaide Tarantini, rappresenta un dato determinante nella scelta thiesina di Angelo Tarantini; esso infatti è l’unico anello di collegamento che possa giustificare il legame fra lui, il comune di Thiesi e l’attività patriottica che egli decise di svolgervi negli anni precedenti la spedizione; nel merito non è forse azzardato pensare che Tarantini, instauratasi una parentela col Chighine, preposto ad una pubblica funzione, possa aver motivato così la sua decisione di indirizzare il proprio impegno patriottico in un territorio dove poteva eventualmente confidare su un controllo non proprio stretto sulle sue missioni di proselitismo. Agli inizi di maggio del 1860, Angelo Tarantini si trovò, invece, a Quarto, e si unì, unico maddalenino, fra i 1089 che accompagnarono Garibaldi nella nota spedizione. Dopo lo sbarco a Marsala dell’11 maggio, Tarantini entrò a far parte del Servizio Sanitario dei Mille, ruolo probabilmente assegnatogli al momento in cui il corpo iniziò ad operare in terraferma. Il battesimo del fuoco sopraggiunse quanto prima e la testimonianza viene dalla Medaglia d’argento al valor militare che Tarantini ottenne nel corso della spedizione; il 15 maggio 1860, nel corso dello storico scontro di Calatafimi, egli compì un atto di eroismo, sul quale purtroppo non è possibile essere precisi. Circa il prosieguo dell’impresa dei Mille, si può rimarcare come egli prese parte alla spedizione sino al suo epilogo, la decisiva battaglia del Volturno del 1° ottobre 1860. La sua militanza patriottica non si concluse con l’impresa; lo troviamo, difatti, impegnato, nei giorni che precedettero la spedizione d’Aspromonte nell’agosto del 1862, a Genova, città che costituì sicuramente per Tarantini un decisivo punto di riferimento politico. Allora la Società Emancipatrice, costituitasi in questa città allo scopo di rimuovere le antiche discordie fra mazziniani e garibaldini, fu al centro di progetti insurrezionali, in cui risulta coinvolto il nome di Tarantini con quello dell’avvocato e pubblicista sardo Giovanni Sulliotti, al fine di creare in Sardegna, un movimento patriottico a favore di Garibaldi. Ritornato in Sardegna verso il 1863, visse a Thiesi, ove sposò come detto, Antonina Fadda; dal loro matrimonio nacquero dodici figli. Trascorsi quasi trenta anni a Thiesi, esercitando la professione di negoziante, nel 1894 rientrò all’isola natia con una parte dei figli, svolgendo l’attività di magazziniere nel Regio Cantiere Militare. Dopo alcuni anni, trascorsi in una vita appartata e tranquilla, morì a Moneta, frazione di La Maddalena, il 1° agosto 1905. Nel certificato di morte, conservato nell’anagrafe comunale, si attesta la residenza in “regione Moneta” e il fatto che fu “Pensionato dei Mille di Marsala”. L’amministrazione comunale, allora Sindaco era Luigi Alibertini, in memoria del nostro garibaldino fece apporre sulla sua tomba una lapide, tuttora presente nel Civico Cimitero, con la seguente semplice dicitura: “Tarantini Angelo/ Dei Mille / Il Comune/ 1836-1905”. Vedi anche: Angelo Tarantini uno dei mille