Correva l’anno 1884
Paul Serafino è sindaco di Bonifacio.
È segnalato un caso di vaiolo a Santa Teresa: si tratta di una guardia doganale di mare che viene tenuta in isolamento in caserma.
Per quanto riguarda l’estrazione del granito nelle aree demaniali, il comune aveva seguito la politica di sempre, quella cioè di concederne gratuitamente l’uso per la costruzione di case ai locali. Nel 1884 aveva provato a dotarsi di un regolamento nel quale prevedeva il pagamento di un canone proporzionato alla quantità di pietra ricavata, ma nella realtà le prescrizioni non furono attuate per scelta della stessa amministrazione che, “per dar luogo ad un progressivo sviluppo di nuove costruzioni”, preferì continuare a rilasciare gratuitamente le concessioni per l’estrazione. Ciò aveva comportato un notevole consumo, tanto che, nel 1890, ci si trovava nella condizione di poter contare, anche per le opere di interesse pubblico, su una sola cava comunale: quindi fu necessario approvare un nuovo regolamento con clausole più severe per controllare le quantità di pietra tagliata, la certezza che essa fosse destinata a costruzioni alla Maddalena e non servisse “per l’esportazione”, il pagamento di una tassa di 60 centesimi per metro cubo. Una commissione fu nominata per sorvegliare la corretta attuazione del regolamento. La saggia politica amministrativa condotta prima dalla giunta di Pasquale Volpe e poi da quella guidata da Gerolamo Zicavo in una congiuntura più favorevole, portò alla realizzazione di importanti lavori pubblici, alla razionalizzazione e alla pavimentazione di strade e piazze, all’avvio di un sistema di fognature degne di tal nome.
Di fronte alla possibilità di stabilire un bagno penale a La Maddalena, il sindaco Bargone, che pure l’aveva richiesto tre anni prima con l’intento di far eseguire alcune opere pubbliche, propone nuove localizzazioni a Porto Pozzo o a Liscia: il rifiuto è causato dal fatto che il comune dovrebbe garantire vitto e mantenimento ai forzati.
Disordini sulla piazza della chiesa sono provocati dalla preoccupazione che imbarcazioni potenzialmente pericolose per il contagio del vaiolo, rifiutate da Porto Torres, debbano trascorrere la contumacia nelle acque dell’isola.
19 gennaio
Muore a Genova, il garibaldino Giovanni Basso. Dopo aver fatto l’impiegato di banca, accompagnò Garibaldi nel suo esilio, seguendolo dall’America alla Cina e di là in Italia, a bordo della « Carmen » e del « Commonwealth ». Iniziò come soldato e finì come sottotenente nei cacciatori delle Alpi la campagna del 1859, dopo la quale visse a lungo a Caprera come segretario di Garibaldi. Anche in seguito accompagnò questo tutte le volte che lasciava l’isola, e con lui prese parte ad altre campagne di guerra. Nel 1860, trovandosi il primo ottobre alla battaglia del Volturno corse pericolo di vita; il cocchiere della carrozza, vicino al quale stava seduto, fu ferito, il cavallo ammazzato. Dopo la guerra del 1866, alla quale aveva partecipato come maggiore del 5.° regg. dei volontari, venne con Regio decreto del dicembre insignito della medaglia d’argento al valore militare « perché sempre presso al generale Garibaldi ebbe campo di segnalarsi per valore ed operosità, durante tutta la campagna del 1866 ». Anche nel 1867 accompagnò tutte e due le volte Garibaldi nella spedizione dell’Agro Romano, e la seconda, dopo cioè l’arresto di Sinalunga, cooperò validamente alla fuga di lui da Caprera. Godette senza mai abusarne, per molti anni, della intimità e della piena fiducia di Garibaldi, che lo considerò come suo familiare e di lui si valse di frequente per corrispondere cogli amici, specie quando per l’età sua inoltrata la mano era piuttosto stanca e la mento non più agile e pronta. Imitò cosi bene la scrittura del generale che talvolta è difficile giudicare quali delle lettere siano veramente autografe e quali no.
1 febbraio
Febbraio: viene fondato uno dei primi giornali dell’isola, “Le Bocche di Bonifacio ”, stampato settimanalmente. Primo direttore è Sebastiano Baffigo. Si tratta di una cronaca paesana con un orientamento spiccatamente anticlericale. «I nostri fratelli di Corsica boriosi di potersi appellare Francesi, rinnegano la vera patria; e guai all’audace che osa insultarli coll’umiliante nome d’Italiani». Con questo esordio Genesio Lamberti, direttore delle «Bocche di Bonifacio» giornale che si pubblicava a Santa Teresa nel 1884, apriva l’articolo «I Corsi e l’Italia» che avrebbe provocato una feroce polemica con la stampa corsa del tempo. «Le Petit Bastiais» rispondeva al piccolo giornale gallurese senza risparmio di insulti, che i Corsi «sono e vogliono restare francesi». Alla contesa si univa anche un giornale marsigliese, «Le Progrés De la Corse», il quale, per voce di un suo redattore, un certo Ortoli, brandendo la storia della Corsica e l’eroismo dei suoi figli affermava che questi più volte si erano sottratti al giogo dello straniero. All’Ortoli il Lamberti rispondeva: «Il redattore del Progrés De la Corse, così devoto alla Francia, ha mai sillabato il suo nome? No, certamente. Egli avrebbe arrossito prima di lanciare volgari insulti all’Italia». Le provocazioni nei confronti dei Corsi, e della stampa corsa in particolare, non si limitavano semplicemente agli articoli nei quali si rinfacciava la presunta codardia degli abitanti dell’isola per non essersi opposti alla vendita della propria terra alla Francia. C’erano anche le corrispondenze di tale Italus che scriveva da Bonifacio quando Eolo e Nettuno permettevano ai piroscafi di trasportare la posta. In realtà Italus altri non è che il Lamberti stesso, nascosto dietro pseudonimo, come risulta dalle firme apposte in coda agli articoli successivamente. L’iniziativa portata avanti dal giornale teresino non si spiega se non come il tentativo di ridestare nelle coscienze dei corsi un oramai dormiente, se non del tutto sopito, sentimento patriottico italiano. Italiana, come è noto, la Corsica era stata fino al secolo prima quando fu venduta alla Francia. Pasquale Paoli e altri fra i quali c’era anche un certo Carlo Maria Bonaparte, padre del più famoso Napoleone, avevano combattuto in nome di quel sentimento italiano sul quale spira ora il vento delle «Bocche di Bonifacio» nel tentativo di ridestarlo. Il giornale accusa la Francia di rinunciare a parte delle sue prerogative, abdicando per esempio all’esercizio della giustizia: per far ottenere la grazia ad un assassino è sufficiente esercitare pressioni, in maniera più o meno ortodossa, sul prefetto; d’altra parte accusa i Corsi di barattare il loro sentimento patriottico «per la loro prosperità materiale». Le preoccupazioni dei galluresi in questo periodo sono in realtà più urgenti e reali di quanto non sia il sentimento patriottico italiano dei cugini di Corsica. Sul secondo numero delle «Bocche di Bonifacio», sempre a firma del Lamberti, compare l’articolo «L’Italia dorme» dove si agitano i fantasmi di una possibile invasione francese della Sardegna. La Francia infatti, come si spiega nello stesso articolo, ha disposto un comando militare per le fortificazioni dei punti più importanti della Corsica. «La Sardegna, a due passi dalla Corsica, fa gola alla Francia: e noi a ragione temiamo per qualche gioco inaspettato». I timori del giornale gallurese non erano solamente allucinazioni dato che proprio nella zona fu studiato e predisposto il «Piano di difesa dell’Arcipelago di La Maddalena – 1 febbraio 1884» che porterà alla costruzione dell’imponente Batteria di Monte Altura. Con questa campagna di provocazione si intravede il tentativo di provocare quella parte del popolo Corso che ancora mal sopporta il giogo transalpino. La polemica fu portata avanti qualche anno più tardi dall’erede delle «Bocche di Bonifacio», lo «Stretto di Bonifacio»; giornale che come il predecessore era diretto da Genesio Lamberti e aveva per gerente Sebastiano Baffigo. Il periodico non esita a scomodare Rousseau che nel «Contratto sociale» aveva definito la Corsica una terra valorosa e costante nel difendere la sua libertà, ma se «potesse oggi scoperchiare l’avello, e venire fra noi fragili mortali […] oh quanto si pentirebbe di aver acclamato ad un popolo non così fiero e geloso della sua libertà». Questi due giornali fanno parte di quel fermento editoriale che alla fine del secolo aveva portato alla nascita di molti periodici, che potevano avere una vita più o meno lunga, legata spesso alle vicende dei loro patrocinatori. Sono dello stesso periodo la «Cronaca Sarda», giornale letterario pubblicato a Tempio, di cui era direttore Luigi Pompeiano, il «Gallura» e il «Limbara» che si pubblicava a Calangianus.
4 maggio
L’Amministrazione provinciale di Cagliari è autorizzata con regio decreto ad acquistare dal demanio statale il Palazzo già vice regio: prezzo fissato, 151 633,62 lire.
22 giugno
In una ricevuta rinvenuta nell’Archivio parrocchiale di Santa Maria Maddalena, si legge che la lapide che sormonta l’ingresso della nostra Chiesa, fu ordinata ad una ditta di marmi e ardesie di Santa Margherita Ligure, di Giovanni Bisso. Il marmista dichiara nella ricevuta non soltanto le dimensioni della lapide, ma anche il numero delle lettere incise che ancor oggi si può vedere apposta sulla facciata. E’ probabile che lo stesso marmista non abbia saputo leggere bene ciò che in quel momento stava per incidere, oppure che chi ne aveva rilevato il testo dall’originale forse accidentalmente andata rotta, non avesse rilevato bene il contenuto. Infatti secondo l’interpretazione del Prof. Mattia Sorba, nella lapide è riportato “il testo in latino classico, bello, ricco, di stile elevato, scritto evidentemente da persona colta, anche se non privo di errori materiali di trascrizione (“EIUIS” in luogo di “EIUS” – “INCUM” per “CIRCUM” – “PINASCE” per “PINASCAE” – “EMMANNELIS”per “EMMANUELIS” e “HEC” per “HOC”) attribuibili, quasi sicuramente, al marmista incisore.
13 settembre
Muore alla Maddalena, Antonio Cuneo meglio conosciuto con il nome di battaglia di “Cloro”, fratello maggiore di Giuseppe (Cissia), era nato a La Maddalena nel 1823. Era coniugato con Anna Maria Tartaul. Già nocchiero quando incominciarono le guerre di indipendenza, alle quali partecipò fregiandosi di numerose medaglie d’onore, era famoso in tutti i mari per la sua forza erculea. Racconta una cronaca del 1884, scritta in occasione della morte di Cloro, che a Montevideo “un francese forse ubriaco, marinaio della marina militare, sfidò beffeggiando i marinai regi italiani imbarcati su di una goletta, colà di stazione. Il francese presentatosi baldanzoso con la mano destra sostenendo un cannone di 12 c.; Cloro sorridendo e con la massima disinvoltura afferrò con ciascuna mano due cannoni dello stesso calibro e tonnellaggio e disse al francese: Ecco un figlio della forte madre Italia e se tu non sei un vile temerario carica se sai il tuo cannone e sparalo tenendolo sulla mano, io ti sarò di bersaglio. Altrimenti mettiti di mira sul ponte che io ti scaricherò questo cannone come una pistola e se non ti farò mangiare piombo italiano ammazzami da mascalzone. Il francese non accettò”. Questa sfida d’onore sarà ricordata all’atto dell’intestazione della strada a suo nome da parte del Consiglio Comunale di La Maddalena. Uno dei tanti episodi relativi alla sua forza racconta che Cloro riuscisse a salpare l’ancora della sua nave azionando da solo l’argano; non conosciamo le dimensioni dell’ancora, ma se l’episodio è rimasto nella mente dei suoi concittadini e nelle cronache dell’epoca, l’impresa non dovette essere considerata poca cosa; evidentemente si trattava di un personaggio notevole, visto che eccelleva in un periodo come quello della marineria a vela, in cui la forza muscolare era dote indispensabile per farsi valere, a bordo e a terra. Una volta in pensione, ebbe l’incarico di trasportare quotidianamente la posta, con la sua barchetta a vela, da La Maddalena a Palau. Anche in questa professione assunse agli onori della cronaca perché “non mancò mai al suo dovere. Eolo infuriava, ma lottava con Cloro, coraggioso marinaio. Si racconta ancor oggi che, avendo il vento troncato l’albero della barca, Cloro riuscì a recuperarne lo spezzone e a fissarlo con una cima tanto da poter riprendere la navigazione. Nel 1883 fu portato in tribunale da una guardia di finanza che lo aveva denunciato per contrabbando (vecchia passione isolana!). Il finanziere fece l’errore di sostenere davanti al giudice di aver ricevuto dall’accusato uno schiaffo; ma quando Cloro rispose che in tal caso la testa dell’uomo non sarebbe più stata attaccata al collo, il giudice, conoscendone la fama attraverso testimonianze e documenti lo assolse per non aver commesso il fatto. Con delibera n° 660 del 15 febbraio 1896 il Consiglio Comunale di La Maddalena gli intestava la via che unisce via Domenico Millelire a piazza Caprera con la motivazione: “Ricorderemo in questo nome chi seppe segnalarsi nelle guerre sante del nostro nazionale riscatto e seppe comportarsi da prode a Montevideo in una causa d’onore della bandiera nazionale”.
15 ottobre
L’amministrazione comunale di Santa Teresa pone una lapide ricordo sulla casa dove abitò Magnon.
23 ottobre
Con un grande concerto vocale, s’inaugura a Sassari il Politeama ‘‘Verdi’’.