CronologiaMillenovecento

Correva l’anno 1911

Correva l'anno 1911

Gli abitanti di Bonifacio sono 3660.

La piazzaforte della Maddalena è posta in stato di guerra.

L’edificio scolastico maddalenino è terminato.

Il colonnello medico della Regia Marina, Giovanni Petella, pubblica il libro Da Porto Venere alle isole della Maddalena e Caprera (episodi della vita di Garibaldi).

Censimento della popolazione di La Maddalena: gli abitanti sono 10.184, con una media di 519,59 per chilometro quadrato; i militari sono 2358, i condannati sono 200. Lo sviluppo demografico di La Maddalena non conosce battute d’arresto fino alla prima metà del Novecento: mentre dieci anni più tardi la popolazione residente ammonta a 10.301 unità; particolare interessante relativo al primo dopoguerra è fornito da Mori, la cui analisi evidenzia su come 1.389 capifamiglia nel 1921 ben 481 fossero nativi di La Maddalena, individuando nel restante 65% della popolazione 593 capifamiglia provenienti dalla Sardegna (in pratica, il 41% del totale): infatti, il flusso migratorio di Sardi si intensifica durante la Prima Guerra Mondiale, in seguito all’aumento delle maestranze necessarie al mantenimento del cantiere navale. In questo lasso di tempo, La Maddalena si guadagna l’appellativo di ‘Piccola Parigi’: da questo momento, la popolazione aumenta fino a superare le 12.000 unità nel 1931, cifra mantenutasi stabile col trascorrere delle decadi. E’ ovvio che, per far fronte all’incremento demografico, l’agglomerato urbano abbia subito col tempo diverse espansioni: in particolare, lo spazio costiero tra Cala Gavetta e Cala di Chiesa finì per ospitare nuovi quartieri sorti intorno a Piazza Comando, oggi meglio conosciuta come Piazza Umberto I, sede delle istituzioni militari. Per quanto riguarda le maestranze richiamate nell’arcipelago, esse si stabilirono prevalentemente nei pressi di Moneta, a neppure due chilometri da La Maddalena, in continuità con l’arsenale e l’ospedale militare.

Gli abitanti di Palau sono 660: di questi 326 abitano nel paese, 324 negli stazzi.

Si costruisce la strada che porta da Ponte Liscia a Porto Pozzo.

Un’azione politica che all’epoca dovette suscitare non poche perplessità e polemiche, e naturalmente, il disappunto del parroco Antonio Vico. In pieno clima liberale e anticlericale il Comune di La Maddalena procedette alla nuova denominazione di alcune vie. Con delibera del Consiglio Comunale (sindaco Giuseppe Volpe) si attribuì un nuova denominazione ad alcune vie e piazze dell’Isola, alcune delle quali risalenti ai primissimi anni della costituzione del primo nucleo del paese. Denominazioni di carattere religioso, che rispecchiavano il clima storico di fine Settecento e primi Ottocento così come le nuove risentivano di quello risorgimentale e liberale di fino Ottocento, primi Novecento. Via Santa Maria Maddalena, sotto la quale passava una delle principali ‘vadine’ che alimentavano le cisterne di quella divenuta Piazza Maria Maddalena (già Piazza di Chiesa) assunse il nome di Via Ilva, l’antico nome col quale i romani chiamavano Maddalena, isola che conoscevano molto bene, della quale avevano un piccolo quanto importante e sicuro approdo. In omaggio al Rinascimento venne attribuito a Raffaello Sanzio il nome della via che portava al ‘Cimitero Vecchio’, non a caso religiosamente fino ad allora chiamata Via del Rosario. A Galileo Galilei, padre della scienza e a suo tempo condannato dalla Chiesa fu dato il nome di quella che prima era stata la biblica Via Monte Sinai. Mentre ai risorgimentali ed eroici fratelli Cairoli fu dedicata la discesa (o salita) che portava a Cala Gavetta fin dal 1790, in origine e fino ad allora denominata Via San Vittorio. La scoscesa e tortuosa strada che portava al forte Sant’Andrea (i Tozzi), quello dal quale all’epoca dell’assalto franco-corso sventolò il vessillo isolano (oggi conservato nel Salone Comunale) che fino ad allora, guarda caso, si chiamava appunto Via Sant’Andrea, venne ‘spezzata’ in Piazza Verdi e Piazza Toselli. Mentre a Via San Luca venne dato il nome di altro noto personaggio risorgimentale, Nino Bixio, la via che collega Piazza Garibaldi con l’antica Nicolò Fabrizi, assai frequentata un tempo in quanto nei primi decenni del Novecento vi era ubicato l’Ufficio Postale ed il Telegrafo. Al notaio ribelle Vincenzo Sulis, che trascorse molti anni di prigione a Guardia Vecchia fu dedicata la via, fino allora chiamata Sant’Erasmo, dove ebbe casa negli ultimi anni della sua vita da esiliato e dove morì. La vicina Via San Pietro divenne Via Ferruccio, mentre la ‘religiosa’ Via sant’Ambrogio fu dedicata a Pietro Micca, quello che si fece saltare in aria consentendo la resistenza di Torino all’assedio dei Francesi. Via Sant’Agostino invece divenne Via Castelfidardo. Nello stesso periodo Via Umberto, di più recente intitolazione, divenne Via Regina Margherita, strada che portava alla Caserma d’Artiglieria ed alla Colombaia Militare. La Via Grande infine, che da Cala Gavetta portava alla Chiesa fu ribattezzata Via Vittorio Emanuele, il padre della Patria.

11 gennaio

A Santa Tresa, cerimonia religiosa di pacificazione fra le famiglie Vincentelli e Cardi, dopo anni di odio e incomprensioni.

28 febbraio

425 lavoratori agricoli e braccianti del contado di Bonifacio, stanchi dei salari da fame si erano riuniti e organizzati dal sindacato, erano scesi in sciopero (termine per il quale il dialetto bonifacino usa la parola francese, greva). Ben presto erano stati raggiunti nell’agitazione dagli operai della locale fabbrica di tappi; il 28 febbraio 1911, un’autentica folla per le dimensioni di Bonifacio si radunò quindi vicino alla fontana di Longone (Lungùn). I lavoratori in sciopero si presentarono, secondo le testimonianze rigorosamente in bonifassin, ”cu asi, pulitrici e asinini, carghi di ferri da travaggià, di bariloti e di catini”; insomma erano arrivati direttamente dai campi con gli asini carichi e gli attrezzi da lavoro, “Con asini, asine e asinelli, carichi di attrezzi da lavoro, di barilotti e cesti da soma”. Erano i pialinchi, ovvero i braccianti, i lavoratori agricoli (da piale, vale a dire la piccola parcella di terra lavorata). E non scherzavano per niente: prese la parola un rappresentante, dichiarando quanto segue: ”I poveri ne hanno abbastanza di essere schiavi di tutta questa banda di ricconi (…) Non vogliamo più mangiare acciughe, vogliamo carne e maccheroni, e vogliamo bere buon vino e non l’acqua della fontana di Longone!” Continuò un altro: ”I sindacati sono stati formati per difendere le nostre rivendicazioni, e se il salario delle giornate di lavoro non aumenterà, noi non pagheremo più le tasse e i contributi!”. Chiedevano un aumento di cinquanta “patacconi” a giornata, vale a dire circa tre franchi; quel che ottennero furono dieci patacconi in più.

18 aprile

Alla fine dell’800 a La Maddalena si “apre” letteralmente sul granito la nuova strada che verrà chiamata Via Garibaldi, per collegare il Municipio con il Comando Marina, e più in generale la nuova passeggiata da Cala Gavetta, attraverso via XX Settembre, la piazza Garibaldi (ex Piazza degli Olmi), via Garibaldi, fino a Piazza Umberto I (ex Renella), il Comune ritiene ragionevole concedere gratuitamente ai proprietari di case che abitano lungo la spalletta rocciosa occidentale della neonata via Garibaldi, con accesso da via Angioy, di sistemare piazzaletti e relativi scalini sul terreno del Demanio Comunale, al fine di consentire un accesso nuovo e più importante sul nuovo corso che stava sorgendo. Quando nel 1899 arriva all’Isola la prima automobile del Touring Club Italiano, che aveva accompagnato in Sardegna (con tappa principale a La Maddalena-Caprera) una carovana ciclistica, e attraverserà l’importante via, ci si renderà conto subito che i piazzaletti in alcuni tratti sono così “invadenti” che la folla dei curiosi riesce a stento a schivare l’auto. Sebbene non fosse previsto, a breve, il passaggio di altre auto, a parte qualche carro per carico e scarico quasi quotidiano di mercanzie per i negozi vari del centro, si comincia a pensare che autorizzare l’anno prima (1898) la costruzione di quei piazzaletti, (Eredi Gusmaroli, Domenico Demuro, Paolina Sabattini, Salvatore Sabattini, Francesca Lucchesi, Anna Granara, Agostino Bargone, Eredi Polverini, Bastiano Zonza, eredi Zicavo poi Zenoglio, e eredi Mangomaro) in realtà non sia stata una grande idea. Si inizia così a considerare in Comune l’opportunità di chiedere la demolizione di quei corpi avanzati, al fine di dare un maggior respiro a quello che a tutti gli effetti, ormai, viene considerato il Corso Garibaldi, centro nevralgico della neonata borghesia sorta dopo i grandi lavori di fortificazione e militarizzazione dell’arcipelago. Il Comune, per convincere celermente i proprietari di case a demolire i “famosi” quanto invidiati terrazzini, decide di offrire somme di denaro come indennizzo. Quasi che di un esproprio si trattasse e non di una riappropriazione di terreno del Demanio Comunale su cui si erano autorizzata gratuitamente le costruzioni di quelle strutture. E siccome poi la borghesia dell’epoca respinge con sdegno l’offerta del Comune, ritenuta miserevole, allora l’offerta viene raddoppiata, per cui la somma, moltiplicata per tutti i terrazzini diventa una cifra considerevole. E questo, quando già considerevole sarebbe stata la spesa per la sola registrazione dei nuovi contratti, pure a carico del Comune. Ne scoppia un problema finanziario, che si somma ovviamente ad un’altra miriade di scandali analoghi, che investono farmacie locali, medici condotti, pompe funebri, rete elettrica, acqua potabile, spazzini, massa vestiario vigili urbani, recinzione colonna Garibaldi, evasione dazio per commercio pesci col continente e via discorrendo. La Prima Guerra Mondiale è in corso, in Italia tutti sono chiamati a stringere la cinghia, e all’Isola-questa era l’impressione di tutti-si scialava. Ecco allora che nel 1916, dopo una serie di interventi più o meno discreti del Ministero dell’Interno (attraverso tutti i suoi Enti periferici) perché l’Amministrazione Comunale faccia in modo di rimettere finanziariamente le cose a posto, siccome la stessa fa orecchie da mercante, ecco che il Governo invia un Ispettore Generale. Rileggendo la ponderosa relazione sulla ispezione eseguita nel Municipio di La Maddalena dall’Ispettore di Ragioneria Cav. Rag. Raffaele Ferri, nel 1916, si apprende, relativamente ai piazzaletti di via Garibaldi, che “fin dal 1902” alcuni signori “chiesero al Comune l’autorizzazione di innalzare di un altro piano” le loro case poste “lungo via Garibaldi. Ma non ne fu concessa l’autorizzazione, non potendosi compiere alcun atto per alterare l’allineamento fissato e stabilito da tempo immemorabile, che è quello della casa, e non la linea esterna dei piazzaletti, che sono appendici delle case e furono costruiti posteriormente alle medesime, al solo scopo di accedervi a mezzo di piccole scalette esterne, essendo ché le case, per economia, erano state costruite sulla roccia e quindi con il pavimento più elevato di quello stradale.” “Nel 1910, il Comune-continua l’ispettore-pensò di togliere l’impedimento che dai suddetti piazzaletti, veniva alla ripetuta strada (che è una delle più frequentate della Città). Ed il Sindaco del tempo, iniziò quindi le pratiche coi proprietari per raggiungere un accordo bonario.” “Negli atti–scrive il Ragioniere dello Stato-esistono le copie della planimetria e la copia della stima dei terreni su cui si elevano i piazzaletti e della stima dei lavori da farsi; il tutto eseguito dall’applicato geometra Cappai (…). Questi, “accertata la necessità della demolizione dei piazzaletti, e senza dire che il terreno su cui si ergevano appartiene al Demanio Comunale, periziò i lavori da eseguirsi” (…). I proprietari dei piazzaletti non rimasero neppure soddisfatti della perizia Cappai, nella parte che si riferiva all’indennità di espropriazione del terreno, perché il Consiglio nella seduta del 18 aprile 1911, deliberò di accordare a titolo di indennità e a tacitazione di ogni pretesa” ulteriori somme di denaro. Ad un certo punto, solo per le prime due demolizioni la spesa complessiva prevista aveva già raggiunto le 3.351,54 lire (spese per i contratti escluse, sebbene anche queste fossero state messe a carico totale dell’Ente). Inoltre l’Ispettore scopre che i lavori di demolizione sarebbero dovuti servire per dare lavoro ai disoccupati, ma non fu così. “Dalla deposizione di quanto sopra, parmi che non possa nascere dubbio sulla responsabilità incorsa dall’attuale Amministrazione e da quella passata; e ritengo anche sulla responsabilità del geometra Cappai; perché più di tutti non poteva, in alcun modo, ignorare che i piazzaletti (quand’anche costruiti col consenso degli amministratori del tempo) occupavano del terreno di Demanio Comunale che è imprescrittibile ed inalienabile, e quindi del terreno di proprietà del Comune. Il quale pagò” profumatamente “per ottenere la proprietà di un terreno che era suo per legge; del quale poteva quindi ordinare lo sgombero mediante la procedura amministrativa, senza spendere qualsiasi somma. (…) Chi ci ha guadagnato sotto ogni aspetto” sono i privati “e chi ci ha rimesso è stato il Comune, perché, ripeto, aveva tutto il diritto di allargare la strada, senza sostenere spesa. Sarà bene affermare questo diritto, perché, in Maddalena, ovunque esistono dei piazzaletti, ed il Comune, volendo ampliare le strade, si troverebbe, altrimenti, nella condizione o di non poter sistemare le vie della Città, oppure di dover sottostare a spese gravose e a lunghe pratiche burocratiche, per soggiacere al capriccio di privati”. Ovviamente – come si potrà facilmente capire – le centinaia di pagine dattiloscritte dell’inchiesta Ferri lasciarono il tempo che trovarono. Si era ormai, come già detto, con i piedi dentro la Prima Guerra Mondiale e, sebbene in ambito nazionale si predicasse la politica del rigore e del massimo risparmio, essendo lo Stato ancora a leccarsi le ferite per il dramma del terremoto-maremoto di Messina, la cui ricostruzione latitava, per giunta le spese sopraggiunte per una guerra mondiale di cui si poteva fare benissimo a meno, si ritenne di dover tacitare un simile scandalo in una piazzaforte militare, per non demoralizzare ulteriormente le truppe che già facevano la fame al fronte. L’Amministrazione non solo non prese provvedimenti contro il geometra Cappai, (perché avrebbe dovuto prenderli, in realtà, pure contro se stessa), ma poi, avendo avuto evidentemente la copertura e il supporto di qualcuno molto in alto, deliberò anzi con notevole arroganza di aumentargli pure lo stipendio. Non è dunque un caso che i proprietari delle palazzine lungo la via Garibaldi verranno da sempre ritenuti cittadini borghesi di serie A, a cui non mancava mai l’acqua, avevano ogni cosa a portata di mano, osservavano il passeggio del Corso seduti sui loro poggioli con l’abito della festa come fossero a teatro e, soprattutto, avevano avuto dalle casse comunali la possibilità di rifarsi o ritoccarsi le facciate delle loro abitazioni, guadagnandoci pure. (Giancarlo Tusceri)

6 maggio

Anche alla Maddalena si festeggiano i cinquant’anni dello Statuto. Con una circolare del 1861 si diede istruzione ai Comuni sulla realizzazione della Festa nazionale dello Statuto (o festa dell’Unità d’Italia) per coinvolgere il più possibile la popolazione e organizzare sontuosi parate, spettacoli e divertimenti pubblici. (Ministero dell’Interno Circolare N.39 Torino addi 6 maggio 186)

29 maggio

Immane tragedia a La Maddalena, nella costruzione del Palazzo scolastico, perirono 13 ragazzini manovali, in quanto il peso del grosso cornicione, cadde sui ponteggi sottostanti, lato campo sportivo.

10 giugno

Il censimento aveva registrato una popolazione di 8.809 residenti, 776 in più rispetto a quello del 1901. Dieci anni prima (1891) la popolazione era di 6.798 residenti, ben 4.907 in più rispetto al 1881, quando era di poco meno di 2.000 persone. Tra la fine dell’800 e i primi anni del ‘900, in conseguenza del potenziamento della Piazzaforte, i consistenti flussi migratori, sia dalla Gallura (e resto della Sardegna) che dalla Campania come anche dalla Toscana, stavano provocando l’imbastardimento del dialetto maddalenino, d’origine corsa (e genovese). E, a seconda della via o del quartiere nel quale, un ipotetico passante si fosse inoltrato, avrebbe sentito abbondantemente parlare in napoletano-ponzese, toscano-elbano, genovese/spezzino, logudorese, gallurese, barbaricino, e sempre meno in isulanu.

22 giugno

A Palau Vecchio Pasqualina Pisciottu salva dal mare quattro persone in pericolo. Il 13 luglio le viene conferita la medaglia d’argento al valor di marina

26 luglio

Da una cronaca della “Nuova Sardegna” di venerdì e sabato 28-29 luglio riportiamo: La cronaca si sa, è la riproduzione di tutto quanto si svolge, nella vita cittadina e perciò eccomi oggi a narrarvi dell’inaugurazione dei nuovi locali dell’Asilo San Vincenzo e della cerimonia seguita lunedì mattina con una messa nella chiesa basilicale, musicata dal maestro Perosi ed eseguita dalle alunne del laboratorio.
Nelle ore pomeridiane ebbero luogo in forma solenne i saggi accademici e la premiazione degli alunni.
Non mi proverò a narrare degli intervenuti; sarebbe dura impresa. Basti dire che dall’ammiraglio al sott’ufficiale, dallo studente all’impiegato, dal negoziante al proprietario, tutto quanto in se racchiude. Maddalena di signorile ed intellettuale affluì dentro il vaso cortile dell’asilo.
Punteggiavano bellamente la gran massa del pubblico viventi aiuole di fiori umani, costituite da gruppi variopinti di signore e signorine, alcune delle quali radiose di attraente bellezza e di morbida eleganza. La giovine consorte del capitano di marina Zanetti, greca di nascita, pareva veramente discesa dall’olimpo ellenico.
Alla rinfusa noto, fra il gaietto sciame le signorine Caterina Fortuna, Annita Bolasco, Latina Ugazzi, Dovina Martini, Annibaldi, Bargone, Polverini, Petella, Onorato, Giuseppina Rocca e le signore Mellina Fortuna, Mauro, Faedda, Vianello, Rusca, Pocobelli, Michel, elegantissima, Accame e cento altre di cui non serbo memoria o non conosco il nome Pardon!
Nello svolgimento del programma si distinsero le signorine Vallosio, M. Ornano, Urtis, Fasano per il canto; le signorine Lo Cascio, Palmia, Cossu, sorelle Aiassa Saverio, Comeglio, Coffici, Livi Livia, De Zerega per la recitazione e declamazione; le graziose bimbe sorelle Frantoni e le signorine Giuseppina Garibaldi, figlia del generale Ricciotti, Gaudenzi, Cassinelli, Scotto, sorelle Frau, Csanova, Palmia e Cossu per il pianoforte.
La Vallosio, accompagnata dal violinista Dussoni, sospirò divinamente l’immo tale Ave Maria di Gounod.
Di quando in quando s’intonavano cori dolcissimi e patetici di voci bianche, che inondavano il cuore di mistica esultanza.
L’orchestra era composta dai musicanti della regia marina signori Bini, Cavallini, Di Franco, Bartoli, Gianfreda, Cutrone, Cardinale, Mandalari e Dussoni, diretta magnificamente dal signor Lippolis, maestro e compositore, di cui fu suonata anche un’assai bella e molle mazurka.
Gli applausi, gli evviva, i bravo, i battimani e le acclamazioni prorompevano sovente dall’animo dell’uditorio entusiasmato.
Si declamò, si cantò, si suonò si recitarono scherzi umoristici, si svolsero esercizi ginnastici e fu pronunziato dal cav. Savino Satta un discorso di occasione.
L’accademia si protrasse fino a tramonto di porpora.
Suor Elisa dirigeva la festa.
Ieri, poi, nel pomeriggio, a coronamento elle belle feste inaugurali, ebbero luogo la mostra dei lavori femminili e la lotteria di beneficenza in favore degli alunni poveri.
Bisogna vedere quali fini opere di perfezione e di gusto artistico escono dalle pazienti e gentili dita delle alunne.
Fa le espositrici meritano maggior lode la sig.na Variani, la maestra Ida Conti, Giuseppina Rocca, degnamente premiata, Domenica Vico, Eleonora Cateni, Codina e Dini.
Il sindaco Giuseppe Volpe acquistò parecchi lavori esposti per una somma rilevante.
Tutti, senza distinzione di parte o di principio, ebbero parole di lode per l’andamento dell’asilo, per la bellezza del sito eminente e per la linda proprietà ed eleganza degli edifici, costruiti dal valoroso disegnatore tecnico e architetto signor Raffaele Rossi in puro stile italiano.
Giuseppe Gotti

7 settembre

Nasce a Santa Teresa di Gallura il 7 settembre 1911 Andrea Scano. Figlio di famiglia benestante, il padre era macellaio, la madre muore giovane lasciandolo orfano a 13 anni. Scano cresce come un adolescente ipersensibile e chiuso in se stesso, nel 1931 assolve al servizio militare in marina, a poca distanza da casa, La Maddalena. Qui conoscerà una ragazza locale che gli darà una figlia e che in seguito sposerà, e da cui avrà un altro figlio. Ma sarà un’unione per modo di dire, perché la sua vita di rivoluzionario di professione gli lascerà poco tempo per gli affetti e per la famiglia. Insofferente e ribelle espatria una prima volta in Corsica clandestinamente e viene condannato in contumacia a tre anni di reclusione. Rimpatriato dalla polizia francese, Scano sconta la sua pena: non è ancora un militante politico, ma la sua strada è già prevista in una scheda della polizia “ ha tendenza ai reati contro il patrimonio ed è pericoloso in linea politica”. Espatriato clandestinamente una seconda volta nel ‘37 passa da Aiaccio a Marsiglia, dove entra in contatto con gli ambienti antifascisti. Da qui parte volontario in Spagna, dove ad Albacete, centro delle reclute che arrivano da tutto il mondo, viene inserito nel III Battaglione della Brigata Garibaldi. Scano combatte in Aragona, poi in Estremadura, poi ancora in Aragona. Quando la Repubblica, con il territorio nazionale ormai in gran parte conquistato dalle truppe del generale golpista Francisco Franco, decide di rinunciare alle milizie volontarie internazionali, Scano insieme ad altre migliaia di combattenti, passa in Francia e viene recluso in un campo di internamento. Scano ricorderà in un componimento poetico, la sua esperienza “scorre il mio pensiero ad altre contrade, ad altri tempi. Altri ricordi altre esperienze. A voi che cadendo illuminò il cammino la luce del domani in cui credeste. Tra gli uliveti dell’Andalusia, nelle praterie di Guadalajara, di Catalogna, sull’arso altipiano aragonese … polvere di mitraglia delle trincee, impastata del sangue dei compagni caduti all’alba …oggi il vostro ricordo, al nostro stanco andar, pace non dona”. 6 Dal campo di internamento in Francia egli viene rimpatriato e dopo un passaggio a Sassari, dove viene interrogato, è rinchiuso in carcere a scontare la precedente condanna. Tuttavia allo scadere di questa, non lo aspetterà la libertà. La prefettura di Sassari chiede infatti, per “Scano Andrea, antifascista” il confino per due anni. La destinazione sarà Ventotene, dove si trova gran parte del gruppo dirigente del Pci: Longo, Secchia, Terracini ed altri. Qui continua la sua formazione politico-culturale, come per molti altri confinati. Vive in maniera indigente: ne è prova la richiesta di un abito e di un paio di scarpe alla direzione della colonia penale. Dopo Ventotene, chiede di essere inviato a Genova (lì abitava la moglie, anche se non si sa se la rivede e comunque non va ad abitare con lei). A Genova comincia l’esperienza della lotta partigiana, nel primo gruppo dei Gap, con il nome di “Elio”, prima come vice-comandante poi come commissario. Dalla città sale sul monte Tobbio, e lo troviamo commissario della 108° Brigata Garibaldi “Paolo Rossi” della divisione Pian Cichero. In montagna riporta una ferita a un piede, a causa della quale poi zoppicherà per tutta la vita. Viene portato nella zona di Alessandria per essere curato. Il 25 aprile entra a Tortona 6 G.P. Pansa “Prigionieri del silenzio”, pag 436. Alcune fondamentali informazioni gli vengono dalla tesi di laurea di Enrico Poggi. Laureato all’Università di Sassari Tonino Mulas Antifascisti e partigiani sardi 18 con le truppe partigiane. Subito dopo la Liberazione lo troviamo segretario di zona del Pci a Tortona. Scano era della generazione di comunisti che avevano fatto la Resistenza, pensando che a partire da lì sarebbe scaturita la rivoluzione sociale. Forse è per questo che incappa nel ‘47 in una denuncia per aver tenuto nascosto un deposito di armi clandestine. Per non essere incarcerato Scano fugge in Iugoslavia ed è lì che si imbatte nella esperienza più terribile e inimmaginabile. Alla fine del ‘49 è imprigionato e rinchiuso nell’”isola calva” per tre anni. E’ il periodo più duro dello scontro fra Stalin e Tito; il Pci stava allora contro Tito e i comunisti italiani esuli, insieme agli iugoslavi fedeli al “Cominform”, l’organizzazione internazionale dei partiti comunisti, vengono perseguitati e incarcerati. Parlare di questa fase della vita di Andrea Scano non è facile, dopo il libro a lui dedicato dal giornalista G. Paolo Pansa “Prigionieri del silenzio”. La vita di Scano sarà infatti pesantemente segnata dall’esperienza del Gulag nel regime del maresciallo Tito. Il trauma non è dato solo dalla sofferenza fisica, ma anche per un comunista idealista, duro e puro, dal fatto di essere torturato e seviziato da altri comunisti, che come lui avevano combattuto il fascismo. Di questa esperienza non parlerà mai pubblicamente, né scriverà in merito, sia per le pressioni politiche del Pci, ma anche da vecchio, per una specie di dolorosa auto-censura. L’unica testimonianza postuma di Andrea Scano, è affidata a una poesia, trasmessa dopo la sua morte, per sua esplicita volontà, alla nipote Rina che lo aveva affettuosamente assistito nell’ultima parte della sua vita, quando la sua salute era già molto compromessa. “E’ giunta l’ora che non avrei voluto mai, di raccontarti una storia che non sai … c’è un’isola deserta in mezzo al mare … che ricorderò in eterno. E’ l’isola del male. E la chiamerò inferno … e non distingui più gli amici dai nemici. Non si distingue più l’odio dall’amore. Non bruciano il tuo corpo, ma il tuo onore …. Quando la bora soffia, porterà con sé, più in alto che potrà, una pioggia di sangue che sull’isola cadrà”. 7 Il calvario di Scano continua dopo la prigionia e il ritorno da Fiume. Viene sospettato di aver ceduto alle pressioni e di essere passato dalla parte di Tito. Dopo varie traversie Scano viene riammesso nel Pci che è il suo obiettivo principale; negli anni ‘70, dopo 30 anni di assenza, ritorna a S. Teresa di Gallura, dove, con sua sorpresa, viene accolto affettuosamente dai parenti. Muore nel 1980, e viene seppellito, per suo espresso desiderio, nel cimitero del paese natale, accanto a sua madre. E’ arduo fare un bilancio di una vita così intensa, segnata da un idealismo assoluto, da tante avventure e sventure. “mi dolgo, scrive, di andarmene senza aver lasciato qualche ricordo della mia vita, che fu intensa, drammatica e nello stesso tempo felice. La certezza di non essere vissuto invano, e il conforto di credere di essermi realizzato in base alle mie qualità e possibilità fisiche, intellettuali, il sapere di avere combattuto, senza risparmiarmi, per un mondo di uomini liberi”.

12 settembre

Esercitazioni navali alla presenza del Re che, il 13, si reca a Sassari. Durante le manovre il Cacciatorpediniere Pontiere va in secca a Capo Ceraso.

25 settembre

L’Italia dichiara guerra alla Turchia. Inizia la guerra di Libia, che durerà sino al 12 ottobre 1912 (pace di Losanna).

Ottobre

La piazza della Maddalena è posta in stato di guerra. Da Sassari e da Cagliari partono per la Tripolitania i contingenti del 45º e 46º Fanteria.

21 dicembre

800 cavalli sardi vengono inviati in Africa per essere impiegati in operazioni militari il Libia.

6 dicembre

Il Reparto dei Volontari Ciclisti e Automobilisti maddalenino, promuove una “Serata di Beneficenza” per le famiglie dei caduti maddalenini nella guerra Italo-Turca (1911-1912). All’inizio del 900 con l’introduzione di bicilette e automobili nei reparti dele Regio Esercito Italiano, il Touring Club Italiano fece opera di convincimento, presso i vertici militari, affinchè si organizzassero reparti di volontari ciclisti ed automobilisti. Secondo le intenzioni originali si trattava di una corpo (para-militare) composto da Volontari civili. L’esercito garantiva l’addestramento nei propri poligoni e la fornitura delle armi, mentre auto o bicicletta dovevano essere di proprietà del volontario. Nacque così , ufficialmente, nel 1908, il Corpo dei Volontari Ciclisti Automobilisti, avevano la loro divisa in panno di lana, decorata con un caratteristico distintivo e gli i istruttori (militari) erano ufficiali che facevano parte dei Bersaglieri. I Reparti si diffusero rapidamente nei principali centri italiani; la loro composizione era promiscua, anche se prevalevano studenti universitari e professionisti provenienti anche dal mondo dell’arte italiana, per cui l’età media variava dai 18 ai 40 anni. Un’intera generazione di artisti futuristi aderì, per esempio, ai reparti della Lombardia. Anche La Maddalena, ebbe il proprio Reparto VCA; gli associati seguivano gli addestramenti militari, probabilmente impartiti da ufficiali dei bersaglieri, di stanza all’epoca a Caprera. Oltre l’istruzione militare i VCA si adoperavano anche in una serie di iniziative benefiche ed umanitarie. La vita dei VCA fu però breve, allo scoppio della prima guerra mondiale (1915), il corpo fu sciolto per esigenze belliche, e i volontari che lo componevano vennero chiamati alle armi. Sparsi in giro per i principali fronti di guerra, molti di loro pagarono la loro voglia di arruolarsi con la vita. Al termine della guerra il corpo aveva cessato di esistere.

21 dicembre

Il governo invia in Africa 800 cavalli sardi da impiegare nelle operazioni militari nella guerra di Libia.