La scuola a Maddalena
Le prime notizie relative al tentativo di stabilire una classe elementare nell’isola risalgono al 1779; il bailo Bartolomeo Fravega relazionava al viceré sulla necessità di far riunire le famiglie ancora abitanti a Caprera a quelle di La Maddalena, attribuendo loro “idee e termini selvatici che giungendo qua se ne spoglieranno, come se né quasi spogliato questi della Maddalena”
Egli così giustifica la necessità della riunione: “Sarà anche una carità far riunire quelle sette famiglie qui assieme all’altre per apprendere un giorno la dottrina cristiana acciò possano sapere che vi è un Dio che premia i buoni e castiga i cattivi, perché se resteranno collà saranno sempre privi di quei lumi che sono necessari a un cristiano per essere guidato al cielo. Giorni sonsi capitò qui un certo uomo e cominciò a far la scuola e la dottrina cristiana ai ragazzi, con pensiero di avere un numero di ragazzi che fusse sufficiente a darci almeno sei scudi al mese per poter vivere, ma non riuscì fattibile incontrar qui più di tre scudi e mezzo, e con questo salario non poteva vivere unico motivo d’aver cessato la scuola e la dottrina“.
Qualche anno più tardi il comandante delle isole, Raynardi, affermava che nessuno degli abitanti sapeva scrivere e, per spiegare la ragione di tanta ignoranza, egli diceva che bisognava considerare l’origine di questo popolo, “il primo suo essere, e privi sempre di maestri“. Raynardi mostrava animosità nei confronti dei maddalenini che, in qualche occasione lo avevano trattato, a sentir lui, senza rispetto e quindi il suo parere negativo era eccessivo; non era affatto vero che nessuno sapesse scrivere: basta pensare ai numerosi sottufficiali che militavano nella marina sarda e che, non si sa come, avevano imparato non solo a firmare, ma anche a redigere relazioni da mandare ai superiori, magari scorrette e sconclusionate come quelle di Raynardi.
La propensione per la scuola era obbiettivamente frenata dalla mancanza di mezzi: non erano numerose le famiglie che potevano permettersi di pagare per il precettore, per l’affitto del locale, per i libri. Malgrado ciò, a partire dal 1800 troviamo saltuariamente documentata qualche traccia di tentativi di avviare una classe elementare, sempre da parte di ecclesiastici, gli unici che potevano a buon diritto unire gli indispensabili insegnamenti cristiani a quelli dell’istruzione.
Nel 1806 uno di questi fuggevoli segni appare in una lettera del comandante Agostino Millelire che, relazionando sulla presenza di alcuni corsi fuggiti dalla loro terra a causa delle “requisizioni“, cioè della coscrizione obbligatoria alla quale li sottoponeva Napoleone, citava anche un prete, don Filippo Piretti che “trovasi qua facendo scuola ai ragazzi sino dalli 15 dello scorso gennaio“.
Qualche anno più tardi, nel 1810, un altro sacerdote, Tomaso Croce, aveva cercato un alloggio adatto per ospitare una classe ma non essendo riuscito a trovarlo, era ripartito per Sassari in cerca di migliore fortuna. Non abbiamo notizie né del luogo dove si tenevano queste saltuarie e quasi occasionali lezioni, né a quali famiglie appartenessero i ragazzi interessati. Dobbiamo arrivare fino al 1813 per sapere di più grazie ad un atto notarile, “Instrumento di insegnamento di giovani” affidati a don Luca Ferrandico di Tempio per 6 anni.
I capifamiglia contraenti appartenevano tutti a quel ceto che potremmo definire borghese, formato soprattutto da funzionari dello stato, da graduati imbarcati sulle regie navi e da padroni marittimi. Fra i primi sono Agostino Millelire, comandante delle isole Intermedie, Onorato Lauro suddelegato patrimoniale, Giò Giacomo Gambarella, consigliere comunale ed esattore delle tasse negli anni successivi; fra i secondi Tomaso Zonza “la Fedeltà”, Cesare Zonza comandante “provisionale” del porto di La Maddalena.
Ilgruppo più numeroso è rappresentato dai padroni marittimi possidenti in media di 200 scudi; Filippo Favale, Gio Batta Millelire, Domenico Millelire di Battista, Giovanni Ornano, i fratelli Francesco e Salvatore Coliolo, Salvatore Fienga, Domenico Coliolo e Luigi Polverini. A questi si aggiungevano la vedova Mariangela Ornano e Giacomo San Damiano, l’unico del quale non conosciamo nulla. Quasi tutti i contraenti sottoscrissero con la loro firma il contratto ad eccezione di Giovanni Ornano, Tomaso Zonza e Mariangela Ornano che apposero il segno di croce. Ferrandicco giurando fedeltà al patto “manu in pectore sacerdotali more…. compromette di fedele assistenza e continuata disciplina il profitto dei giovani studenti” con insegnamento individuale secondo il grado di preparazione e l’età dei 20 allievi (logicamente tutti maschi!). Le lezioni dovevano essere impartite mattina e sera per tutti i giorni della settimana tranne il giovedì, e i giorni festivi.
La paga era di 130 scudi, un reale, due soldi e 4 denari, da corrispondere in due rate annue; a ciò si aggiungeva un pane che ogni contraente doveva passare settimanalmente, un alloggio “decente” sia per la classe che per l’abitazione del maestro. Il compenso pattuito era decisamente buono se lo si paragona a quello stabilito in seguito, nel 1824, per la scuola pubblica, che poteva oscillare fra un minimo di 40 e un massimo di 80 scudi.
Luca Ferrandico rimase a La Maddalena fino al 1829, anno della sua morte e con tutta probabilità continuò nel suo lavoro di precettore fino alla emanazione delle norme sulla educazione volute da Carlo Felice nel 1823 e riguardanti tutte le fasce dell’educazione, dall’università alle scuole normali. Il regolamento attuativo del 25 giugno 1824, per la prima volta si interessava ufficialmente della istruzione elementare facendone pesare l’organizzazione sui comuni e sul clero. Le finalità erano ridotte all’essenziale: “Vi sarà in tutti i villaggi del regno un maestro di scuola il quale insegni a leggere, ascrivere, l’abbaco, la dottrina cristiana ed il catechismo agrario”.
I comuni erano obbligati al mantenimento della istituzione, cioè alla paga del precettore, sia al reperimento di locali idonei per l’insegnamento, sia alla dotazione degli arredi indispensabili (lavagna, gesso, crocifisso, libri, carta, penne). Fra gli oggetti da acquistare avrebbero dovuto figurare anche piccoli doni da dare agli alunni meritevoli per incentivare lo studio, ma questo risultò essere un sovrappiù impossibile. Il reperimento dei fondi , infatti, era difficoltoso per tutti i comuni, e ancor più per quello di La Maddalena, privo o quasi di rendite agricole o derivate dalla presenza di consistenti proprietà private. Il regolamento suggeriva di dedicare a questo scopo l’eventuale “disponibilità di qualche territorio” proveniente dall’applicazione dell’Editto delle chiudende il cui ricavato sarebbe stato finalizzato “alla dotazione delle scuole normali“.
Ciò che nel regolamento colpisce maggiormente è il ruolo assegnato al clero. La richiesta di collaborazione era indirizzata ai vescovi perché vegliassero sul buon andamento delle scuole e sulla moralità dei precettori, mentre al funzionario governativo (l’intendente provinciale), sembrano attribuiti puri compiti amministrativi. “Le scuole sono poste sotto l’ispezione dei parroci e sotto la sorveglianza degli intendenti provinciali come delegati dei rispettivi Magistrati sovra gli studi”
Anche la nomina del precettore era fatta dall’intendente, ma su proposta del parroco e del sindaco del comune, privilegiando “uno dei viceparroci del luogo” e, solo ove questo non fosse possibile, “dove i bisogni della chiesa non permettano tal distrazione, qualche altra persona secolare del villaggio“; nel caso però che anche tale esperimento andasse a vuoto, il regolamento obbligava i sacerdoti ad assumere l’incarico (“Ove l’intendente disperi di divenire un abile maestro, sono tenuti ad incaricarsi di detta scuola i parroci e i viceparroci“). Ancora più marcata si rivela la determinazione del governo nei confronti dei frati per i quali addirittura “si ingiunge[va]” di attivare, all’interno del convento, le classi elementari. Tenendo, come al solito, al risparmio, il regolamento stabiliva che ai parroci o ai frati che assumessero l’incarico di precettori nello stesso paese in cui risiedevano, si sarebbe corrisposta solo la metà del salario previsto.
Giovanna Sotgiu