Le prime commesse di Cava Francese
Le prime due importanti commesse ottenute mettevano alla prova e contribuivano a rodare il sistema: la prima prevedeva la fornitura di 13.000 mc per il bacino di Malta, che la ditta Pearson & Son doveva costruire per l’Ammiragliato inglese; la seconda, di 20.000 mc, per la pavimentazione di via XX Settembre a Genova. Era importante per entrambe eseguire i lavori al meglio, per dimostrare non solo la qualità innegabile del prodotto, ma anche la serietà e la competenza della ditta: si trattava del miglior biglietto da visita presentabile e tutti gli sforzi dovevano essere fatti per accontentare i committenti.
La fornitura per gli inglesi evidenziava problemi diversi, il primo dei quali era il contratto di noleggio risultato non troppo favorevole con un vapore, il Commercio, in grado di garantire il trasporto a Malta: infatti il comandante si mostrava eccessivamente fiscale nel misurare il tempo di carico e scarico e propenso quindi a far scattare onerose controstallie anche quando non esistevano vere responsabilità della ditta. Sebbene i tempi di consegna fossero stabiliti negli accordi, succedeva che a Malta il lavoro fosse rallentato e quindi in cava i pezzi si accumulavano nel piazzale della banchina, intralciando tutto il sistema della lavorazione. Se per tale motivo la SEGIS chiedeva alla Pearson di ottemperare, questa pareva non capire la necessità di ritirare per tempo i conci già pronti e, in un italiano approssimato, rimproverava alla SEGIS la mancanza di organizzazione in tal senso. Ma lo stillicidio più fastidioso era il periodico rimprovero dei rappresentanti della Pearson per l’arrivo di pietre scartate a causa del cattivo stivaggio e della insufficienza di legni di protezione fra i pezzi. Questo comportava il rifiuto ad accettarli e quindi il sorgere di contenziosi nei quali però la SEGIS, a buon diritto, ribaltava il problema attribuendo la responsabilità dei guasti alle operazioni di sbarco: sicura di sé aveva diverse volte invitato la Pearson a far presenziare il suo agente alla Maddalena, Griffin, al momento dell’imbarco e, manifestando buona volontà non dovuta, aveva proposto anche di inviare uno scalpellino a Malta a riprendere sul posto le superfici rovinate.
Queste divergenze risultavano, però, appianabili e i rapporti fra le due ditte rimasero improntati a grande collaborazione anche in seguito, tanto che la Pearson cercò in tutti i modi di convincere la SEGIS a garantire un rifornimento ulteriore per la creazione di un bacino più piccolo sempre a Malta.
E a questo proposito emersero le differenti impostazioni dei soci. Agusti e, a ruota di questo, Rosi, temevano di non poter far fronte alla richiesta condizionata da tempi brevi di consegna e non volevano spendere per nuovi impianti che avrebbero consentito una maggiore rapidità. Marcenaro premeva invece per accettare, non tanto per continuare la produzione che, se ne rendeva conto anche
lui, difficilmente avrebbe potuto rispettare i tempi di consegna, ma perché giustamente temeva l’inserimento di una ditta svizzera, già aggiudicataria di precedenti forniture, che si proponeva di prelevare il granito a Capo Testa, all’Elba o a Terranova, tutte località di mare. Marcenaro pensava che questo potesse concretizzarsi in una futura, temibile concorrenza alla loro attività: una volta installati in una discreta cava sul mare gli svizzeri sarebbero entrati prepotentemente sullo stesso mercato della SEGIS mettendone in forse la supremazia, ancora non consolidata, che quindi avrebbe risentito pesantemente la concorrenza.
Contemporaneamente altri possibili sbocchi si aprivano nell’Africa Italiana: numerose erano le richieste provenienti da Bengasi e Tripoli per porti, strade, banchinamenti. Erano buone occasioni che però si scontravano con l’atteggiamento prudente di Agusti e Rosi preoccupati dai debiti contratti dalla società per lo sforzo nell’acquisto di terreni, macchinari e impianti per l’avvio della cava, dal piano ineludibile di recupero di cambiali presso il Credito Italiano e dal fatto che era sufficiente un ritardo nei pagamenti da parte dei committenti per provocare grosse difficoltà all’interno: a volte per pagare gli operai con la precisione che sempre contraddistinse la SEGIS, occorreva far ricorso alla cassa dell’altra società (la Fratelli Marcenaro e Grondona), o a prestiti personali dei soci. La questione portò a tensioni pericolose risolte infine dalla stessa società svizzera che, nell’impossibilità di procurare nei tempi richiesti dall’ammiragliato inglese tutto il materiale necessario per il Bacino Piccolo, ricorse alla SEGIS per il completamento: l’apertura paventata da Marcenaro di nuove cave sul mare fu momentaneamente rimandata.
L’altro appalto era quello di fornitura dei tacchi per la pavimentazione di via XX Settembre a Genova: la posta era alta in quanto, alle condizioni di subappalto da pagare alla ditta aggiudicataria si aggiungeva la necessità di operare al meglio, fornendo tacchi che Osvaldo Marcenaro, da Genova, spronava a eseguire “a perfezione”. C’era infatti la necessità di fare bella figura, ma soprattutto di rintuzzare i malumori della ditta appaltatrice che aveva subìto la volontà del comune di fornirsi di pietra maddalenina e aspettava solo di vedere qualche manchevolezza per potere denunciare all’opinione pubblica una presunta preferenza, da parte dell’assessore comunale ai lavori pubblici, nei confronti della SEGIS. A giudicare dalle lettere di Marcenaro ai soci Grondona e De Negri alla Maddalena, la ditta Impresa Edilizia avrebbe volentieri fatto a meno di fornirsi così lontano e con tutti i rischi di non poter mantenere i tempi di realizzazione e quindi entrare in penale col committente: infatti bastava un periodo di cattivo tempo o le difficoltà di trovare i velieri a noleggio per creare ritardi nei viaggi di consegna e conseguenze spiacevoli. Comunque Marcenaro, forte della correttezza dell’appalto, rispondeva agli attacchi della ditta in modo energico e senza paure.
Altri problemi indipendenti dalle previsioni e che spaventavano Agusti erano le controstallie, a volte molto onerose: infatti, finchè nel contratto di noleggio lo stivaggio era a carico dell’equipaggio, la ditta doveva solo assicurare la presenza di tutti i pezzi in banchina, “sotto paranco”, e quindi non era responsabile dei ritardi nelle operazioni di carico o scarico; ma poiché più spesso essa doveva provvedere attraverso suo personale, diventava responsabilità degli stivatori lavorare celermente e con attenzione in modo da riempire gli spazi disponibili al meglio proteggendo con legni adatti i pezzi per evitare che si scartassero toccandosi.
Ma a volte le controstallie erano determinate da elementi imponderabili quali il cattivo tempo, non sempre riconosciuto come giustificazione e, proprio nel 1902, da un lungo sciopero che interessò prima i carrettieri e poi gli scaricatori di Genova.
Fino a questo momento i gerenti si alternavano alla Maddalena per periodi dipendenti dalle necessità, mentre l’ufficio di Genova manteneva i contatti ravvicinati con l’amministrazione comunale, con i noleggiatori, con i centri di rifornimento. E’ però sintomatico che, ogni volta che si presentava qualche grana da risolvere a Napoli come a Malta o a Venezia, fosse Grondona a partire per desiderio espresso dei suoi colleghi che vedevano in lui autorevolezza e competenza.
Lo spinoso problema dei pezzi rifiutati a Malta, la cui responsabilità veniva strumentalmente attribuita dalla Pearson alla SEGIS, doveva essere risolta sul posto con i rappresentanti dell’Ammiragliato inglese; in quell’occasione, come altre volte, Osvaldo Marcenaro premeva perché fosse Grondona a togliere le castagne dal fuoco, con curiose espressioni in cui stima e affetto si mescolavano: “Non abbia paura Attilio di fare un fiasco, quasi che andando qualunque altro possa invece uscirne con un piccolo flaconcino, mentre che è certo sarebbe una damigiana!….Forse qualcuno di noi è quadruplamente munito di argomenti virili per darla a intendere meglio che Attilio ai signori inglesi?”.
Giovanna Sotgiu – Co.Ri.S.Ma
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