Oleandro
Oleandro (nome scientifico Nerium oleander, nome locale Oleandro). Articolo della ricercatrice e scrittrice maddalenina Giovanna Sotgiu.
Pianta perenne, legnosa che cresce spontanea in Sardegna lungo i corsi d’acqua, anche quelli che in estate rimangono asciutti: nella calura della stagione da maggio ad agosto arricchisce il paesaggio con i numerosi e grandi fiori formati da cinque lobi. Il suo aspetto naturale è quello di un cespuglio (anche se può raggiungere i 4 metri di altezza) con rami fitti che crescono dalla base e che le fanno assumere una forma tondeggiante; ma, usata come pianta ornamentale, spesso il suo portamento viene corretto trasformandolo in alberello.
Nelle varietà coltivate assume colori e dimensioni varie, con corolla semplice o doppia, con tinte che vanno dal bianco al rosa carnicino, al rosa salmone, al rosso intenso; viene usato per abbellire i bordi delle strade e le aiuole spartitraffico perché non ha bisogno di alcuna cura, resiste benissimo senza acqua e regala, nel periodo in cui tutta la campagna soffre della calura estiva, le sue vistose fioriture.
Alla Maddalena, in questo periodo, da tutti i muri dei giardini spuntano, incontenibili, gli oleandri: vorrei ricordare quelli di Barabò, piantati con grande entusiasmo dagli abitanti della zona che per anni hanno cercato di creare, in un’area abbandonata e degradata, una piacevole area di sosta arricchendola con panchine, fiori e piante, fra le quali quelle che risultano sempre ben visibili, anche quando l’erba vorrebbe sommergerli, sono proprio gli oleandri.
Di facile attecchimento la pianta si propaga attraverso i semi contenuti in un follicolo lungo fino a 20 centimetri, caratterizzato da segni longitudinali evidenti. Quando il follicolo si apre i semi si muovono leggeri con il vento grazie ai peli scuri di cui sono muniti che consentono loro spostamenti anche molto lunghi. Molto velenosa in ogni sua parte a causa di sostanze cardiotoniche che, per questo, vengono adoperate in medicina come sostituti della digitale.
Questa caratteristica tossicità è ben conosciuta da sempre e sfruttata negli allevamenti di galline e maiali: si dice che siano sufficienti poche foglie tagliuzzate e disposte nei pollai o nelle porcilaie per allontanare i parassiti e, pare, anche i topi. In alcune zone della Sardegna, si metteva foglie e fiori nell’acqua calda usata per il bagno per curare la scabbia. Qualcuno li utilizzava anche per avvelenare le pozze dove si potevano pescare le anguille, al posto delle euforbie. Il bestiame si difende dal veleno rifiutando naturalmente di nutrirsi delle sue foglie: ma se qualche residuo tagliato andasse a mescolarsi con l’erba che si dà in stalla potrebbe provocare grossi problemi agli animali.
Credo che sia giusto avvertire del pericolo i bambini anche se mi pare che sia stato esagerato l’intervento di completa eliminazione operato qualche anno fa presso la scuola americana.
Giovanna Sotgiu – Co.Ri.S.Ma