Il regno di Vittorio Amedeo III: stasi o regresso?
Nel febbraio 1773 moriva, dopo 43 anni di regno, Carlo Emanuele III: il sovrano illuminato che, con la collaborazione di un altrettanto illuminato ministro, aveva avviato un processo di rinnovamento della Sardegna.
Gli succedette il figlio Vittorio Amedeo III che licenziò subito il Bogino, probabilmente per l’incompatibilità caratteriale.
Se riguardo all’opera di Carlo Emanuele III le opinioni degli storici sono pressoché unanimi, si possono riscontrare idee divergenti sul regno di suo figlio. Infatti il Manno ravvisò nel regno di Vittorio Amedeo III un periodo di stasi, mentre il Loddo–Canepa ritenne che il riformismo iniziato con Carlo Emanuele III continuò anche sotto Vittorio Amedeo III, sebbene le condizioni economiche della Sardegna non abbiano consentito più profondi mutamenti. Lo storico Luigi Bulferetti è invece dell’opinione che l’azione riformatrice dei sovrani sabaudi s’interruppe in concomitanza con gli eventi della rivoluzione francese.
Nei vent’anni circa che intercorsero tra l’avvento del nuovo sovrano e la rivoluzione francese non ci furono sostanziali modifiche, ma si operarono solo dei piccoli ritocchi e degli aggiustamenti non significativi nella situazione sarda.
Le due Università restaurate dal Bogino si svilupparono ulteriormente: furono dotate di una facoltà di Matematica nel cui insegnamento si avvicendarono valenti professori sardi e ciascuna biblioteca fu arricchita dei libri acquisiti dopo la soppressione dell’ordine dei Gesuiti.
Il crescente aumento della popolazione costrinse a migliorare il funzionamento dei Consigli Comunitativi, dei Monti Nummari e Frumentari, dell’ordine pubblico (con torri litoranee, con l’incremento della flotta navale, con servizi di ronda ecc.) e della viabilità interna (fu creata un’apposita Giunta di ponti e strade che soprintendeva alla loro costruzione).
Fu introdotta la monetazione cartacea, che inizialmente riscosse grande favore ma in seguito, a causa delle falsificazioni dei biglietti, cadde in discredito; fu fondato il centro di Gonnesa nella costa Iglesiente e fu ripopolata la Gallura mediante l’istituzione di chiesette attorno alle quali si stanziarono le popolazioni (i cosiddetti stazzi di Gallura).
Nel 1775 si concluse il riordino della legislazione sabauda, già iniziata da Carlo Emanuele III.
Ma, accanto ad iniziative decisamente positive, si possono ricordare quelle che comportarono accese contestazion, come la riserva degli impieghi ai piemontesi o il ripristino di privilegi nobiliari e clericali.
Durante il regno di Vittorio Amedeo III si possono ricordare due principali eventi: la soppressione dell’ordine dei Gesuiti nel 1773 e la sollevazione popolare di Sassari del 1780.
Per ciò che concerne il primo episodio, il regno sabaudo era rimasto tra i pochi nel resto dell’Europa ad accettare ancora la compagnia dei Gesuiti, ordine religioso di cui i sovrani europei volevano incamerare le ricchezze e che volevano aboliti perché influenzavano negativamente l’opinione pubblica.
Alcuni pontefici settecenteschi mantennero in vita l’ordine ma nel 1773 Clemente XIV, assecondando la volontà dei sovrani, abolì la Compagnia, di cui i membri molto spesso erano valenti professori universitari e docenti di scuole medie inferiori.
I fatti di Sassari del 1780 furono probabilmente legati allo scarso raccolto dell’anno precedente che fece sfociare la fame in un tumulto popolare. Poiché le scorte di frumento erano terminate, il viceré Di Castellar si preoccupò di reperirne all’estero quantità sufficienti al fine di sfamare il popolo, ma fu accusato di essere uno speculatore. Il fenomeno della speculazione creava sempre più sgomento: sia a Cagliari che a Sassari erano infatti frequenti i soprusi operati dai pubblici amministratori delle aziende frumentarie che, sfruttando la fame, alzavano i prezzi del grano o vendevano partite di frumento avariate.
Oltre al viceré anche il clero si dimostrò particolarmente attento alla condizione del popolo. Infatti le istituzioni ecclesiastiche trasformarono spesso gli episcopi in alloggi destinati ai poveri e inoltre vennero istituiti i monti di pietà attraverso i quali si distribuiva il grano in cambio di oggetti dati in pegno.
A Cagliari si riuscì a superare la crisi, a Sassari no. Qui il venale, disonesto e corrotto governatore Allì Maccarani, oltre ad abusare della popolazione e della carica conferitagli, iniziò un personale commercio di grano: si recava periodicamente a Nizza usando come nome Piattoli e comprava ingenti quantità di grano per poi rivenderlo ad altissimi prezzi, bloccando la libera vendita del frumento.
La situazione divenne insostenibile quando il governatore pretese dai pubblici amministratori delle aziende frumentarie, anch’essi corrotti, una chiave della frumentaria per regolare a sua discrezione il mercato privato; chiuse inoltre il pubblico mercato delle carni per favorire i macellai facendo salire i prezzi.
Il 23 aprile la mancanza di frumento e la fame spinse la popolazione a scagliare pietre e colpi di fucile contro il corpo di guardia per costringerlo alla fuga, mentre nella piazza principale attendeva la distribuzione del pane. La folla inferocita si recò alla frumentaria saccheggiando le riserve, si diresse verso il Palazzo civico contro cui rivolse la propria furia devastatrice e poi bloccò il corriere che partiva per Cagliari dalla Casa della posta. Durante la notte furono bruciati alcuni locali di proprietà di usurai e speculatori del grano.
Nei giorni successivi il clero e i rappresentanti dello stato cercarono di calmare l’ira popolare con donazioni gratuite di denaro e di grano. La rivolta comportò la rimozione del governatore e di alcuni assessori dai loro incarichi; un’inchiesta giudiziaria decretò infine durissime condanne contro i popolani accusati di aver fomentato la rivolta.