Il villaggio operaio di Moneta a La Maddalena
Il nuovo Stato italiano, all’indomani dell’Unità, aveva bisogno di dotarsi delle industrie e delle infrastrutture necessarie per garantire energie e risorse allo sviluppo della nazione. Inoltre era indispensabile unificare le flotte navali degli stati preunitari, costruire arsenali e porti in grado di garantire la difesa dello Stato. L’istituzione degli arsenali militari rientrava quindi nel progetto di militarizzazione e di difesa del territorio e nella necessità di potenziamento della Marina Militare attraverso la realizzazione di una solida rete organica e funzionale di infrastrutture logistiche, di sistemi di armamenti di difesa e di una estesa rete di porti. Tra i maggiori porti creati nel secondo Ottocento in Italia vanno considerati quelli nati essenzialmente in funzione della presenza delle basi della Marina Militare, dell’attività di cantieristica navale e di manutenzione che queste comportavano. In molti casi alla creazione di moderni stabilimenti industriali ed alla nascita e allo sviluppo degli arsenali militari marittimi, in particolare a La Spezia, a Taranto e a La Maddalena, si accompagnò la realizzazione di nuove città, villaggi e quartieri operai interamente pianificati e in alcuni casi in relazione con le strutture urbane preesistenti.
Nel 1883 una apposita commissione incaricata di effettuare i sopralluoghi e i rilievi tecnici individuò il sito più idoneo dove far sorgere la stazione navale nella zona costiera a sud dell’isola di La Maddalena, posta tra punta Moneta e Cala Camiciotto; un vasto territorio abbastanza riparato dal ponente, fino ad allora quasi completamente disabitato, costituito per lo più da piccoli lotti coltivati alternati ad alcuni terreni più grandi incolti. Il criterio nella scelta dell’area era in linea con le strategie di sviluppo dei moderni cantieri navali e nella localizzazione degli stabilimenti industriali marittimi dove venivano privilegiati territori più possibile pianeggianti e aree più facilmente attrezzabili, urbanizzabili e suscettibili di ulteriori ampliamenti; spesso in zone acquitrinose, facilmente acquisibili a prezzi assai contenuti, facili da scavare e da sistemare con opere di banchinamento e di imbonimento delle spiagge. Quindi il 6 marzo 1887, con il decreto Crispi, venne istituita la piazzaforte militare a La Maddalena. La Cala Camiciotto, una profonda insenatura sabbiosa, con una spiaggia formata dall’apporto pluviale di un modesto corso d’acqua temporaneo che discendeva dalle degradanti alture di nord ovest, venne attrezzata come scalo tramite la realizzazione di una grande piattaforma di cemento, con un argano a mano e grossi anelli murali sullo scivolo, per favorire l’alaggio delle imbarcazioni; alle estremità si trovavano due banchine con i casotti per la guardia. Lungo la banchina di levante sostavano i pontoni in legno attrezzati per il trasporto dei cavalli e soprattutto dei muli, indispensabili per spostare i pesi lungo gli impervi sentieri delle batterie. Presso Cala Camicia vennero realizzati i primi baraccamenti provvisori che ospitavano i condannati ai lavori forzati impiegati nella costruzione della base militare. Nel 1895, per eseguire i lavori necessari alla creazione e al mantenimento delle strutture militari e della base navale, viene istituito l’Arsenale della Marina Militare. Anche se questo stabilimento non rivestiva la stessa importanza di altri arsenali come quello di Taranto o di La Spezia, il cantiere doveva provvedere a molteplici e diversificati interventi, dalla manutenzione, riparazione e assistenza delle navi, dei macchinari, delle armi, degli edifici e di tutte le strutture militari dell’arcipelago, al controllo e all’intervento su tutti i semafori marittimi della Sardegna.
(Aree espropriate per il Genio Militare a Moneta)
Con il ristabilimento della piazzaforte militare si registrò un notevole ampliamento urbanistico e uno sviluppo generale esteso per circa sei volte l’area urbana di La Maddalena.
Il tessuto urbano che ne derivò risultò fortemente connotato dalla giustapposizione di due diverse forme di città, con aspetti e funzioni diverse ma anche interdipendenti. Ad ovest si estendeva la città storica, borghese, mentre ad oriente si sviluppava la nuova città dei militari con una superficie poco più che doppia; una città indipendente non sovrapposta ma affiancata a quella borghese preesistente.
Dalla piazza Umberto I, elegantemente definita da una serie di palazzine militari e dal palazzetto del Comando Marina, fino a Cala Chiesa, si estendeva un ampio territorio occupato da edifici militari, che culminava nei propilei di ingresso, gli edifici del corpo di guardia. Oltrepassata una sbarra, presso la quale era obbligatorio farsi riconoscere, e superate le due ‘casette’ del Corpo Reale Equipaggi, si accedeva alla città militare vera e propria, cinta da mura, che si sviluppava fino all’estremità della Punta Moneta. In altre piazzeforti militari marittime come La Spezia e Taranto, dove l’area borghese era collegata a un hinterland, questo fenomeno di stretta interdipendenza dalla città militare era meno sentito. A La Maddalena il carattere di insularità del territorio ha determinato un innesto particolarmente stretto e subordinato tra i due centri, per cui l’equilibrio economico della città borghese ha risentito fortemente delle alterne fasi di sviluppo o di decadenza della città militare.
Nel 1891 inizia l’attività dell’Arsenale Militare o Officina Mista Lavori grazie all’arrivo di venticinque operai specializzati provenienti soprattutto dall’Arsenale di La Spezia e alcuni da quello di Taranto. La struttura organizzativa era suddivisa in due officine principali: Costruzioni e Artiglieria. L’attività prese pieno ritmo nel 1896 con interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria oltre alle ricorrenti operazioni di carattere più minuto. All’interno delle officine le necessità pratiche del lavoro si dovevano misurare spesso con le difficoltà burocratiche che rallentavano l’arrivo di nuovi macchinari o dei materiali necessari, per cui i lavori talvolta non venivano portati a termine e ci si doveva arrangiare con i pochi mezzi a disposizione. L’esperienza e l’ingegno dei capi operai consentì di superare queste difficoltà e di formare una classe di operai specializzati, con un alto grado di competenza, capaci di risolvere, anche con l’inventiva, situazioni di emergenza e di fare fronte alle carenze strutturali. Dal 1895 si avvertì la necessità di istituire una scuola allievi operai in cantiere, tuttavia si dovette aspettare il 1941 perché venisse istituito, sollecitato dalle necessità della guerra, il primo corso scolastico triennale. La scuola venne ospitata all’interno dell’Arsenale e disponeva di un’aula, di uno spogliatoio e dei locali per i servizi igienici; i ragazzi erano impegnati la mattina nelle lezioni teoriche e durante il pomeriggio nell’apprendistato nelle officine.
Il Genio Militare realizzò le prime case operaie a levante, a ridosso della Punta Moneta, consistenti in due blocchi composti da 12 alloggi in linea ad un piano, uno per gli scapoli e uno per famiglie, il cosiddetto “Vaticano”. Fra il 1894 e il 1896 per rispondere alla richiesta di alloggi vennero trasformati in abitazioni numerosi magazzini e depositi e si costruì, lungo il muro di cinta a nord del cantiere, una serie di case in linea. Le case disposte su di una fila erano caratterizzate da una facciata comune, quelle poste al centro risultavano le meno igieniche avendo le aperture su due sole pareti opposte; le due case poste alle estremità si trovavano invece in condizioni migliori. Si trattava di un tipo di case popolari molto economico preferito all’epoca da molti industriali e da molte società. Al centro, tra le due schiere di case, si estendeva un ampio piazzale occupato al centro dal lavatoio pubblico e dal forno comunitario; in quest’area, nel 1935, vennero costruiti due grandi palazzi muniti di rifugio antiaereo e decorati con un grande fascio littorio nella facciata.
Il villaggio operaio di Moneta rientra tra gli esempi di insediamento a carattere industriale che nella seconda metà del XIX secolo vennero costruiti in diverse località. Nella fase tardo ottocentesca prevalse il modello del quartiere villaggio estensivo completo di tutti gli organismi assistenziali e collettivi. Attraverso la loro realizzazione, secondo le utopie del primo Ottocento, si sperava di rispondere alle esigenze della classe operaia e alle drammatiche condizioni abitative. Per l’intervento di alcuni imprenditori questi modelli di sviluppo urbanistico e sociale vennero concretamente realizzati per garantire all’industria una organizzazione più razionale, vantaggiosa e produttiva.
La creazione di comunità essenzialmente chiuse e autosufficienti, lontano dalla città consentiva di stabilire un legame assai stretto tra l’operaio e il ciclo di produzione della fabbrica. Sul piano dell’organizzazione e dell’assistenza gli imprenditori industriali più illuminati e le società più avanzate provvedevano all’organizzazione sociale dei lavoratori, attraverso un atteggiamento paternalistico e filantropico che garantiva uno sfruttamento più scientifico del lavoro e preveniva il pericolo di proteste che avrebbero potuto rallentare il ciclo produttivo. Non veniva trascurata nessuna forma di intervento a favore dei lavoratori, la casa, la scuola, l’assistenza sanitaria e a la maternità, la tutela pensionistica, l’addestramento e la scolarizzazione delle maestranze attraverso corsi serali di alfabetizzazione, cicli di colonie marine e montane e, per quanto riguarda i servizi, la creazione di unioni operaie di consumo, che vendevano generi alimentari a prezzi calmierati, mentre nel tempo libero si frequentavano le scuole serali di canto e di ginnastica, si organizzavano spettacoli di teatro popolare e la banda musicale.
>A Moneta si è tentato di risolvere separatamente i singoli problemi e di rimediare ai singoli inconvenienti senza tener conto delle loro connessioni e senza una visione globale del nuovo organismo cittadino; si è puntato a realizzare una città ma ci si è fermati alla dimensione del quartiere. Le abitazioni si presentano allineate come le monotone case byelaws inglesi, non c’è ricerca di una estetica urbana o architettonica, l’esperienza si esaurisce nella forma chiusa del monoblocco in serie composto da case a schiera monofamiliari a un piano, l’unico modulo che definisce funzionalmente lo sviluppo planimetrico e spaziale dell’insediamento. Il resto degli edifici distribuiti all’interno del perimetro militare costituiscono la dotazione dei servizi principali, il Panificio o Gruppo Centro, l’Ospedale Militare con il villino liberty per l’alloggio del direttore e la chiesa militare, le caserme e il campo sportivo. Oltre agli alloggi la Marina Militare provvedeva alla erogazione dell’elettricità, con un impianto realizzato nel 1896, dell’acqua, attraverso la costruzione di numerosi depositi sotterranei o trasportandola con navi cisterna da Battistoni; finché intorno al 1932 non venne realizzato l’acquedotto comunale. Veniva anche fornita la legna ricavata dal disboscamento per la costruzione delle batterie militari ed inoltre la Marina metteva a disposizione i rimorchiatori e le motobarche militari che collegavano regolarmente la base militare di Moneta con La Maddalena e con Stagnali per il trasporto di persone e di merci.
Nel 1893, per affiancare il servizio di trasporti via mare, vennero affittati per tre anni, dalla Ditta Perugina Angelo, una carrozza coperta, due cavalli e due carrozzini, risultati troppo costosi e poco capienti. Nello stesso anno venne proposta la realizzazione di una linea ferroviaria a scartamento ridotto in sostituzione del collegamento marittimo; la ferrovia non fu realizzata, tuttavia tra il 1899 e il 1900 vennero costruite ed equipaggiate due locomotive stradali a vapore, ‘Maddalena’ e ‘Caprera’, in grado di trasportare grossi pesi le quali vennero utilizzate solo verso il 1930 per il trasporto, lungo strade impervie, delle corazze protettive dei cannoni. I collegamenti via terra con il centro abitato di La Maddalena erano garantiti da un servizio di carrozze a cavalli che stazionavano a Piazza Umberto I. Dal 1898 fino alla prima guerra mondiale Emanuele Demutti effettuava il trasporto di persone in qualsiasi località dell’isola; a Demutti, nella gestione del servizio di collegamento con Moneta, subentrò Carmelo Serio.
La Cooperativa iniziò la sua attività immediatamente dopo la registrazione presso il tribunale di Tempio il 26 novembre 1896, la Regia Marina mise a disposizione i locali senza pretendere le spese di luce ed acqua. Si trattava del negozio più fornito che garantiva prezzi calmierati, gravati delle sole spese di trasporto; al suo interno, in mancanza di una farmacia vera e propria era custodito dal presidente della società, un armadietto farmaceutico contenente medicinali e specialità farmaceutiche di uso comune che non richiedevano prescrizione medica.
Gli abitanti di Moneta provenivano da diverse località d’Italia e, trapiantati presso una base militare in una zona quasi disabitata, lontano dalla città, non cercavano occasioni per mescolarsi con i Maddalenini, ma trovavano nella vita di tutti i giorni motivi di aggregazione e di consolidamento dei rapporti sociali. Per molto tempo costituirono una comunità autonoma, con abitudini, tradizioni ed anche forme di linguaggio diversi. In questo erano favoriti dalla comune estrazione proletaria e dall’appartenenza alla medesima classe sociale ed economica ed inoltre dalla convivenza alla quale erano abituati dal tipo di struttura urbanistica ed edilizia del villaggio. Alla ‘Disciplina’ come al ‘Vaticano’ o alle case a nord, la disposizione allineata delle abitazioni favoriva i rapporti di vicinato, lo scambio e la partecipazione reciproca alle vicende di ciascuna famiglia, questo garantiva il divertimento e lo svago soprattutto per i bambini che potevano scorrazzare liberi da una casa all’altra sempre controllati da genitori, da adulti o dagli anziani.
L’attenzione dedicata all’istruzione elementare e professionale della popolazione giovane, che per definizione deve essere educata e plasmata, rappresentava un vero e proprio investimento aziendale a lungo termine, che rafforzava il meccanismo di sfruttamento del lavoro. A partire dal 1893, con l’arrivo dei primi nuclei familiari, si era resa necessaria l’istituzione di una scuola elementare. Nel 1895 il Genio Militare elaborò un progetto per la realizzazione di un fabbricato scolastico dotato di tre aule e i servizi. Purtroppo l’impegno finanziario per le spese della difesa assorbiva tutte le risorse e i soldi per la scuola non erano disponibili. Nel 1898 il Regio Commissario Straordinario del Comune fece una delibera per il regolare impianto di una scuola mista nella frazione “Cantiere”, che segnò la nascita ufficiale delle scuole di Moneta. La Marina Militare mise a disposizione dei banchi che vennero riadattati a spese del Comune. Oltre agli arredi l’amministrazione comunale doveva anche preoccuparsi degli stipendi, degli affitti e delle spese relative ai mezzi di trasporto degli insegnanti del Regio Cantiere. Quando nel 1909 la giunta comunale ritirò questa sovvenzione la Marina intervenne mettendo a disposizione dei maestri i rimorchiatori che servivano per collegare tra loro i diversi insediamenti militari. La mancanza di aule spinse ad occupare edifici privati e caserme militari come la Faravelli e la Sauro, presso la quale venne ospitata anche la prima scuola materna gestita dalle Suore di S. Vincenzo. L’istituto, decaduto dopo la morte della direttrice Suor Pia, venne ripristinato nel 1945 per rispondere alle pressanti richieste, provenienti da molte famiglie che ne avvertivano decisamente la mancanza. Il Comando Autonomo Marina Militare che decise di intervenire per creare una nuova scuola materna, sempre presso la Caserma Sauro, aveva posto la gestione dell’istituto sotto il proprio Centro Assistenza, imponendo un carattere privatistico che consentiva l’iscrizione solo ai figli dei militari; tuttavia in seguito alle proteste dei civili dipendenti dell’Arsenale questi ottennero di poter iscrivere anche i propri figli. Nel 1948, con la nascita dell’Ente Scuole Materne Autonome Sarde, venne aperta una scuola materna a Moneta che sostituì quella privata gestita dalla Marina. I locali erano dapprima quelli della Caserma Sauro, messi a disposizione dalla Marina e in seguito quelli del CRAL (Circolo Ricreativo Aziendale dei Lavoratori) fino a quando il Comune non ha costruito l’attuale sede delle Scuole Elementari e della Scuola Materna. La Caserma Sauro ospitava anche una grande sartoria, gestita dalla Marina Militare, che offriva lavoro a tutte le donne che sapevano cucire. I militari fornivano i capi tagliati e tutto quanto occorreva per confezionare calzoni, giacche, mutande, camicie, asciugatoi, pancere. Nonostante l’Amministrazione Militare avesse tentato di impegnarsi negli aiuti in tutti i settori e si fosse dimostrata spesso disponibile a concedere i locali per svariate attività, sembrava piuttosto insensibile alle esigenze di natura spirituale, per cui la chiesa ebbe difficoltà ad inserirsi nel corpo sociale della comunità operaia di Moneta e dovette trovare ospitalità al di fuori della struttura militare, presso un edificio privato, prima di trovare, sempre al di fuori della Moneta Militare, una definitiva sede per il culto. Tuttavia anche il Circolo, detto il ‘Risorgimento’, principale luogo di svago e di divertimento, aveva sede fuori dagli impianti militari. Il locale era aperto tutte le sere e spesso, durante la settimana, venivano proiettati film muti accompagnati in sordina dalla musica di un’orchestrina che eseguiva brani musicali adeguati alla trama e alle sequenze della pellicola, all’epoca priva del sonoro. Un’altra attività rivestiva un ruolo importante per la vita sociale e culturale di Moneta, era la Filodrammatica, nata per iniziativa di Casali Menotti che in una stanza della propria casa aveva allestito un teatrino, con le quinte dipinte da lui stesso, dove capitava talvolta di ospitare delle compagnie teatrali vere e proprie provenienti dal continente. L’esempio di Moneta rappresenta una singolare tappa nel tentativo di dare soluzione al problema della residenza operaia, questa particolare esperienza urbanistica si esaurisce e si risolve, tuttavia, nell’incapacità di offrire, da parte dello Stato, una risposta sufficiente alle istanze sociali generali della classe operaia locale.
Giovanni Mulas