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Fantasiosi racconti su Nelson

Articolo dello scrittore Antonio Ciotta.

Nel 1861, Speranza von Schwartz, venuta a Caprera per trovare Garibaldi e convincerlo a pubblicare la seconda versione delle sue memorie, affascinata dalle bellezze dell’arcipelago, della sua storia e dei singolari abitanti che vivevano su quelle isole, ne approfittò per raccogliere tutte quelle notizie che poi, con lo pseudonimo di Elpis Melena, riportò nel suo libro Escursione all’Isola di Caprera, pubblicato a Ginevra nel 1862.

Fra gli incontri che la scrittrice tedesca fece nell’isola uno dei più significativi fu certamente quello con il vecchio Michele Zicavo col quale ebbe modo di soffermarsi durante una passeggiata notturna sulle alture di Guardia Vecchia. Lo Zicavo, che aveva raggiunto l’età di 98 anni ed era afflitto da tanti dolori fisici, ma soprattutto, a causa delle sue tristi vicende, da tante prostrazioni morali, raccontò alla Schwartz di essere discendente di uno dei primi abitatori corsi e di essere nato nel vecchio villaggio della Trinita prima ancora che venissero costruite le case lungo la fascia costiera e che il centro abitato si consolidasse definitivamente in riva al mare. Ricordò anche i tempi in cui, richiamati dal suono mattutino della campana della chiesa, tutti gli abitanti, e non solo gli uomini giovani e forti, ma anche i vecchi, le donne e i bambini, concorrevano con la loro opera volontaria alla costruzione del forte Camicia eretto in difesa dell’isola “per preservare i nostri beni e per salvare l’onore delle nostre spose, dei nostri figli e delle nostre sorelle”.

“Erano tempi di fatiche e di vive angosce”, ma Michele, con una “degna compagna” e circondato da tanti figli, era considerato “il più felice degli abitanti di La Maddalena”. Aveva molto bestiame e quando l’erba scarseggiava lo portava a pascolare sull’isola di Berrettini.
Non dimenticherò mai – raccontò alla Schwartz – il terribile giorno che doveva cambiare in dolore tutte le mie felicità. Era una bella mattina di primavera; ritornavamo dalla chiesa ove mia figlia aveva ricevuto la benedizione nuziale e, secondo le usanze della maggior parte degli isolani, per completare la festa scendemmo verso la spiaggia… Ma improvvisamente rimanemmo vittime di una banda di pirati che era sbarcata. Dopo una vana e inutile resistenza, poichè il nemico era più forte di noi e ben armato, io caddi con tanta violenza che perdetti i sensi e non potei essere testimone del crimine odioso che questi barbari osarono commettere. Quando rinvenni i gridi di rabbia mi lacerarono il cuore; i miei sfortunati compagni erano in riva al mare in atteggiamento disperato; essi mi indicarono lontano, navigando a piene vele, una galera turca carica di donne e di bottino; quelle donne erano le nostre spose e le nostre figlie che fuggivano lontano da noi, portate via dai loro rapitori”.

Allo Zicavo, privato della moglie e delle figlie femmine, erano rimasti solo due figli; il più grande, qualche anno dopo, era perito sulle coste nordafricane nel naufragio del brigantino sul quale era imbarcato, e il più piccolo, malgrado ciò che era successo al fratello, volle anch’esso fare il marinaio.
Egli restava sordo alle mie preghiere – proseguì nel suo rtacconto – e non s’inquietava né del mio dolore né della sorte di suo fratello, la cui tragica fine era portatrice di un triste presagio; persisteva nella sua vocazione. Una squadra inglese stazionò nei nostri paraggi e questa circostanza risvegliò le idee ambiziose del giovane e lo esaltò a tal punto che egli non ebbe più riposo fino a quando non riuscì a farsi arruolare nel vascello dell’ammiraglio. Il momento della sua partenza è sempre presente nel mio spirito. Rivedo ancora l’addio del caro ragazzo, mia unica speranza; egli era raggiante di gioia, mi parlava dei suoi successi, del suo avvenire e soprattutto del suo ritorno. Mi abbracciava con effusione, cercando di consolarmi, ma io ero triste e abbattuto, prevedevo una nuova disgrazia; penetrato da questo fatale presentimento, mi colse la malinconia vedendo sparire l’ultima vela di quella superba squadra la cui presenza nell’arcipelago aveva portato la sicurezza. La brillante vittoria riportata dagli Inglesi sulle flotte di Francia e di Spagna, che fu rattristata dalla morte dell’eroe britannico, privò il povero Zicavo del suo ultimo fanciullo; il mio Pietro morì nella memorabile battaglia di Trafalgar”.

Sorpresa da quest’ultima rivelazione, la von Schwartz volle chiedere se egli aveva conosciuto personalmente l’ammiraglio Nelson:
L’ho conosciuto e l’ho amato – rispose il vecchio Zicavo – ogni volta che metteva piede su questa riva restava qualche tempo con noi, e con una bontà consona alla sua natura si compiaceva di conversare con noi chiedendoci notizie delle nostre famiglie e dei nostri affari. Egli saliva in seguito sulle alture che dominano l’arcipelago godendo delle nostre belle vedute; mi faceva raccontare le vicende della mia vita e la storia della nostra piccola isola. La chiesa della Maddalena possiede, come ricordo della sua generosità, due magnifici candelabri e un calice d’argento.
L’ammiraglio, partendo, ci promise che se fosse ritornato vincitore dal combattimento al quale si apprestava, avrebbe donato agli abitanti dell’isola un capitale del valore uguale a quello di un brigantino con tutto il suo carico. Non è la perdita di una così grande fortuna quella di cui mi rammarico, ma la scomparsa prematura di un così grande uomo e la morte del mio povero fanciullo”.

Sempre sollecitato da Speranza, Zicavo proseguì nel racconto delle sue vicissitudini parlando del suo secondo matrimonio e della terribile epidemia che doveva colpire la sua nuova famiglia e gran parte della popolazione isolana, sottoposta, in quelle funeste circostanze, agli stenti del più assoluto isolamento a causa dell’interruzione dei commerci e delle lunghe quarantene alle quali dovevano assoggettarsi navi ed equipaggi.
Vidi una nuova primavera nascere attorno a me – disse Zicavo – ma quel terribile morbo, decimò l’isola e mi privò della compagna e dei fanciulli. Appena il morbo fece la sua apparizione i medici ci abbandonarono ed i malati e i moribondi furono privati di ogni soccorso. Quelli che resistevano dovevano sopportare la fame poiché le autorità del paese avevano proibito lo sbarco agli stranieri e di conseguenza nessuna nave poteva avvicinarsi al porto. Coloro che sfuggirono al colera e che non erano potuti fuggire in Sardegna sarebbero morti di fame se il governo non avesse preso delle misure energiche per alimentare gli abitanti”.

Dopo quell’incontro, ritiratasi presso la casa della famiglia delle tre Fazio (nonna, madre e figlia) dove era ospitata, la von Schwartz, profondamente colpita da quei racconti, stette tutta la notte a meditare sul lungo colloquio avuto con Michele Zicavo; non avrebbe comunque dormito lo stesso, poichè, come scrive nel suo libro, “Se il mio incontro con il vecchio Zicavo e le mie riflessioni sulla nostra conversazione non fossero state sufficienti per cacciare da me il sonno, esso sarebbe stato impedito dal sonno delle mie vicine. Un semplice paravento di tela di circa otto piedi di altezza separava il mio letto da quello delle tre donne, di modo che io non sarei potuta sfuggire né al monologo sonnambulo della figlia, né al ronfamento continuo della madre accompagnato dalla tosse asmatica della vecchia matrona”.

Il lungo racconto dello Zicavo fu riportato dalla scrittrice tedesca nel suo fortunato libro, nel quale Speranza si rammaricava che “…gli annali di questo popolo non sono stati mai scritti e nessun bardo li ha mai cantati; tutto ciò che è potuto sfuggire all’oblio – aggiungeva – vive nel cervello esaltato e nel cuore malato di un povero nonagenario che, lui stesso, sta scomparendo”.

E le vicende raccontate dal vecchio isolano per lungo tempo furono credute, e da alcuni vengono credute ancora vere anche ai nostri giorni.
La vicenda della razzia effettuata dai turchi, ad esempio, per inevitabile trascinamento, fu successivamente ripresa da molti autori stranieri tra i quali Sir Charles Mc Grigor il quale, citando quale fonte il testo della von Schwartz, la riporta senza sospetti né riserva alcuna.

Quanti di noi hanno vissuto l’infanzia e la prima adolescenza ai tempi dei “racconti del focolore”, quando non esisteva la televisione e al cinema si andava solo la domenica, e non tutte le domeniche, ricorderanno con nostalgia quelle indimenticabili figure di nonni, anziane zie, e vecchi personaggi che intrattenevano i fanciulli con la narrazione delle loro vicissitudini, delle guerre, dei grandi personaggi che avevano o dicevano di aver incontrato, dei viaggi che avevano fatto e dei paesi lontani in cui erano stati. Erano racconti fantasiosi dettati dalla mitomania senile; racconti triti e ritriti che quei vecchi avevano ripetuto tante di quelle volte che alla fine si erano convinti essi stessi che erano veri.

E’ dunque venuto il tempo di sfatare tante leggende e smentire quanti ancora oggi ci credono. “…Eppure c’è scritto in un libro!”, ci si sente spesso ripetere quando si contestano queste fantasticherie. L’episodio della razzia compiuta dalla galera turca, con la cattura delle donne maddalenine, riportato poi in più di un libro, non è mai avvenuto. Sin dai primi anni successivi all’occupazione sardo-piemontese delle isole, sebbene le minacce siano state tante, non si verificò alcun caso di incursione barbaresca. L’isola era ben munita, ben fortificata e ben presidiata da truppe e da arditi marinai i quali, in un’epoca in cui i sardi fuggivano ancora dalle coste e riparavano verso l’interno, attaccavano i pirati sul mare riportando spesso strepitose vittorie. Se l’episodio fosse realmente avvenuto gli archivi sardi sarebbero stracolmi di carte visto che i maddalenini della supplica al re e al vicerè, e delle petizioni alle autorità governative, ne avevano fatto un mestiere. 
Nelson, che lo Zicavo ci propone quasi come un assiduo frequentatore dell’isola, in quegli anni non scese mai a terra, né a La Maddalena né altrove. Dal 16 maggio 1803, quando assunse il comando delle forze navali inglesi nel Mediterraneo, l’ammiraglio non lasciò mai il ponte della Victory. Il suo primo sbarco avvenne a Gibilterra, quando aveva definitivamente lasciato La Maddalena da ben quattro mesi. Quel giorno annotò sul suo diario: “…che non metto piedi fuori dalla Victory sono due anni meno dieci giorni”.

Quanto poi alla partenza del giovane Pietro Zicavo al seguito di Nelson, il fatto, che non trova nessun riscontro documentale, appare improbabile. E’ ben vero che a La Maddalena avvennero numerosi arruolamenti, soprattutto sulle navi corsare, ma si trattava di imbarchi clandestini per i quali furono anche celebrati dei processi nei confronti delle persone che li avevano favoriti. La Sardegna, in quegli anni, aveva proclamato la perfetta neutralità fra le potenze belligeranti e l’arruolamento di un solo sardo avrebbe consentito la denuncia della sua violazione e il pericolo di attacco da parte dei francesi. Sul punto la corte sarda, che tollerò sempre i contrabbandi, fu assolutamente intransigente. Si ha invece notizia documentale del regolare arruolamento di un isolano, tale Stefano Scaparo, avvenuto però a Malta.

Con molta enfasi, poi, lo Zicavo racconta di aver visto, al momento della definitiva partenza di Nelson, “sparire l’ultima vela di quella superba squadra”. Particolare anch’esso molto fantasioso in quanto la partenza della squadra inglese avvenne dopo il tramonto e sotto l’infuriare di una bufera di maestrale.

Per quanto riguarda infine la grande epidemia narrata dallo Zicavo, evidentemente quei ricordi sono deformati dall’età avanzata del vegliardo. Più volte la comunità maddalenina fu attanagliata dal più completo isolamento in occasione delle varie epidemie che infierirono nei paesi mediterranei. Furono effettivamente periodi di grandi stenti durante i quali la popolazione soffrì fame, miseria e privazioni. Venivano interrotti i commerci e qualunque contatto con il mondo esterno; l’isola produceva ben poco, c’era poco lavoro ed è ben vero che in quelle circostanze le persone indigenti morivano anche per una banale malattia perchè spesso non avevano neppure i soldi per curarsi. Ma l’arcipelago, grazie alle salvaguardie sanitarie, rimase sempre immune dalle gravi epidemie di peste e di febbre gialla. Solo nell’estate del 1854 il colera fece la sua apparizione a La Maddalena mietendo numerose vittime. Lo Zicavo, però, ormai quasi centenario, non si riferisce certamente a quest’ultima epidemia avvenuta appena sette anni prima del suo incontro con la von Schwartz.

Ma delle tante “favole” raccontate dal vegliardo isolano una ha però trovato un preciso riscontro documentale. Riferì infatti lo Zicavo che Nelson aveva donato alla chiesa di Santa Maria Maddalena due meravigliosi candelabri e un calice d’argento (sappiamo invece che il dono, accompagnato da una lettera autografa, consiste in due candelieri e un crocifisso), ma aggiunse che “L’ammiraglio, partendo, ci promise che se fosse ritornato vincitore dal combattimento al quale si apprestava, avrebbe donato agli abitanti dell’isola un capitale del valore uguale a quello di un brigantino con tutto il suo carico”.

E’ stato sempre scritto che i doni di Nelson furono personalmente consegnati al parroco Biancareddu dal cappellano della Victory, reverendo Alexander Scott, che si era recato a trovarlo accompagnato da due marinai. Solo recentemente, Mattia Sorba ci ha invece rivelato che quando giunsero quei doni don Antonio si trovava nella natia Tempio da dove si precipitò a La Maddalena per far giungere all’ammiraglio, prima che questo riprendesse il mare, una lettera di ringraziamento.
Scrisse Biancareddu appena giunto nell’isola:
“Eccellenza,
Mi sono fatto un sacro dovere di affrettare il mio ritorno da Tempio mia patria in quest’isola della Maddalena, per umiliare da vicino all’E.V. i miei più rispettosi ringraziamenti per il grazioso e segnalato dono fatto a questa Chiesa Parrocchiale sotto la mia cura affidata, dono altrettanto prezioso, perchè accompagnato da’ venerati suoi caratteri, che restarenno depositati a perpetua gloriosa memoria, e della Chiesa, e del Comune, e del più divoto de’ suoi servi.
L’E.V. è supplicata ad accettare li più ossequiosi ringraziamenti da parte di chi non cesserà di porgere quotidiani, e perenni voti al Cielo per la prosperità, lunghi giorni, e gloria dell’E.V. nell’atto, che si rassegna con più profondo rispetto.
D. V.E.
La Maddalena addì 22 ottobre 1804.
D.mo Um.mo ed obblig.mo Servidore
D.e Antonio Biancareddu Vic.o P.le

Ebbene, a quella lettera, come ci rivela lo storico inglese J.W.Tyndall, nella sua opera in tre volumi The Island of Sardinia, edita nel 1869, Nelson rispose:
Questo piccolo ornamento è ben poca cosa; aspettate finquando prenderò i francesi fuori dal loro porto. Se io li catturerò, come ne sono sicuro, al ritorno prometto che vi porterò il valore di una delle loro fregate per costruire con esso una chiesa”.
Di quella missiva, presente nell’epistolario di Nelson, ma mai più ritrovata a La Maddalena, la comunità, di certo informata dal parroco, era sicuramente a conoscenza e il ricordo di quel solenne impegno era tanto vivo nella memoria degli isolani che lo Zicavo, pur parlando di brigantino e non di fregata, ne riferì alla von Schwartz.

Nelson non potè mantenere la sua promessa: colpito a morte nelle acque di Trafalgar non fece più ritorno nell’arcipelago. Il suo patrimonio ed una lauta pensione furono destinati a lady Emma Hamilton, la quale, dopo aver sperperato tutto, morì nella miseria più nera.
Se quella lontana battaglia non fosse avvenuta, se Villeneuve fosse sfuggito a Nelson e riguadagnando il Mediterraneo avesse fatto rientro a Tolone, l’ammiraglio sarebbe tornato con le sue navi a La Maddalena e le sorti dell’Arcipelago sarebbero sicuramente mutate. Il suo ritorno in acque sarde, difatti, avrebbe potuto far concretare quelle trattative a suo tempo intraprese per l’acquisto della Sardegna o per la sua cessione alla corona inglese in cambio di un territorio in terraferma che consentisse al sovrano sardo di mantenere il titolo di Re.

Quella chiesa che i maddalenini, con il concorso della Marina Sarda e con grandi sacrifici dell’intera comunità, completarono poi nel 1814 sarebbe stata edificata molti anni prima e certamente, se non più grande, sarebbe stata più fastosa.

Antonio Ciotta