Giambattista Sicheri
Giambattista Sicheri (1825-1879)
Un patriota trentino venuto a morire sull’isola
Era da poco spuntata l’alba di una grigia domenica autunnale quando a La Maddalena, nella modesta casa concessagli dal comune in via del Quartiere 26, moriva Giovanni Battista Sicheri, letterato di Stenico nel Trentino, allora compreso nell’austriaco Tirolo Meridionale. Era il 23 novembre 1879.
Questo personaggio, che a buona ragione si può considerare, Giovanni Prati a parte, il maggior verseggiatore trentino dell’Ottocento, fino ad oggi era conosciuto quasi esclusivamente per quanto tramandato dalla voce popolare.
In passato si è scritto molto su di lui descrivendolo come un eroe garibaldino che combatté fedelmente al fianco del generale nizzardo e che per questo fu perseguitato dalle autorità austriache alle quali sfuggì rocambolescamente approdando a Caprera dove terminò i suoi giorni accanto al suo generale. Sono state indette conferenze, simposi, pranzi, scampagnate e quant’altro, per lo più organizzate dal Circolo Culturale che porta il suo nome, ma sempre sul filo dei ricordi tramandati nei racconti della gente del paese, sempre su basi prive di fondamento documentale e perciò entro i labili confini del leggendario, colpevolmente servito come storia vera.
La verità storica è ben diversa ed è emersa dalle carte ottocentesche del Capitanato Distrettuale di Tione conservato all’Archivio di Stato di Trento, da quelle custodite all’Archivio Storico della Provincia di Trento e da numerosissimi documenti raccolti con pazienza in lunghi anni di ricerche in archivi e biblioteche del capoluogo trentino, di Stenico, di Milano, Lugano, Avellino, Varese, Sassari e, per ultimo, nell’archivio comunale di La Maddalena, dove diversi cari amici, in specie Toni Frau, Giovanna Sotgiu e Francesco Sanna, si sono adoperati per riscoprire molti preziosissimi documenti che hanno contribuito a svelare il poco felice periodo maddalenino della sua vita.
Giovanni Battista Sicheri nacque a Stenico nelle Giudicarie Esteriori, il 27 marzo 1825 da famiglia contraddistinta dal soprannome Cangi che la differenziava dai numerosi rami Sicheri presenti in paese. Dotato di viva intelligenza e particolarmente versato agli studi, fu in questo ostacolato dalla mancanza di mezzi della sua famiglia, quindi, per acquisire un’istruzione, fu dapprima chierico e poi postulante francescano al Convento delle Grazie in Arco di Trento, ma, constatato che la vita monastica non faceva per lui, gettò il saio per dedicarsi all’insegnamento. Fu quindi a Milano dove si avvicinò ai circoli mazziniani rimanendo coinvolto nei moti del 1853: fu poco più che una ragazzata perché limitata alla rappresentazione alla Scala di una sua opera che aveva lo scopo di sensibilizzare il popolo all’insurrezione, ma tuttavia bastò, sedata la rivolta, perché gli austriaci spiccassero contro di lui un mandato d’arresto. Fortunatamente riuscì a sfuggire alla cattura riparando in Canton Ticino, ma la famiglia presso la quale aveva trovato alloggio, fu processata e sfuggì a più gravi conseguenze per l’intervento del Padre Guardiano dei Francescani di Arco che testimoniò di aver egli stesso raccomandato loro il Sicheri, suo ex confratello. In terra elvetica trovò lavoro come docente in alcuni istituti e pubblicò, in forma anonima, la sua prima opera, oggi conosciuta come “La caccia sull’Alpe”, ma allora uscita col titolo di “La caccia sull’Alpe del contadino del Menzo”, dedicata ad una giovane nobildonna padovana. Di questo poema, opera di notevole spessore, se ne conoscono tre edizioni uscite nel 1853, nel 1860 e nel 1864 ed è stato oggetto di approfonditi studi, attribuendone erroneamente l’ambientazione nella Val d’Algone in Giudicarie, quando lo stesso autore, nella prefazione alla prima edizione, asserisce di essere sul Baldo, la montagna tra il Garda e la Val d’Adige, al cospetto della pianura mantovana e dell’Adriatico e, inoltre, il protagonista è un contadino del Menzo, che non è altro che il nome antico del fiume Mincio, emissario del Benaco.
Durante il soggiorno oltreconfine Giambattista Sicheri sposò un’insegnante milanese di origine istriana, Giuseppina Stanovich, dalla quale ebbe tre figli, Angela, Domenico e Tebano e qui, nella pace della tranquilla cittadina sulle rive del Verbano, dette alle stampe quasi tutte le sue opere.
La nostalgia della patria e, più probabilmente, un ridimensionamento dell’organico insegnante nell’istituto dove era impiegato, lo portò ad abbandonare la Svizzera ritornando in Tirolo al paese natale, dove si trattenne per qualche tempo, ma per vivere, fu nuovamente costretto ad espatriare stabilendosi con la famiglia a Milano dove trovò lavoro presso un istituto a Porta Ticinese.
Nel capoluogo lombardo riallacciò i contatti con i vecchi amici patrioti e, ancora una volta, incappò nelle maglie della giustizia per la cospirazione mazziniana del 1864; il suo nome emerse dagli interrogatori dei patrioti e così fu arrestato e incarcerato ad Innsbruck, ma su di lui, indicato come propagandista ed arruolatore, non si trovarono elementi incriminanti e ne uscì indenne.
Nell’estate del 1866, mentre Garibaldi ed i suoi combattevano sanguinosamente all’Ampola e a Bezzecca conquistando la Val di Ledro, Giambattista era in vacanza in Giudicarie, ospite del fratello Francesco. Qui, fu raggiunto dalla richiesta del conte Gerolamo Martini e di Filippo Manci che, in nome dei comuni ideali rinsaldati nella fallita cospirazione mazziniana del 1864, lo invitavano a fare qualcosa che potesse dare a Garibaldi il pretesto per ignorare l’ordine di ritirata. Radunati in fretta alcuni amici fidati, la cosiddetta “banda Sicheri”, Giambattista si portò in Val di Ledro da dove, ricevute le disposizioni, partì nottetempo intenzionato ad attaccare una postazione austriaca in modo da accendere la scintilla della sollevazione popolare ma, dopo poche ore di marcia, constatato che i nemici stavano ben in guardia, rinunciò al progetto e se ne tornò a casa. Questo, contrariamente a quanto divulgato in passato, fu l’unico episodio che avvicinò il Sicheri ai garibaldini.
Nel dicembre 1866 Giambattista abbandonò Milano ritornando a Stenico dove riacquistò un podere di montagna, la Credata in Val d’Algone, che qualche anno prima era stato di proprietà della sua famiglia e qui si stabilì dopo aver adattato alla meglio il preesistente fienile. Il motivo che spinse il poeta ad andare a vivere in un luogo tanto isolato a più di due ore di buon cammino dall’abitato più vicino, ha indotto a pensare che fosse un espediente per nascondersi e sfuggire alla polizia asburgica, ma questo non ha fondamento in quanto, in quel periodo, Giambattista era un uomo libero e pienamente osservante dell’autorità e delle leggi, come dimostrano svariati documenti. Era semplicemente il desiderio di un’anima non proprio tranquilla di isolarsi dal mondo per seguire i propri impulsi filosofici lasciando libero sfogo alla vis poetica della sua penna. Alla Credata, in un quasi totale isolamento, i coniugi Sicheri vissero per quasi sei anni con i due figli nati in Svizzera, la primogenita era morta a Milano nel 1863, una terza figlia nata due anni prima a Milano e altri due nati in quel periodo.
Nell’autunno del 1870, certamente spinto dalle necessità logistiche della famiglia ormai divenuta numerosa, Sicheri dette inizio ai lavori per la costruzione di una nuova casa che avrebbe assicurato una vita più comoda per tutti. La nuova costruzione, impostata in modo del tutto anticonformista con pianta a losanga e una specie di abside sul lato a valle, prosciugò completamente le finanze della famiglia costringendola ad indebitarsi per ben 504 fiorini verso il negoziante di un paese vicino che aveva fornito i materiali da costruzione garantendosi con un’ipoteca sulla proprietà. Quando nell’autunno del 1873, il negoziante chiese la regolazione del proprio credito, Giambattista, non disponendo di quella somma, non poté far altro che sottostare all’ipoteca cedendo l’intera proprietà al creditore il quale, concordatone il valore, versò al debitore la differenza. Era il 23 ottobre 1873.
A partire dagli anni ’80 del secolo scorso la casa nuova alla Credata è stata, chissà per quale ragione, definita come “fortino garibaldino”, addirittura l’unico esempio conosciuto; di certo si sa che la fantasia popolare, come quella di certi storici o presunti tali, non conosce limiti, ma allora si dovrebbe spiegare che
utilità avrebbe rappresentato una fortificazione addentrata nella valle diversi chilometri, raggiungibile dalla strada di fondovalle con un’ora di cammino e un dislivello di quasi 300 metri. Giusto per nascondiglio di qualche disperato, non certo per il Sicheri che, come già detto, in quel tempo viveva da uomo libero e rispettoso dell’autorità costituita la quale, tuttavia, in causa dei precedenti lo tenne sempre sotto un discreto controllo.
Rimasto senza una casa, alla fine di quel triste ottobre, Giambattista, ottenuto il regolare passaporto per l’Italia, partì con tutta la famiglia alla volta della Sardegna dove aveva saputo che vi era bisogno di buoni insegnanti.
Sullo scorcio del 1873 giunse così a La Maddalena dove, il nostro poeta cercò subito di ottenere un impiego come insegnante, ma il posto di maestro elementare era già occupato e d’altronde l’anno scolastico era iniziato da qualche mese. Giambattista non si perse d’animo e, una volta aggiornatosi e resosi conto della situazione scolastica dell’isola, aprì una scuola privata che in poco tempo conobbe il favore dei maggiorenti del paese subito colpiti dal carattere, dalla preparazione e dalla capacità di insegnamento del maestro. In quei mesi, nel maggio del 1874, la famiglia fu allietata dalla nascita di Fiordalina e questo fu certamente interpretato come un segno fausto, fautore di tempi migliori, ma non fu così.
Nell’autunno del 1874, Sicheri presentò al Consiglio Comunale maddalenino domanda per essere assunto come maestro nella locale scuola elementare dove si svolgevano solo i primi due corsi, ma la richiesta fu subito respinta motivando il rifiuto con la mancanza dei titoli per esercitare l’insegnamento dal momento che il diploma svizzero di professore, presentato dal richiedente, non era riconosciuto dal Ministero della Pubblica Istruzione del Regno.
In paese la scuola elementare pubblica non godeva di grande considerazione perché il maestro doveva venire di lontano ed oltretutto era mal retribuito e quindi vi erano frequenti avvicendamenti che si riflettevano sul profitto degli alunni. Oltre a ciò, il numero degli abitanti in continuo aumento non consentiva a tutti i ragazzi in età scolare di trovare posto nella scuola pubblica e proprio questo aveva spinto Giambattista ad aprire una scuola privata che in breve si era guadagnata una notevole considerazione.
La cultura, l’autorevolezza e la capacità d’insegnamento del Cangio avevano consentito ai suoi alunni di ottenere risultati nettamente superiori a quelli conseguiti dai coetanei della scuola comunale e così, l’anno successivo, una sua nuova domanda per essere assunto nel ruolo di maestro di prima e seconda nella scuola pubblica fu unanimemente accolta dal consiglio comunale.
Tuttavia esisteva sempre il problema della patente di abilitazione all’insegnamento perché Giambattista, per mancanza di mezzi, non aveva ancora potuto recarsi a Sassari per sostenere il prescritto esame, ma il 28 settembre 1875 il provveditorato, in considerazione dell’assenza di altri candidati ed in via provvisoria, autorizzò la sua assunzione. Il sindaco Chirri, nel riferirgli la decisione dell’autorità superiore, lo invitò ad aprire la scuola entro il 15 ottobre, cosa che avvenne regolarmente.
Quell’anno scolastico 1875/’76, che doveva segnare l’inizio di una nuova pagina della vita del Sicheri fu invece il più disgraziato. Già la scomparsa della piccola Fiordalina, avvenuta alla metà del mese di gennaio, lo aveva profondamente addolorato e, con ogni probabilità, grosse preoccupazioni gli provenivano dallo stato di salute della moglie che più di ogni altro aveva risentito del tragico fatto. Purtroppo i suoi timori si rivelarono fondati: Giuseppina, la compagna che tanto lo aveva sostenuto nei molti momenti difficili della sua vita, nel mese di gennaio si aggravò e il 16 febbraio 1876 spirò, lasciandolo nel più profondo dolore, unito allo smarrimento e all’incertezza di dover provvedere ai cinque figli, o almeno ai tre più piccoli.
Possiamo solo immaginare quanto tristi siano stati per Giambattista quei giorni e in quali condizioni abbia potuto continuare nell’insegnamento. Forse la sua pur forte fibra dette segni di cedimento, forse anch’egli s’ammalò e pensiamo che sia stato proprio per questo che il Sindaco Chirri, il 12 aprile 1876 gli inviò la lettera di licenziamento, motivandola con la mancanza della prescritta patente di maestro elementare.
Furono giorni duri, giorni di pena ed angoscia, ma certo per un senso di solidarietà gli fu lasciato l’uso dell’alloggio che il comune gli aveva assegnato in vicinanza della scuola in via del Quartiere 26, dove trascorse i suoi ultimi anni.
Per vivere riprese le lezioni private e nonostante tutto, il clima dell’isola, congiunto con la cordialità e solidarietà della gente maddalenina, gli resero la vita meno dura che alla Credata, i guadagni non erano un gran che, ma già i due figli maggiori avevano un impiego e contribuivano sensibilmente alle finanze familiari, inoltre, la figlia Cangina sebbene ancor giovanissima, accudiva con grande responsabilità i due fratellini minori.
Ma la Parca crudele attendeva il Cangio e, mentr’egli era ancora nel fiore degli anni, se lo portò via il 23 novembre 1879. Nulla si è potuto accertare circa le cause della morte che solitamente sono annotate sul relativo certificato registrato in municipio, ma che invece non vi risultano.
Giambattista fu sepolto accanto alla moglie e alla figlioletta nel camposanto maddalenino e, purtroppo, delle loro spoglie oggi non rimane più traccia, infatti, il cimitero risaliva alla fine del Settecento e custodiva le spoglie di tanti personaggi importanti per una comunità che, con le gesta di molti suoi figli, alcuni dei quali caduti da eroi, si era guadagnata la stima di uno stato che da piccolo regno seppe assurgere al ruolo di guida della futura nazione italiana. Il cimitero vecchio, fu utilizzato fino alla fine dell’Ottocento benché nel 1894 fosse stato costruito quello nuovo, più in alto in prossimità della settecentesca chiesa della SS. Trinità. Nel 1932, in occasione delle celebrazioni per il Cinquantenario della morte di Giuseppe Garibaldi, venne sistemato provvedendo al restauro dei più importanti monumenti, ma nel 1948, fu abbandonato e demolito per far posto all’Opera Pia, un edificio assistenziale di proprietà parrocchiale.
Delle tombe che vi si trovavano, solo le più importanti e famose furono traslate nel nuovo cimitero e, purtroppo, gran parte delle testimonianze del periodo risorgimentale andarono colpevolmente perdute. I feretri sepolti in terra vennero riesumati e le loro ossa furono riposte alla rinfusa nell’ossario, croci e lapidi vennero rimosse e distrutte, oppure riutilizzate all’interno delle nuove tombe di famiglia nella nuova area cimiteriale. Nella susseguente opera di bonifica, il terreno fu dissodato per la profondità di un paio di metri, ma, nonostante questo, per molti anni miseri reperti ossei continuarono ad affiorare.
Quindi qui si perdono le tracce fisiche del nostro poeta i cui resti, mescolati a quelli di molti altri, giacciono in quella terra della quale ci piace pensare sia diventato parte, parte di quel suolo italiano a cui tanto agognava.
Sicheri fu un uomo vero, un uomo del suo tempo, dall’acuta intelligenza usata con grande giudizio, dapprima nello studio e poi nell’insegnamento e nella vita; fu un patriota critico ed intransigente, ma senza eccessi ed estremismi tanto che, una volta raggiunto il suo equilibrio interiore, rifiutò i compromessi fino a pagarne le dirette conseguenze. Non morì a Caprera, non fu “sodale” di Garibaldi, se così fosse stato, di certo i suoi ultimi anni sarebbero stati più sereni, non avrebbe lottato con i denti per ottenere un modesto posto di maestro di prima e seconda elementare e non sarebbe stato licenziato per essere sostituito da una maestra raccomandata al sindaco Chirri dallo stesso generale nizzardo. Avrebbe vissuto il tempo che gli rimaneva nella pace di quei luoghi incantati e non sarebbe stato continuamente importunato e sbeffeggiato nella sua stessa abitazione dai monelli del paese tanto da dover ripetutamente protestare con le autorità.
Le ossa di Giambattista, se non sono state disperse dagli scavi succedutisi dopo l’abbandono del vecchio cimitero, con ogni probabilità sono ancora lì nel sottosuolo dell’Opera Pia, nell’area compresa tra via Cairoli, via Balbo e via Roma, in terra italiana, tanto lontano dal proprio paese.
Ai conterranei di Stenico, ai giudicariesi ed ai trentini tutti, nonché agli amici maddalenini, che ora non potranno più celebrare Giambattista Sicheri come “eroe garibaldino”, l’invito a leggere le sue opere, le opere di questo notevole personaggio, fulgido esempio di quanto una limpida intelligenza possa donare corpo ed anima alla patria, patria italica, non d’oltralpe. Ci si accorgerà allora della reale grandezza del “Poeta Cangio” che, a buon titolo, si può annoverare tra i maggiori letterati trentini.
Ennio Lappi