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Gli olivastri

I vecchi abitatori delle isole hanno spesso innestato gli olivastri originari trasformandoli in ulivi. Ancora oggi e facile riconoscere questi vecchi alberi dalla loro posizione disordinata ben diversa da quella degli uliveti sistematicamente piantati in filari distanziati ad arte, ad esempio presso la casa di Garibaldi o a Santo Stefano.

L’olivastro deve il suo relative successo, all’uso fattone nel passato come elemento di sostentamento: nei periodi più difficili, infatti, i pastori usavano le sue fronde per approvvigionare il bestiame e quindi sottoponevano la pianta a potature periodiche e non a tagli indiscriminati.

Per i pastori l’olivastro era prezioso anche come alimento: ne ricavavano un olio più grezzo rispetto a quello dell’olivo, ma altrettanto utile e, in tempi di carestia, rametti e foglie sopperivano all’erba nel nutrimento del bestiame. I pezzetti di corteccia, tagliati a croce e bolliti, davano un decotto, che filtrato e bevuto al mattino dopo essere rimasto al sereno tutta la notte, curava la febbre e, soprattutto, la malaria.

Nelle pratiche relative alla morte, quando il malato aveva un’agonia lunga e difficile, si pensava che ciò accadesse perché aveva bruciato un giogo, anche inavvertitamente: i parenti che volevano facilitare il passaggio alla morte dovevano costruirne allora uno piccolo, possibilmente di olivastro e porlo sotto il cuscino del morente.

Vedi anche: Olivastro