Horatio Nelson alla Maddalena
Prese parte a numerosi assedi (Bastia e Calvi nel 1794, Genova nel 1795) e a scontri navali, in uno dei quali perdette l’occhio destro e un braccio. Nel 1798 non riuscì ad impedire lo sbarco di Napoleone in Egitto ma ne distrusse la flotta ad Abukir. Portatosi a Napoli (ove intrattenne una relazione amorosa con Lady Hamilton), indusse quel re ad entrare in guerra; e l’anno appresso, rinnegata la capitolazione conclusa dal Ruffo coi difensori della repubblica, si macchiò di complicità nella spietata reazione che seguì la restaurazione borbonica. Nel 1801 vinse la flotta danese e bombardò Copenaghen; e dopo la ripresa della guerra con la Francia, impedì lo sbarco dei francesi in Inghilterra, inseguì la flotta franco-spagnola fino alle Antille e le inflisse una decisiva disfatta a Trafalgar (1805), con una Battaglia che gli costo la vita. Fu sepolto nell’abazia di Westminster, e a Londra in Trafalgar Square fu innalzata una colonna in suo onore. L’obbiettivo principale del famoso ammiraglio britannico era quello di tenere sotto controllo la flotta francese che andava ristrutturandosi nel porto di Tolone e di vigilare affinché Napoleone non riprendesse le sue mire sull’Egitto, già smorzate cinque anni prima ad Abukir per opera dello stesso Nelson . Si trattava di scegliere una base operativa adatta. Egli scartò Malta perché troppo lontana da Tolone, e la Sicilia perché come Stato appariva “quanto di peggio può essere un paese civilizzato”. D’altra parte non intendeva tenere Tolone sotto sorveglianza ravvicinata, sperando che i francesi, ingannati da un pattugliamento discreto, si decidessero prima o poi di uscire dal porto. Per questo scopo la base ideale apparve a Nelson La Maddalena, ed egli sollecitò al suo governo l’occupazione militare di tutta la Sardegna, “prima che lo facciano i francesi”, scrivendo: “Se noi possiamo possedere la Sardegna non avremmo più bisogno ne di Malta ne di altro: essa quale stazione navale e militare è la più importante isola del Mediterraneo: possiede alla sua estremità settentrionale il più bel porto del mondo. La Maddalena è a 24 ore di vela da Tolone; copre l’Italia e la sua posizione è tale che il vento favorevole ai francesi per navigare verso est è egualmente propizio a noi per seguirli; se dirigono verso oriente vengono diritti a passarci accanto; in breve essa copre l’Egitto, l’Italia e la Turchia… Se io perdo la Sardegna perdo la flotta francese”. I Savoia erano troppo fieri per sopportare qualsiasi occupazione militare e inoltre si trovavano ora in posizione di neutralità con la Francia; tuttavia anch’essi paventavano un possibile attacco francese alla Sardegna e la presenza della flotta di Nelson era indubbiamente una garanzia di prim’ordine. Perciò accettarono le navi britanniche nella rada de La Maddalena soltanto per i rifornimenti di acqua e di viveri. Cosi il primo novembre 1803 i maddalenini videro entrare nell’estuario la meravigliosa flotta inglese di 13 navi, con l’ammiraglia, la Victory, in testa, incedenti con ordine perfetto, unite tra loro da un’intesa che le faceva muovere come un unico organismo alato di cento vele. Le vele vennero serrate, si diede fondo alle ancore nella rada di Mezzo Schifo. Di fronte a Cala Gavetta e a Cala Chiesa, stazionava la piccola squadra sabauda, ben più modesta per numero e tipo di legni, ma non meno gagliarda quanto all’assetto, alla disciplina degli uomini, al loro orgoglio di corpo. Quel giorno a La Maddalena il confronto era nell’aria, sensibile, visibile e tangibile e i fatti che seguirono dicono che la flotta sarda e gli isolani uscirono con sommo onore dalla misura. Horatio Nelson scrisse immediatamente una lettera a Thaon di Revel marchese di Sant’Andrea, che in quei giorni a Cagliari sostituiva il re Carlo Felice, assente: la missiva, in francese e cifrata, rispondeva alla più raffinata cortesia e insieme poneva in chiaro i limiti della missione inglese e di benefici che potevano derivarne al regno sardo. in essa si diceva. tra l’altro: “Credo necessario prevenire V.E. che nel caso quest’isola fosse attaccata dai francesi, io ho l’ordine di fornire a V.E. tutta l’assistenza che dipenderà da me, al quale ordine obbedirò certamente con tutto lo zelo che è in potere di colui che è di Vostra Eccellenza il servitore obbediente e umilissimo” F.to “Nelson e Bronty”
Dunque i patti erano chiari. Ma Nelson, la cui flotta, per bella e potente che fosse, mancava di navi piccole e veloci come le galere e le mezze-galere capaci di svolgere un attento lavoro di pattugliamento e avvistamento, tentò ben presto di forzare da un lato un suo governo affinché tentasse nuovamente un accordo di cessione della Sardegna all’Inghilterra proponendo anche la cifra: 500.000 Sterline; dall’altro, quando vide Des Geneys arrivare a La Maddalena con le due nuove unità acquistate a Napoli – Aquila e Falco – Propose al Viceré di affidarne il comando ai suoi ufficiali, aggregandole in qualche modo al servizio della flotta inglese.
Qui Nelson dimostrò di non conoscere bene l’indole e lo spirito del governo della marina sarda: forse egli proiettava su di essi un prolungamento delle considerazioni fatte al tempo della sua permanenza tra le debolezze della corte borbonica; oppure bisogna pensare che la sua visione del quadro mediterraneo fosse talmente globale e unilaterale, e la sua preoccupazione di bloccare Napoleone così angosciosa e pressante, da fargli perdere di vista la dimensione più limitata, ma nobile e fiera dello staterello sardo.
La corte sabauda fu decisa nell’opporre un freddo rifiuto a qualsiasi proposta di cessione della Sardegna, mentre le adirate reazioni di Des Geneys e dei suoi ufficiali confortarono Carlo Felice a rispondere negativamente con fermezza all’orgoglioso ammiraglio, anche per quanto riguardava il comando delle navi sarde. E’ assai probabile che da questo incidente iniziale sia nata la diffidenza e la freddezza di Des Geneys verso Nelson: i due evitarono sempre ogni forma di rapporto sia fisico sia epistolare, pur vivendo nello stesso porto, quasi fianco a fianco.
Nelson rispose al Vicerè prendendo atto “che Le vostre ragioni per non mettere le galere sotto il comando di ufficiali inglesi sono più che giuste” e aggiunse di aver dato ordini ai suoi di cooperare col “Barone Des Geneys” L’errore nel nome e nel titolo sono una prova abbastanza palese della freddezza di rapporti fra i due. L’ammiraglio sardo dal canto suo si comportò con molta intelligenza per tutto il periodo della coabitazione delle due flotte a La Maddalena, accentuando l’azione di pattugliamento sulle coste settentrionali, in modo che potesse tornare di vantaggio e utilità anche agli inglesi, senza destare sospetti di rottura della neutralità sarda nei francesi. Un azione di strategia diplomatica, che dovette essere un notevole contributo ai rapporti di amicizia tra i Savoia e l’Inghilterra e un aiuto apprezzato e concreto per Nelson. La Maddalena ricavò vantaggi economici considerevoli dalla permanenza degli inglesi: si trattava di una forza calcolabile intorno ai 2.000 uomini che si riforniva di viveri, scendeva a terra per rifarsi dei mesi di privazioni in mare e quindi non badava a spese.
L’intera Gallura dovette risentirne i benefici effetti e ciò accadeva in un periodo di crisi economica in tutta la Sardegna. Naturalmente la presenza di tanti uomini di mare aveva anche i suoi risvolti problematici, specialmente sull’ordine pubblico: le donne maddalenine erano già famose a quei tempi per la loro bellezza, i loro uomini, imbarcati sui legni sardi, erano presenti nel porto a fronteggiare la sfida dei pretendenti di Albione. E quì accaddero alcuni fatti che risolsero quello che avrebbe potuto essere un generale decadimento di costumi e una rissosità connaturale a ogni occupazione militare, in un esempio di convivenza civile che gli inglesi, come vedremo, non avrebbero mai dimenticato. Nelson trovò a questo riguardo un grande amico nel comandante della piazza Agostino Millelire: tra loro si accese quel misterioso filo d’intesa fuori da ogni gioco diplomatico e di opportunismo, che lega due uomini di mare profondamente conoscitori delle qualità, dei bisogni e dei limiti della propria gente.
Fu Millelire a render visita al grande ammiraglio a bordo della Victory; non sappiamo cosa si dissero, ma dalle notizie che abbiamo sui due temperamenti e su quanto questo incontro produsse nell’arcipelago in quei mesi, dobbiamo ritenere che l’isolano fosse immediatamente conquistato dalla comunicativa aperta, leale, quasi cameratesca con la quale Nelson trattava tutti coloro che gli erano compagni di navigazione, dagli ufficiali all’ultimo dei mozzi, senza mai venir meno alla responsabilità del suo grado, anzi traducendo il peso dell’autorità in fiducia nell’autorità. Da parte sua l’inglese deve aver riconosciuto in Millelire l’uomo che è giunto al suo posto di comando attraverso la gavetta del coraggio, della disciplina, della capacità di soffrire: il linguaggio dell’eroicità e della responsabilità che questo isolano aveva espresso in tutta la sua vita era il medesimo che egli stesso parlava e che ora, nel primo incontro, si esprimeva semplicemente, prevedendo e provvedendo per il bene della propria gente.
Nei primi mesi di permanenza della flotta inglese a La Maddalena si verificò qualche incidente a terra tra marinai e popolazione e i due responsabili affrontando nel comune accordo le singole evenienze nel senso che era loro proprio: far rispettare la giustizia obbiettiva educando trasgressori e offesi a cercare le vie di una più civile convivenza. Nelson era validamente assistito in quest’opera dal cappellano della flotta, reverendo Alexander Scott, grande conoscitore dei suoi marinai, che ben presto divenne ottimo amico di Millelire e assiduo frequentatore della sua casa. Millelire dal canto suo seppe far leva sulla qualità più bella dei maddalenini, il senso dell’ospitalità da marinaio a marinaio. Se furono le inevitabili evasioni da angiporto, fiorì anche tutta una vita di rapporto più elevato in cui gli inglesi si trovarono accolti in famiglia davanti a una tavola imbandita, invitati a una partita di caccia o di pesca, coinvolti nelle piccole cose di ogni giorno entro la quiete e gioviale serenità di cui i maddalenini sono campioni ancor oggi.
Si sa che spesso gli ufficiali inglesi erano invitati ad eccitanti cacce in Gallura e che quelli de La Maddalena favorirono la loro penetrazione nel difficile e chiuso mondo dei pastori sardi: un mondo che, quando si apre, fa dono del prezioso tesoro di un’ospitalità da sovrani di antichissimi regni. Nelson fu così toccato dalla provvida opera di Millelire che il 23 ottobre 1804 si sentì in dovere di segnalarla insieme con il proprio apprezzamento al Vicerè Carlo Felice con una lettera di suo pugno:
“Signore, non potrei partire dall’Isola della Maddalena senza prima assicurare la Vostra Altezza Reale che la condotta del Governatore Millelire e sempre stata così perfettamente corretta e strettamente conforme all’editto di neutralità di Vostra Altezza Reale, da meritare costantemente la mia perfetta stima. Pertanto mi permetto di sollecitare per questo eccellente Governatore un segno dell’approvazione di Vostra Altezza col conferirgli un maggior grado, ciò mi sarà di grande gradimento e soddisfazione. Il molto devoto servitore di Vostra Altezza Reale. F.to”Nelson e Bronty“
Mentre gli uomini di Nelson intervallavano i loro turni di pattugliamento in Mediterraneo con queste parentesi di straordinario recupero psicologico e fisico, l’Ammiraglio non lasciò mai la Victory. Quando sbarcò a Gibilterra il 20 luglio 1805, prima dell’ultimo inseguimento della flotta francese, scrisse sul suo diario: “Sono sceso a terra per la prima volta dal 16 giugno del 1803; e che non metto piedi fuori dalla Victory son due anni meno 10 giorni“.
La tradizione popolare inventò la storia romantica di un amore. di sir Horatio per una bella maddalenina, Emma Liona, che egli andava a visitare in segreto; nulla di più ingenuamente falso. Il cuore di Nelson era più preso che mai dall’unica donna che abbia veramente amato, Emma Hamilton, il cui cognome da nubile era Lyon, italianizzato dagli isolani in Liona. Al di fuori di Emma, l’unico pensiero dominante del grande Ammiraglio era l’inseguimento e l’annientamento della flotta francese, da cui peraltro dipendeva la sua possibilità di tornare dalla donna amata e dalla figlia nata da poco dalla loro unione.
La Victory, ancorata a La Maddalena, era in quel momento il punto nodale dei destini del mondo; da quella nave dipendeva il futuro dell’astro napoleonico ed ha un curioso sapore di ironia che il destino attendesse Bonaparte ancora una volta tra quelle isole. Nelle lunghe ore che Nelson trascorreva nella sua cabina, si occupava del disbrigo degli affari concernenti al suo alto incarico nel Mediterraneo e della ampia corrispondenza relativa. Erano lettere destinate a Re, ministri, ammiragli; ma non trascurò mai il suo rapporto ormai di amicizia con il piccolo comandante de La Maddalena, da lui innalzato alla denominazione di Governatore. Almeno tre lettere autografe scrisse a Millelire, e dieci glie ne fece scrivere al reverendo Scott, che fungeva da suo segretario privato; pare anche che esistano altre missive nelsoniane ad abitanti de La Maddalena.
Nell’ottobre 1804 Nelson volle che gli isolani avessero un segno tangibile della gratitudine sua e della flotta per l’ospitalità così calda di cui avevano goduto. Perciò incaricò Alexander Scott di consegnare al parroco di La Maddalena un crocifisso e due candelabri d’argento per la chiesa dedicata alla Santa, accompagnando il dono con questa lettera:
“Victory 18 dicembre 1804 – Reverendo Signore, Tengo a chiedere che mi sia permesso donare alla chiesa di La Maddalena un pezzo di argento di chiesa piccolo segno della mia stima per i degni abitanti e del mio ricordo per il trattamento ospitale ricevuto sempre da loro dalla flotta di Sua Maestà sotto il mio comando. Possa Dio benedirci tutti Io rimango rev.do Signore, vostro assai obbediente servitore. F.to Nelson e Bronty“
Durante il periodo in cui fu mantenuta la base a La Maddalena, la Victory e il resto della flotta fecero parecchie crociere nel Mediterraneo. L’ultima volta che Nelson entrò in rada fu l’11 gennaio 1805, dopo aver lasciato davanti a Tolone le fregate Active e Sheaorse a vigilare sui movimenti della flotta francese comandata dall’Ammiragli Villeneuve. Gli equipaggi si riposavano ormai da una settimana, allorché, come scrisse il Prasca, “Sull’entrata delle Bocche di Bonifacio comparvero, coperte di vele nonostante l’infuriare del maestrale, le due fregate esploratrici con il segnale issato sui pennoni “la flotta nemica a preso il mare“.
Era il messaggio che tutti, Nelson e i suoi uomini isolani, aspettavano con ansia da oltre un anno; i francesi avevano lasciato Tolone il giorno prima diretti a sud. Erano le 3 del pomeriggio del 19 gennaio; dopo tre ore, come una perfetta macchina, la flotta inglese era pronta per la partenza: calava la sera ormai e dobbiamo credere che tutti gli occhi de La Maddalena e della costa di Gallura fossero fisse su quelle splendide 13 navi che, a vele spiegate, in linea di fila dietro la cento cannoni della Victory, puntavano verso il difficile Passo delle Bisce agitato dal maestrale. Memorabile esempio – conclude il Prasca – di perfetta organizzazione e marinaresca maestria”. Nelson se ne andava inseguendo un destino di gloria non più ripetuto, che lo portò in un incredibile inseguimento a percorrere tutto il Mediterraneo fino a Messina e a Malta e da quì a Gibilterra e ad attraversare l’atlantico fino alle Indie Occidentali e a ripercorrerlo in senso inverso fino a Cadice, senza mai sostare, senza un solo giorno di riposo per se e per l’equipaggio, per giungere al fatale appuntamento col nemico, il 21 ottobre 1805 a Capo Trafalgar, dopo sette mesi di mare. Fu la più grande battaglia navale del secolo e una vittoria sfolgorante per gli inglesi, che costò la vita del loro Comandante, di Horatio Nelson.