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Un te deum per Nelson

Articolo dello scrittore Antonio Ciotta.

In una brumosa giornata di primo autunno, fronteggiando con elegante e perfetto bordeggio un forte vento di scirocco e scandagliando i fondali ad ogni virata, entrava nell’estuario di La Maddalena la squadra navale di Horatio Nelson. Alle quattro pomeridiane del 31 ottobre 1803 la leggendaria Victory, con al seguito cinque vascelli e un brick gettava per la prima volta le ancore nella rada di Mezzoschifo; fu uno spettacolo di perfetta coordinazione marinaresca al quale gli isolani non avevano mai avuto modo di assistere e che per oltre un anno, fino al 19 gennaio 1805. doveva ripetersi più volte.

Scopo della missione di Nelson, dopo che la vittoria del Nilo aveva ridato potenza alla flotta navale inglese riaffermandone la supremazia nel Mediterraneo, era quello di trovare una base che oltre a offrire la possibilità di agevoli rifornimenti consentisse con la sua posizione di raggiungere in breve tempo le acque della rada di Tolone ove nei confronti della flotta francese dell’ammiraglio Villeneuve veniva attuato il blocco a distanza.

A quell’epoca era comandante del porto Agostino Millelire, mentre al comando di quelli che erano i resti della modesta flotta sabauda era stato posto l’ufficiale piemontese Giorgio Andrea Desgeneys. Il re di Sardegna, esiliato nell’isola, aveva dichiarato l’assoluta neutralità fra le due nazioni belligeranti e fin dal 19 giugno 1803 a tutti i comandanti militari era stata diramata la seguente circolare: “Dipendentemente dalla nuova guerra che viene di suscitarsi tra la repubblica francese e l’Inghilterra, conservando S.M. una perfetta neutralità tra le due potenze, ha ordinato che i legni di ambe le nazioni guerreggianti siano in egual modo ricevuti nei porti del regno, senza però che si permetta sbarchi di truppa né agli uni né agli altri”.

La neutralità del governo piemontese in esilio, ribadita poi rigidamente con pregone del 22 aprile 1804 non consentiva dunque, almeno ufficialmente, contatti diretti fra i militari inglesi e quelli sardi per cui, per ovvie ragioni diplomatiche e per non destare sospetti nei vicini francesi, Agostino Millelire divenne il diretto interlocutore dell’ammiraglio britannico che pertanto non ebbe mai contatti, né fisici, né epistolari, col comandante della flotta sarda Desgeneys.

L’arrivo della flotta inglese era stato preceduto ai primi di ottobre dalla visita di due vascelli e un brick al comando del contrammiraglio George Campbell, imbarcato sul Canopus, e ancor prima, il 13 novembre, dal vascello Gibraltair, comandato dal capitano Ryves che aveva avuto l’incarico di portare a termine lo scandagliamento delle acque dell’arcipelago, in precedenza iniziato dal vascello Agincourt, e di predisporre delle dettagliate carte nautiche. Quest’ultimo aveva certamente fatto intendere quali fossero i propositi di Nelson tanto che il Millelire, ansioso di conoscere il grande ammiraglio, con lettera del 16 settembre diretta al segretario di stato presso il viceré aveva preannunciato “…che nell’inverno vi è tutta l’apparenza che venghi in questa l’ammiraglio Nelson, onde dandosi il caso che ciò succedesse, e mettesse piede a terra desidererei gli ordini di V.E. se ama che si saluti e con quanti tiri”.

Agostino non ricevette alcuna disposizione in proposito per cui, all’arrivo di Nelson, che peraltro non scese mai a terra e non vi sarebbe mai sceso, i cannoni sardi tacquero. Tuonarono, invece, come vedremo, i cannoni inglesi. Difatti, il 4 novembre 1803, il Millelire scriveva a Cagliari:
Da quanto nei giorni scorsi ho dovuto scrivere al signor comandante della Gallura, l’E.V. spero sarà stata con prontezza informata dell’arrivo in questa d’una squadra inglese comandata dal signor ammiraglio Nelson, al di cui oggetto che unisco quì copia delle medesime per servire di lume bisognando. Dalle medesime rileverà le attenzioni dallo stesso signor ammiraglio usatemi, mentre il primo del corrente mese avendomi pregato di favorirlo a sua tavola, ho creduto di dover accettare le di lui grazie, e nell’ascendere al di lui bordo non solo mi ha ricevuto con due lunghe file di truppa, come fece il contrammiraglio Campbel, ma vi ha aggiunto di più nove spari di cannone”.

Perfetto comportameno diplomatico quello di Nelson che per beneficiare delle simpatite e dei favori dei “nativi”, che per oltre un anno dovevano servigli di base e di supporto per gli approvvigionamenti, non esita a rendere grandi onori militari al modesto comandante Millelire che nelle sue corrispondenze, poi, gratificherà sempre del pomposo titolo di “governatore”. E Salvatore Sanna, a cui si deve la pubblicazione delle inedite corrispondenze del periodo nelsoniano, così commenta il cordiale atteggiamento dell’ammiraglio: “Si tratta niente di più che della solita raffinata tecnica di accattivamento del ‘potere locale’ da parte del potente che viene da lontano e che ha bisogno della benevolenza degli indigeni, cui elargisce affabilità e onori che non costano niente a chi li eroga e lusingano tanto chi li riceve, disponendoli ad una ampia ed ossequiosa flessibilità di atteggiamento alle sue necessità”.

E per Agostino che non voleva certamente sfigurare, si pose subito il problema di ricambiare le cortesie, se non a Nelson, che come abbiamo detto non scese mai a terra, almeno agli ufficiali del suo stato maggiore che spesso approdavano a Cala Gavetta e frequentavano la sua casa. Si imponeva almeno un picchetto che rendesse gli onori, ma poichè il comandante delle truppe dell’isola era stato restio a prestare gli uomini necessari, con la stessa lettera del 4 novembre Millelire lamentava: “Sembra che quest’ufficiale che comanda il distaccamento dia poco volentieri una sentinella per tenere alla porta di mia casa durante massime la presenza di questa squadra, onde desidero gli ordini di V.E. per potermi meglio regolare, giacchè quando scendono gli ammiragli subalterni oltre alla sentinella fo’ mettere un compitante picchetto per presentarli le armi”.

E alla corte viceregia di Cagliari la richiesta di Agostino apparve accoglibile e doverosa, tanto che appena otto giorni dopo, il 12 novembre, il segretario di stato presso il viceré, ribadendo tuttavia che il regime di neutralità assunto dal regno sardo non consentiva disparità di trattamento, così scriveva: “…mi è pervenuto l’avviso dell’arrivo a codesto porto dell’ammiraglio lord Nelson e gradisco intanto il dettaglio che mi fa ella della stazione di esso colla squadra che seco porta, non meno che delle attenzioni che ha il medesimo a lei usate.
Alla presenza massimamente di vascelli da guerra di nazioni estere dovendo tutte le cose seguire con quel decoro ch’è compatibile alla ristrettezza del luogo, significherà in mio nome al comandante di codesto distaccamento essere mia intenzione che quando ella lo stima necessario accordi nella di lei casa un picchetto per rendere gli onori militari agli uffiziali esteri”.

La porta della casa Millelire, all’arrivo degli inglesi, fu dunque sempre presidiata dal picchetto d’onore, ma non risulta che gli stessi onori siano mai stati riservati ai francesi, che, peraltro, Agostino non ricevette mai al suo desco o, come diceva lui, alla sua “suppa”.
La prima sosta della squadra nave inglese durò poco più di una settimana: il 9 novembre Nelson salpava dalla rada di Mezzoschifo, da lui ribattezzata “Agincourt Sound”, lasciando il brick da carico per completare i rifornimenti. Prima di partire, unitamente ad una lettera diretta al viceré, indirizzava al Millelire, che non aveva mancato l’occsione per chiedere l’aiuto degli inglesi nella lotta contro i pirati, un messaggio di ringraziamento che Agostino, inorgoglito del trattamento ricevuto a bordo, comunicava a Cagliari con la notizia della partenza della squadra.
L’anzinominato ammiraglio – scrive Agostino – un momento prima di sciogliere la vela ha avuto la bontà di scrivermi una lettera di cui in sostanza gliene trasmetto copia con l’unita altra lettera diretta a V.E. e nella suddetta diretta a me v’ho trovato inviloppata una medaglia d’oro contenente il di lui ritratto e la vittoria riportata al Nilo”.
In allegato aggiungeva;
Traduzione ossia sugo di lettera scritta in idioma inglese dal duca di Bronte lord Nelson.
“Essendomi destinato alla partenza dalle acque della Maddalena, mi fo piacere d’assicurarlo che sono molto sensibile alle grandi attenzioni ed accoglimenti sinceri ricevuti in questo eccellente ancoraggio. Mi obbligherà inoltre di far passare l’acclusa a S.E. il signor viceré esprimente i buoni e miei sinceri sentimenti a tal riguardo. Mi spiace non essere a mio potere l’allontanar i barbareschi dalla crociera del suo comando alla Maddalena, e che possi augurarli pace e rifiorimento come spero agli abitanti che in onore suo hanno dimostrato tutta l’assistenza possibile. Tutti signore i sentimenti della mia gratitudine e rispetto, Nelson & Bronte.
P.S. – Le raccomando il bastimento di trasporto che rimane e quelli che verranno affinchè gioiscano della protezione della neutralità di questo porto”.

L’originale in inglese della lettera, tradotta molto approssimativamente da Agostino, dopo essere stato gelosamente custodito a La Maddalena dal generale Sery per incarico degli eredi di Agostino, è pervenuto a Genova nell’archivio privato dell’ammiraglio senatore Andrea Del Santo, nipote di Agostino, che ne consentì la pubblicazione al contrammiraglio Carlo Marchese il quale ebbe ad adombrare qualche riserva sulla data del 9 novembre ritenendo che espressioni tanto cordiali non potessero essere usate solo dopo un primo formale incontro tra Nelson e Millelire. Salvatore Sanna, però, ponendo in rilievo i precedenti contatti avuti da Agostino con gli inglesi, dai quali non v’è dubbio che erano pervenute a Nelson informazioni positive sulla sua personalità e disponibilità, è riuscito a fugare ogni dubbio ritrovando negli archivi di Cagliari copia della risposta del Millelire.

A tante cortesi espressioni si imponeva un adeguato riscontro e il giorno stesso, dopo aver stilato una lettera da recapitare all’ammiraglio al suo prossimo scalo o da consegnare al primo brick in transito diretto al blocco di Tolone, nel timore di trascendere in espressioni che potessero compromettere il regime di neutralità del regno sardo, ne inviava copia a Cagliari perchè fosse “approvata dal governo”.
I generosi sentimenti che l’E.V. compiacquesi di manifestarmi con di lei foglio – scrive Agostino lo stesso 9 novembre – ben vedo essersigli della di lei magnanimità la quale lo condusse a dimostrar gratitudine al niente che operai in paragone di quanto dovevasi alla di lei persona.
Se le infelici circostanze dei tempi, ma in specie della Sardegna, non fosse di total ostacolo alla buona volontà che nutro, forse avrei potuto rendermi in parte degno di quanto mi onora; permetta però l’E.V. che pieno di riconoscenza alle graziose di lei espressioni risponda col vivo desiderio di potermele appropriare.
Mi sono fatto premura nel trasmettere a S.E. il viceré il foglio acchiusomi a sua adressa, e partecipai pure ai concittadini di quest’isola gli auguri benefici che si degnò di farli di pace e fiorimento, egline sono oltremodo sensibili e tutto sperano con fondamento da chi gliel’augura.
Quanto poi al bastimento di trasporto quì ancorato e quelli che potranno venire mi giova accertare l’E.V. che per quanto mi permetteranno le forze saranno assistiti di tutto quanto la neutralità può permettere, dovere che mi è imposto dal mio governo.
Noti eranmi i prodigi del grande vincitore di Aboukir, ma quanto più esser mi devono presenti in oggi che vedomi onorato dall’E.V. del memorabile impronto d’un fatto che passi ad eterna memoria de’ posteri. Non isdegni dunque l’E.V. d’accettare e gradire i miei più vivi ringraziamenti a tanto onore che mi fece, perpetua sarà la mia riconoscenza non meno che il profondo rispetto, alta stima e venerazione, sentimento di cui mi glorio dell’E.V. umilissimo Agostino Millelire”.

Da Cagliari, il 19 novembre, il segretario di stato presso il viceré, preso atto della partenza di Nelson, comunicava che S.A.R. “…si è degnata di gradire gli esatti dettagli che ha recato della partenza della squadra comandata dal signor ammiraglio Nelson, e che si abbia ella acquistato degli speciali riguardi dallo stesso specialmente il rigalo di una medaglia che potrà ella conservare come un contrassegno delle attenzioni che la ha usato, e della particolare privata amicizia che ella ha contratto col signor ammiraglio ne’ pochi giorni che stazionò colla sua squadra in codesto porto, non ha intanto alcuna difficoltà che spedisca a lui la risposta di cui era annessa copia al suddetto foglio”.

Elette le acque di La Maddalena come sua base, Nelson vi farà ogni volta ritorno con le sue navi per rifornirsi e concedere ai suoi uomini una pausa di riposo dopo estenuanti settimane di pattugliamento al blocco di Tolone. Dalle corrispondenze dell’epoca apprendiamo che il 24 dicembre 1803 “…sono quì ancorati sette vascelli e quattro fregate stanno entrando”; nella sosta di febbraio “…trovasi all’ancoraggio un numero di 19 legni”; il 25 marzo era “…ancorata al solito sito la squadra dell’ammiraglio Nelson composta di otto vascelli e un brick”; il 13 maggio la squadra all’ancora era di “…16 navi delle quali due sono ancorate al Liscia, 7 alla rada di Mezzo Schiffo, ed il resto verso Arzachena”.

Ogni volta Agostino comunicava orgogliosamente di essere stato invitato alla “suppa” dell’ammiraglio e alla sua abitazione era un via vai di ufficiali sempre accolti dal picchetto che rendeva gli onori.

In quegli anni, con la contemporanea presenza degli inglesi e della modesta flotta sabauda, La Maddalena, grazie alla sua posizione frontaliera, assunse il ruolo di osservatorio privilegiato delle “intelligences” di tutti i paesi in guerra. Le notizie sugli avvenimenti politici europei pervenivano nell’isola sia attraverso canali ufficiali, sia attraverso sottili reti spionistiche quasi in tempo reale. Ed era da La Maddalena che esse venivano poi trasmesse alla corte viceregia di Cagliari. L’isola costituiva inoltre il primo scalo del servizio postale con Livorno e, ovviamente, tutte le notizie giungevano prima a La Maddalena che a Cagliari. Una lettera del segretario di stato presso il viceré diretta ad Agostino Millelire il 28 gennaio 1804, ci rivela come i giornali del continente pervenissero nella capitale sarda attraverso lo scalo isolano.

Scriveva difatti il viceré: “Sono a pregarla di incaricare i padroni dei bastimenti che da codesto porto intraprendono la corsa per Livorno di provvedersi dei fogli pubblici più recenti che occorreranno in quella città, che si compiaccia indi rilevarli pagandone loro l’importare, facendomeli poi pervenire coll’ordinario del regno ed avvisandomi di quanto dovrò rimborsarla. Privi in questa città di più dirette comunicazioni mi è necessario di appigliarmi a queste misure ond’essere al fatto degli avvenimenti dell’estero, e la prego perciò di volersene dare la maggior premura essendo assai importante pei rapporti politici del regno che sia il governo regolarmente informato delle occorrenti novità”.

Di questa esigenza Agostino aveva fatto partecipi anche i comandanti inglesi e quando se ne presentava l’occasione non mancava di inviare a Cagliari i giornali che gli ufficiali di Nelson portavano dalle loro missioni a Napoli, Malta e Gibilterra o dalla lontana Inghilterra. Ed era questa una buona occasione per l’ammiraglio inglese per ancor più ingraziarsi i favori del “governatore” presso il quale ad ogni scalo inviava i suoi ufficiali con le più disparate richieste. Ma a far da tramite con Nelson, più che gli ufficiali dello stato maggiore, fu il reverendo Alexarder Scott, cappellano della Victory, ma di fatto segretario particolare dell’ammiraglio, perfettamente padrone, come scrisse lo stesso Nelson in una lettera diretta all’ammiragliato, “…di tutte le lingue europee parlate nel Mediterraneo”. Questi divenne assiduo ospite di casa Millelire e con il buon Agostino seppe introdurre gli inglesi nell’ambiente locale appianando i malintesi e intervenendo con energia per conciliare i non pochi incidenti, talora gravi, che inevitabilmente si verificavano non solo con i militari inglesi, ma soprattutto con le navi corsare delle quali, il barone Desgeneys, sempre vigile e attento, in una sua lettera del 25 marzo 1804, in occasione di un ennesimo incidente, ebbe a scrivere al segretario di stato in Cagliari: “Voi non dovete essere sorpreso di questi disordini che non servono che a convincervi sempre più che i corsari di qualunque nazionalità sono dei briganti che non hanno altro scopo che la rapina, altra legge che l’interesse”.

E fu certamente il reverendo Scott che, per sopire i malumori e ancor più accattivarsi le simpatie della popolazione, suggerì all’ammiraglio di lasciare un segno tangibile della propria presenza facendo dono alla chiesa di Santa Maria Maddalena di un crocefisso e due candelieri d’argento che, nell’ottobre del 1804, provvide egli stesso a consegnare il dono alla parrocchia con una lettera autografa di Nelson ancora oggi conservata, e solo recentemente esposta, nella chiesa di Santa Maria Maddalena.
Reverendo signore – scriveva l’ammiraglio al parroco – tengo a chiedere che mi sia permesso di donare alla Chiesa di Maddalena un pezzo d’argento di chiesa come piccolo segno della mia stima per i degni abitanti e del mio ricordo per il trattamento ospitale ricevuto sempre da loro dalla flotta di Sua Maestà sotto il mio comando. Possa Dio benedirci tutti. Io rimango, rev.do signore, vostro assai obbediente servitore Nelson & Bronte”.

Ma la tradizione popolare attribuì la munificenza di Nelson non tanto alle sue simpatie verso la popolazione, quanto alla particolare “simpatia” verso una bella maddalenina della quale si sarebbe invaghito e che gli avrebbe concesso i suoi favori. I molti napoletani che allora frequentavano l’arcipelago, in particolare gli equipaggi delle coralline, riportando da Napoli distorte notizie sugli amori dell’ammiraglio con lady Emma Hamilton (Lyon da nubile), moglie dell’ambasciatore d’Inghilterra alla corte di Napoli, la cui perfidia aveva istigato Nelson ad agire contro i patrioti e causato l’impiccagione dell’ammiraglio Caracciolo, avevano ingenerato il sospetto che anche a La Maddalena Nelson avesse un’amante. E quando qualcuno, fra le tante lettere che l’ammiraglio inglese inoltrava ad ogni suo scalo per i normali canali della posta sarda, vide spesso missive dirette a Emma Lyon, che Nelson mai aveva dimenticato e che sperava di raggiungere a guerra finita per rivedere la figlia che da lei aveva avuto, quest’amante ebbe anche un nome: “Emma Liona”. E come spesso avviene, quando le dicerie circolano a lungo incontestate finiscono per assumere credibilità e di lì a poco diventano storia come sono diventate storia le frasi famose di personaggi che mai le pronunciarono o personaggi stessi mai esistiti.

A cogliere questa “vox populi” e a concorrere a farla divenir storia, riportandola nel Dizionario del Casalis, fu Vittorio Angius, che, sia pure con qualche velata riserva, parlando della bellezza ammaliatrice delle donne maddalenine, così la propone: “Le donne quanto son belle, tanto sono generalmente sagge e costumate, né può generar dubbio la fama poco onorata dei quell’Emma Liona nobile per i suoi amori col sunnominato ammiraglio, che dal favor di costui sollevavasi a gareggiare con le femmine di dignità sovrana. Essa innamorava il vincitor d’Aboukir, quando gli apparve sul lido della Maddalena bellissima su tutte le belle, e poi con molte arti e blandizie lo avvinse alla sua servitù, che potea fargli trapassare il giusto e l’onesto, se son vere le molte dicerie de’ napoletani, ripetute senza sospetto da qualche storico, Nelson per far piacere alla sua bella fece varii doni alla chiesa parrocchiale della Maddalena, o meglio dire, adempiva ai voti, che l’amante facea per la sua salvezza ne’ pericoli”.

Il dono di Nelson, anche se non servì a sciogliere i voti della sua bella, inorgoglì (ed ancor oggi inorgoglisce) i maddalenini. Il buon parroco Biancareddu, grato all’ammiraglio, accolse il crocefisso ed i candelabri con una messa solenne durante la quale, come nelle grandi ricorrenze liturgiche o nei grandi eventi nazionali, venne intonato il “Te Deum”. La cosa non piacque né al vescovo di Tempio né alla corte cagliaritana; il ringraziamento, anche per rispetto alla neutralità, sembrò eccessivo e Nelson, poi, era pur sempre un anglicano e il fatto che un sacerdote cattolico ricevesse un dono da un prete anglicano accogliendolo con una messa solenne, pur se dimostrò un’apertura per vedere la quale bisognerà arrivare ai tempi di Papa Giovanni, non era certo a quell’epoca cosa da passare inosservata. Il Biancareddu fu redarguito da vescovo e il Millelire, stavolta, ricevette una tirata d’orecchi da parte del segretario di stato presso il viceré che il 3 novembre 1804 gli scriveva: “Gradisco a V.S. il riscontro della stazione e partenza della flotta inglese da codeste acque, e credo sufficiente il contrassegno di ricoscenza che si è dimostrato al dono dell’ammiraglio lord Nelson a codesta parrocchia colla celebrazione di una messa solenne, senzacchè perciò fosse anche d’uopo di cantare il Te Deum”.

I doni di Nelson, comunque, non comparvero più in chiesa e anche in tempi recenti sono stati raramente ostentati. Quando qualche decennio dopo, quando il Valery durante il suo “Viaggio in Corsica e in Sardegna” volle vederli, gli furono mostrati dal fabbriciere della chiesa che li teneva avvolti in un panno nel retrobottega del suo negozio di stoffe. Si dovrà arrivare al 1999 per vederli finalmente, ad iniziativa dei laicissimi Lion’s, definitivamente collocati in una teca all’interno della parrocchia.

L’ultima sosta di Nelson avvenne del gennaio del 1805. Mentre la squadra, sotto l’imperversare di un fortunale di maestrale, era rifugiata in rada quasi al completo, apparvero da ponente le fregate Active e Seahorse con issato sui pennoni il fatidico segnale “Il nemico ha preso il mare”. Sulle tolde delle navi fu subito un brulichio di uomini alle sartie e agli argani, un concitato susseguirsi di ordini, uno sferragliare di catene delle ancore, un dispiegarsi di vele; tre ore dopo, con in testa la Victory, tredici navi salpavano in linea di fila dirigendo, spinte dal maestrale, verso l’insidioso Passo delle Bisce.
Mirabile esempio – scriverà il Prasca – di perfetta organizzazione e marinaresca maestria”.
Erano le sei del pomeriggio del 19 gennaio; Nelson lasciava definitivamente le acque di La Maddalena, ove il Grande Corso aveva subito nel 1793 la sua prima sconfitta, per andare a concludere la sua esistenza a Trafalgar in una memorabile battaglia che doveva segnare il declino delle fortune napoleoniche e affermare per oltre un secolo e mezzo il predominio inglese sui mari. Il maggior rimpianto di Napoleone fu certamente quello di non aver mai avuto un grande ammiraglio e di non aver comunque offerto agli ammiragli possibilità di iniziativa condizionandoli ai suoi imperativi dati sulla riva della Senna. Forse, come scrive il comandante Ennio Giunchi, parlando di quella prima battaglia di Napoleone e della sua prima sconfitta in queste isolette, “La piccola ombra di Domenico Millelire si allargherà un giorno a coprire i cieli di Aboukir e di Trafalgar, altri uomini venuti dal mare, i Nelson, i Collingwood, i Jervis, saranno i veri vincitori di Napoleone che nella incapacità di diventare signore del mare troverà i limiti invarcabili del suo sogno di dominio. Alla radice di questo ‘complesso del mare’ tanto funesto a Napoleone non fu estranea la frustrazione subita dall’impetuoso amor proprio del giovane luogotenente nelle acque di La Maddalena”.

Antonio Ciotta