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I canistreddi

Articolo della ricercatrice e  scrittrice maddalenina Giovanna Sotgiu.

A La Maddalena questi dolci erano usati, fin dalla fine del Settecento, durante le feste e soprattutto per quella di Santa Maria Maddalena: dopo il fuoco notturno nella piazza della chiesa, sostituito in tempi più recenti, dai fuochi artificiali, si assisteva alla consuetudine dell’offerta, da parte del parroco, di rosolio e canistreddi: povere cose adatte ad una chiesa con poche e saltuarie entrate, fra le quali spiccava, non sempre per consistenza, l’offerta di chi, con una sorta di gara, si aggiudicava l’onore di portare in processione il simulacro della santa.

Nel tempo l’usanza è scomparsa portandosi appresso anche la ricetta che, invece è rimasta intatta a Santa Teresa Gallura.

Gli ingredienti e le dosi: 1 chilo di farina, 2 uova, 150 grammi di strutto di maiale, 200 grammi di zucchero, semi di anice, lievito madre (a matrica). La sera si amalgamava un pezzo della matrica, che in ogni casa veniva conservata per fare il pane, con un po’ di farina: il composto ottenuto doveva riposare tutta la notte. Il mattino si univano tutti gli ingredienti lavorandoli fino ad avere un impasto consistente ed elastico. Quindi si staccavano dei pezzi che, arrotolati con le mani a forma di un sottile cilindro, venivano sagomati con la classica forma del numero otto. Le canestre dovevano lievitare ancora, ben disposte sul letto, sotto una coperta di lana.

Per provare il giusto punto di lievitazione, bisognava staccarne un pezzetto e immergerlo nell’acqua bollente: se questo affondava significava che la pasta non era ancora pronta, se invece si muoveva tendendo a risalire alla superficie, era segno che le canestre erano ben lievitate.

Tenendole, per praticità, su una larga schiumarola, si immettevano per pochi secondi in acqua bollente per dare il lucido alla crostina esterna. A questo punto potevano essere infornate a temperatura meno alta rispetto a quella che serviva per cuocere il pane e per minor tempo.

L’intenso sapore dei semi d’anice, la friabilità e la delicata dolcezza rendono questo prodotto adatto per la colazione ma anche come spuntino pomeridiano.

Una variante molto simile è presente nella vicina Corsica e si chiamano “i finuchjetti”.

1 kg di farina
½ vetro di anice in grani
50 g di lievito
350 g di acqua

Preparazione

Avrete fatto bollire l’acqua in quantità abbastanza grande per immergere più finucchietti alla volta. Attendere che si risalgono in superficie per rimuovere e depositare su uno straccio prima di cuocere in forno molto caldo una decina di minuti.

“Cucina isolana. Un arcipelago di sapori mediterranei” a cura di Giovanna Sotgiu e Antonio Frau – Paolo Sorba Editore – La Maddalena