ArcipelagoCaprera

Isola di Caprera

Dai tesori nascosti tra le profondità dei mari ai colori limpidi e cristallini delle acque, dalle spettacolari scogliere di granito alla natura selvaggia e incontaminata del magnifico paesaggio di Caprera. Folco Quilici

Quest’uomo che corre, così come appare il profilo dell’isola ad un primo sguardo sulla carta nautica, racchiude spiagge di sabbia candida, piccole insenature d’acqua cristallina, rifugi naturali offerti durante la navigazione in caso di cattivo tempo.

A prima vista si è subito colpiti dall’imponenza dei suoi graniti e dal loro disporsi da nord a sud per la lunghezza di oltre quattro chilometri culminando con la cima di Tejalone alta 212 metri, che si erge imponente sul panorama.

Il granito a Caprera è presente ovunque, affiora nei boschi, nella macchia, forma splendide scogliere con cromatismi diversi, ospitando una vegetazione varia che si insinua in ogni piega e dona al paesaggio un aspetto suggestivo e selvaggio.

Non tutta l’isola è di granito: nel suo versante orientale la penisola di Punta Rossa e le isolette della Pecora e dei Monaci presentano rocce più antiche. Sono gneiss e scisti, formazioni mineralogiche antichissime, che spesso includono i neri e lucenti cristalli di tormalina. Altrove, lungo la costa, risaltano tra il granito i filoni basici di spessartitedalla colorazione verde scura, quasi nerastra. Ovunque le rocce esprimono una molteplicità di forme, dovute all’azione secolare dei processi di idrolisi che a volte hanno scavato nicchie ospitanti piccole piante e uccelli, altre hanno scolpito sculture alle quali sono stati attribuiti nomi di santi e di eroi o di mostri fantastici. Nel periodo delle piogge e fino a primavera inoltrata, ogni spiaggettadi Caprera è solcata da un ruscello invernale, invisibile nell’estate. A Punta Galera, l’estremità posta a Nord-ovest dell’Isola si trovano bellissime cale riparate ai venti provenienti da est: Cala Napoletana e Cala Caprarese, strisce di sabbia bianca racchiuse da massi granitici.

A Stagnali c’è un piccolo borgo abitato da alcune famiglie, un porticciolo e il Centro di Educazione Ambientale del Parco Nazionale.

A sud si apre invece Porto Palma che ospita la famosa scuola di vela del Centro Velico di Caprera. Nella parte est di Caprera ci sono le spiagge più conosciute, raggiungibili facilmente via terra, come Cala Andreani, conosciuta come Il Relitto e Cala Portese, ribattezzata I Due Mari. Cala Brigantina offre quasi sempre piccoli angoli solitari essendo raggiungibile principalmente via mare, o a piedi lungo un sentiero scosceso. Più a nord, si apre Cala Coticcio, molto frequentata nei mesi estivi.

Origine del nome

Caprera / Capraria / Caprara / Capraia / Cravaria / Craparia / Crapara (isola), fa parte dell’arcipelago di La Maddalena, e all’isola madre è ormai collegata, dal 1891, per il tramite di una diga-ponte di circa 600 m.
Abitata in pianta stabile fin dal neolitico, quest’isola è attualmente al centro di un censimento delle strutture abitative, di circoli e muri megalitici, di tombe, in collaborazione con archeologi dell’Università di Pisa.
Il nesonimo Capraria, quale che fosse il toponimo classico precedente, era certamente attestato nell’antichità, poiché esso, come osservato con cura da Emidio De Felice, “è documentato per la prima volta… nella Cosmographia dell’Anonimo Ravennate, V 25: fonte tarda, già alto-medioevale, ma assumibile come fonte classica in quanto fondata su un Itinerarium romano dell’età imperiale”.
Le forme medioevali della cartografia nautica e dei portolani, riflettono, probabilmente perché copiati acriticamente dalla forma latina, Cravaira nel Compasso o Crapara nella Carta Pisana e finalmente Capraia nell’Atlante Tammar-Luxoro.
Va detto subito che tutti i toponimi simili a Caprera, come pure Capraia, Caprara, Capri, provengono dalla stessa radice.
I Latini, ripetendo il termine Capreae, ritenevano che fosse di origine greca e quindi gli attribuivano il significato di cinghiali. Si dubita, però, che fossero effettivamente i Greci, a chiamare in tal modo le isole che portano questi nomi. E tanto meno, comunque, i latini, almeno inizialmente, potevano pensare alle capre… In seguito, fino ai giorni nostri, distanti ormai anni luce dal significato reale del termine, si procedette a tentoni, pensando alle capre selvatiche, alla conformazione del terreno (simile ad una capra!) e via dicendo.
“In quest’isola Cabrera, siccome in quella di Santa Maria, deve credersi che anticamente consistesse la popolazione di quest’Isole delle Bocche di Bonifacio e che le altre servissero per la pastura, e per il lavoro della terra necessario per la sussistenza dei suddetti abitanti, poiché in quest’isola vi si osservano rovin’a fondamenti di molti edifici; vi si osservano cisterna, chieja, chiudenda di terreni, ed io conosco uomini nati, ed allievat’in quest’Isola, che mi assicurano dalla tradizione de loro Avi, che vi er’anticamente molta vigna e molti gelsi. (…) L’anno prossimo precedente, quand’io appunto mi occupava à scrivacciare sopra quest’Isola, gli attuali abitanti della Cabrera, in varie volte dissotterrarono fralle rovine de suaccennati antichi edifici vari depositi di monete di argento, delle quali io, e molte persone abbiamo qui vedute. Queste monete contenevano impresse da una parte l’aquila coronata dello Stemma Doria, e dall’altra la Vergine Madre di Gesù Cristo, che la Repubblica di Genova usa ancor in oggi in alcune sue monete, le quali monete furono da suddetti Cabrerensi mandat’in Livorno. Anzi facendo tali ricerche vi fu pure fra quegli abitanti della Cabrera, chi dissotterrò un vaso di terra, in cui un picciolo simulacro di rame armato di carcassa con freccia a tracollo, qual’io lo giudicai uno di quegl’Idoletti, che gli antichi pagani tenevano nelle loro case, e chiamavano Dii penates.
Questa statuetta di rame è stata qui veduta da molte persone in mano di Mr. Ducas Direttore di questa Posta, che ne fece la compra dallo stesso che la dissotterrò nella Cabrera”. Questo passo, tratto da Il contrasto corso-sardo ovvero Dialoghi Famigliari fra Don Miones Sardo e Monsieur de Stian Corso intorno alle Bocche di Bonifacio occupate dal Governo Sardo, dalli quali risulta ad evidenza di fatto, esser elleno pleno Jure di Spettanza della Francia, è del 1779, scritto a mano in Bonifacio e conservato presso l’Archivio di Stato di Parigi, si conclude con l’affermazione che l’Isola era abitata sicuramente già prima della nascita di Cristo e “non solamente per la testimonianza che ne fa il suddetto Idoletto, ma ancora perché quasi tutte le reliquie degli edifici, che ivi si osservano, sono tutte a puzzolana, non a calcina, all’uso che sempre costuma à Roma e che tuttavia conserva”. Anche per questo scritto, (testimonianza di Chiesa, di viti e di gelsi, tipici dei conventi), per vestigia da me rinvenute ancora oggi, oltre che per quello che raccontano il Fara e altri, per il nesomino relitto dell’isolotto del Porco, quasi appendice di Caprera, ritengo a buon diritto che Sant’Angelo di Porcaria si trovasse a Caprera e non a La Maddalena.
Capri, Capraia, Caprara, Caprera, Capre (Egadi), Caprarese (Cala a nord-ovest di Caprera), Capra (Cala di Palau, nei pressi di Capo d’Orso), hanno tutte in comune una serie impressionante di grotte, più o meno famose, che in accadico si chiamavano qabru (cavità, tomba), voce che si ritiene abbia subito la contaminazione del termine antico assiro e antico babilonese kapru, col significato di villaggio; da qui, l’aramaico e l’ebraico kpr, l’hindi qabr (tomba, fossa), l’arabo qabr (tomba), il turco kabir (tomba), l’urdu qabr (tomba), il persiano qabr (tomba), ma soprattutto l’etrusco capra (terreno di sepoltura); cfr. sanscrito kupa (cavità).
Se ne deduce che tutte queste isole, al passaggio dei primi naviganti che solcavano il Mediterraneo, risultavano probabilmente già abitate, con grotte occupate, struttura di villaggio, con alcuni luoghi pubblici, tombe e cimiteri veri e propri. Massimo Pittau, che ritroveremo spesso nel corso di questo lavoro, è un po’ come l’ultimo giapponese nella giungla a guerra finita. “È del tutto evidente e certo che Caprera significa «isola delle capre selvatiche», proprio come l’isola dell’arcipelago toscano Capraia. L’esistenza di capre in queste isole è probabilmente dovuta ai naviganti antichi, i quali ve le introducevano per avere negli sbarchi successivi sia latte sia la carne delle bestie”.
Tratto dal libro “MGDL e dintorni” di Gian Carlo Tusceri