Almanacco isolanoCo.Ri.S.MaDomenico MillelireEroi maddaleniniRubriche

La difesa della nuova patria

La storiografia strumentalistica posta in essere a proposito dell’attacco gallo-corso in Sardegna e del tentativo dei bonifacini di riprendere le Isole Intermedie, ha quasi sempre trascurato la fase che precedette la fallita impresa dei francesi, le precise avvisaglie che si erano avute sulle loro intenzioni, i preparativi di difesa da tempo predisposti per respingere l’attacco, la partecipazione dei galluresi ed in particolare i timori sull’affidabilità dei maddalenini nella lotta contro i loro parenti corsi. La produzione del passato, nata sempre in un clima di politica antifrancese, ha di solito fatto apparire quegli avvenimenti come uno spontaneo accorrere della popolazione maddalenina e gallurese in difesa dell’isola a fronte di un proditorio e non annunciato attacco ed ha soprattutto esaltato la decisa posizione di fedeltà alla corona offerta dagli abitatori corsi stanziati nell’arcipelago e sottomessi ai Savoia da appena 25 anni. (1)

Vedremo invece, attraverso la ricostruzione che atti e documenti dell’epoca ci consentono di fare, che le cose andarono ben diversamente e come i pastori corsi che popolavano le isole della Maddalena, posti di fronte all’alternativa di accettare definitivamente la sovranità del re di Sardegna o di schierarsi a favore della loro vecchia patria, furono in pratica “invogliati” a propendere per la prima soluzione ed a combattere per quella che dovrà poi divenire la loro definitiva nazione.

Le prime informazioni sullo stato di guerra fra il re di Sardegna e la Francia della Convenzione nazionale, che aveva appena proclamato la repubblica, giunsero certamente a La Maddalena, prima che a Cagliari, il 7 ottobre 1792 per il tramite di un emissario inviato dal console sardo a Livorno. (2) Ne dava comunicazione il comandante Riccio (3) in una lettera al viceré con la quale gli annunciava:

In quest’oggi, circa le ore quattro dopo mezzogiorno, è giunto in questa della Maddalena sopra una lancia il capitano della speronara, il quale ha detto di essere stato spedito da Livorno dal console Baretti espressamente per portare una lettera diretta all’E.V. di molta importanza, e nel medesimo momento l’ho fatto trasportare in Sardegna acciò potesse continuare il suo viaggio. Supponendomi che sia per qualche novità di guerra, come si è fatto intendere detto capitano, ho spedito un espresso in Porto Pollo al cavaliere Costantino con informarlo di detto espresso partito da Livorno.” (4)

Il Riccio ritenne opportuno, per il momento, di tenere celata la cosa per non allarmare la popolazione, ma appena cinque giorni dopo, essendosi la notizia diffusa fra gli isolani, con lettera del 12 ottobre 1792, diretta al viceré, il quale aveva fatto intendere di voler trasferire le mezze galere stanziate a La Maddalena per la difesa del paventato attacco su Cagliari, aveva così manifestato le sue perplessità.

Siccome non si può più tener celata la dichiarazione di guerra tra il nostro sovrano e la Francia, devo far nuovamente presente all’E.V. nelle circostanze che in questa ci troviamo vi è una forte vociferazione che li nazionali corsi debbano fare una spedizione per venirsi impadronire di quest’isola. E se le mezze galere si allontanassero sarebbe molto facile, perchè in queste circostanze poco vi è da fidarsi delli isolani, essendo tutti apparentati in Corsica e della medesima nazione.

Se fosse per andare contro i barbareschi potrei compromettermi di loro in tutte le occasioni, ma contro i loro parenti e patriotti non lo fanno, e io credo che sarebbero in quell’occasione i primi nostri nemici“. (5)

Lo stesso giorno il Riccio dava analoga notizia al governatore di Sassari lamentandosi dell’esigua forza a sua disposizione, dell’annunciata partenza delle mezze galere per Cagliari e dell’inaffidabilità degl’isolani.

Siccome si sono avute notizie che la guerra sia dichiarata tra il nostro sovrano e la Francia, in quest’isola si vocifera fortemente che li corsi faranno qualche spedizione per venire impadronirsi di quest’isola, io mi trovo solo con un distaccamento di diecieotto individui, compreso l’ufficiale ed ammalati, dei quali non ve ne sono dieci boni per un combatto, e delli isolani vi è poco a fidarsi per che quasi tutti della medesima nazione ed apparentati con li medesimi, che credo in un occasione di qualche spedizione di Corsica che saranno i nostri primi nemici. Se le mezze galere si trattenessero in questo posto non vi sarebbe a temere, ma si vocifera che debbano far vela verso Cagliari o S.Pietro, in quel caso vi sarebbe a temere“. (6)

Si pose mano con alacrità al completamento della batteria Balbiano, a suo tempo voluta dal viceré Thaon Revel per la difesa contro i barbareschi e rimasta successivamente incompiuta; agli isolani, chiamati a concorrere ai lavori, si fece indendere che era imminente un attacco dei pirati musulmani. Ed il pretesto era ben noto alla corte di Torino tanto che, il 31 ottobre 1792, il segretario di stato Di Cravanzana confermava al viceré Balbiano essere priva di ogni fondamento, “….la notizia costì datasi, giacché da più riscontri già prima debilitata, dei supposti preparativi de’ barbareschi per portarsi con ragguardevole armamento verso l’isola Maddalena“.

Con tutto ciò – proseguiva il Di Cravanzana – ha la M.S. gradito sentire che mediante l’opera dell’equipaggio de’ due regi legni di ritorno a quell’isola, ed il lodevole concorso degli isolani stessi, siasi portato con modico dispendio al total termine della nuova batteria colà erettasi per contenere qualunque attentato sbarco degli inimici“. (7)

Gli abitanti delle isole tuttavia, sempre attenti a trarre vantaggio da ogni situazione e a proporre l’immediata contropartita ad ogni loro prestazione, ne approfittarono per chiedere di essere esentati dal pagamento dell’imposta dovuta per l’acquisto della carne. La richiesta, inoltrata a Cagliari dal comandante Riccio, data la delicatezza del momento venne accolta dal viceré con la seguente motivazione:

…per animare la fedeltà e coraggio di codesti isolani potrà significare al sindaco e al bailo che mediante una di lei licenza, nel modo proposto nel di lei foglio del 28 settembre, permetto di provvedersi nel regno di bestiame, purchè si trasporti costà e si tenga registro della licenza, per la quale dispenso la popolazione dal pagamento di 5 reali, e ciò sino a nuova disposizione“. (8)

Il 25 ottobre successivo, il Riccio, che aveva suggerito quel provvedimento col preciso intento di accattivarsi gli isolani, così manifestava il suo gradimento:

Non trovo abbastanza espressioni per ringraziare l’E.V. della grazia concessami nel levare li cinque reali e mezzo delle licenze del trasporto del bestiame dalla Sardegna in quest’isola, e non mancherò di tenere il registro di tutte le licenze che spedirò, e lo farò in maniera che veruno potrà farne altro uso, come di quelle che spediva lo scrivano che potevano fare il contrabbando senza pericolo.

Ieri ho comunicato al bailo e al consiglio comunitativo della grazia che l’E.V. li ha fatta di escluderli dal pagamento delli cinque reali e mezzo per le licenze. Detto consiglio, tanto a nome suo quanto di tutta la popolazione m’incaricano di ringraziare l’E.V. e promettono tutti a viva voce e di buon coraggio essere sempre fedeli al nostro sovrano in ogni occorrenza, ed io non mancherò di usare tutta la prudenza verso di loro“. (9)

Ma le preoccupazioni del comandante Riccio aumentarono quando il padrone mercantile Pasquale Martini, proveniente dalla Corsica, annunciò con dovizia di particolari qual’era la consistenza delle forze francesi e quali fossero le loro intenzioni:

“…..nel golfo di Santa Manza -scriveva al viceré in una lettera del 1° novembre- devono giungere giorno per giorno dieci vascelli di linea francesi e venti di trasporto che portano cinquemila francesi per unirsi con diecimila corsi, ed in Bonifacio li hanno già preparato li quartieri, ed al più breve tempo devono portarsi nei littorali di Gallura e fare il disbarco in Liscia e in Porto Pollo, dei quali ve ne sono destinati tre mila per venire a prendere quest’isola, due fregate con qualche feluccone per prendere le nostre regie mezze galere, e inviatone dire che se noi faremo solamente un colpo di fucile per la nostra diffesa che non ne sarà più dato verun quartiere, e che saremo lanternati, e che conducono seco loro il carnefice espressamente.

Io mi trovo a non aver più di dieci o dodici uomini per combattere, degli isolani in quest’occasione non ne posso far verun capitale per essere tutti apparentati con li corsi, avendomi fatto intendere qualcheduno dei capi che se fosse contro i Turchi combatterebbero dieci contro uno, ma con questi non saprebbe cosa dirmi“. (10)

Le notizie erano certamente esagerate, ma ad ogni buon conto il cauto Riccio, approfittando del fatto che la moglie si trovava in quel momento in villeggiatutra a Tempio, aveva preferito che la stessa vi rimanesse per non farle correre pericoli; e poichè la cosa era stata notata e certamente riferita alla corte viceregia, ad evitare che da questo suo comportamento si ingenerassero ulteriori apprensioni, il giorno stesso, con una seconda lettera diretta al viceré si giustificava:

Non mancherò di adempiere a tutti i miei doveri con tutta onoratezza e animare gli isolani come ho sempre fatto alla loro fedeltà e diffesa, senza avere dato veruna allarma, perchè li isolani sanno sempre li notizie avanti di noi per il canale dei suoi parenti di Bonifacio.

L’essere andata mia moglie in Tempio non è stato per temenza ma per la sua solita viligiatura di ogni anno, ma ora posto che si ritrova la lascio sino terminati tutti li sussori“. (11)

Il Riccio, ancor prima di avvertire il viceré, si era anche premurato, sin dal giorno precedente, di partecipare al governatore di Sassari la notizia portata dal Martini, successivamente confermata da Pietro Cogliolo che era stato allertato da un suo parente in Bonifacio:

…devo dare la confidenziale notizia che nell’istante vengo di ricevere da Bonifacio, ed è a momenti si attendono nel golfo di Santa Manza in Corsica dieci navi di linea francesi e venti bastimenti di trasporto per prender nella Corsica dieci mila corsi per unirli ad altri cinque mila francesi per venire a fare il disbarco in Lixia e Porto Pollo, e che faranno una spedizione in quest’isola, avvertendosi che veruno ardisca di fare diffesa perchè ciò sarebbe il motivo che abbrucierebbero tutte le case della popolazione e che farebbero un macello della gente, e che la prima cosa è di portarsi appresso il carnefice“. (12)

Il governatore Merli, sebbene per nulla convinto sia dell’annunciata azione dei francesi, e sia delle notizie sulla consistenza del corpo di spedizione, dispose comunque i preparativi per la difesa e il 2 novembre, nel rimettere a Cagliari la lettera del Riccio con un corriere espresso, comunicava al viceré:

Essendomi questa mane pervenuta la quì unita lettera del comandante delle isole della Maddalena, Riccio, ho creduto conveniente radunare il solito congresso per combinare li provvedimenti da darsi. Ed essendosi determinato di far mettere indilatamente sulle armi tutta la cavalleria della Gallura, si è accettata l’offerta fatta dal commissario generale in codesto capo, cavalier Manca di Tiesi, di recarsi ad un tal fine in Tempio. Siccome partirà domani per recarvisi, sendosi altresì ordinato al regidore don Gavino Valentino di passarvi egli pure per darvi necessaria assistenza“. (13)

Il Merli, come vediamo, pur avendo accettato la disponibilità di Manca di Tiesi di porsi a capo delle forze per la difesa dell’isola, pensò subito di farlo affiancare dal tempiese don Gavino Valentino, in quel momento a Bono con le funzioni di regidore del Goceano. A costui, oltre alle provate capacità, il Merli riconosceva un particolare carisma nei confronti dei galluresi e degli abitanti di Tempio per cui riteneva indispensabile la sua presenza in veste di coadiutore del vecchio Manca di Tiesi. Pur consapevole dell’imminente pericolo, tuttavia, per non allarmare il Riccio minimizzava la cosa scrivendogli:

“…le notizie statele recate da patron Pasquale Martini …combinano, da più a meno, con quelle che si erano già quì avute con qualche bastimento genovese che toccò in Corsica, ma per dirle ciò che ne penso non pare che possa darvisi molta fede, giacchè non sembra credibile che possa quell’isola somministrare una forza di dieci mila uomini, e meno ancora nelle attuali circostanze che si sa divisa internamente fra più partiti, onde pare piuttosto probabile che possa questa essere una falsa voce.

Ad ogni modo però essendo cosa prudente in prepararsi a tutto, le accennerò di aver lasciato le mie disposizioni per far passare in Tempio don Gavino Agostino Valentino, e parte pure a quella volta il commissario generale cavaliere Manca di Tiesi per far mettere nelle armi tutta la cavalleria miliziana di quel partito che so altronde essere già vivamente animata per la comune difesa, riservandomi a misura delle notizie che mi perverranno di dare quelle ulteriori provvidenze che i casi potranno esigere“. (14)

Adagiato nelle mollezze della corte cagliaritana l’imbelle Balbiano non sembrava tuttavia aver ben valutato il serio pericolo. Il giorno dopo, infatti, il 3 novembre, indirizzava al comandante delle regie galere De Costantin, il seguente messaggio:

Mi scrive il governatore di Sassari de’ timori invalsi dopo la notizia ricevuta da codesto comandante Riccio che i francesi uniti ai corsi tentar vogliono uno sbarco a codesto capo e fors’anche all’isola. Io son persuaso che le notizie sieno esagerate, e sono dirette a semplice prova del valore della nazione. Ma comunque possano esse aver fondamento, io le replico quanto le ho già scritto, ch’ella non deve muoversi dal posto né cedere mai d’accordo con la guarnizione se non nel caso estremo, quando assolutamente dopo un forte contrasto si vedano insuperabili le forze, e tali da doversi opprimere. Il suo conosciuto zelo, il valor suo ne rassicurano abbastanza“. (15)

Al Riccio, poi, il giorno successivo scriveva:

Il governatore di Sassari, nel comunicarmi la lettera ch’ella le ha scritto il giorno ultimo del passato ottobre, mi annunzia le provvidenze che ha opportunamente date per ovviare alla temuta invasione de’ francesi e de’ corsi. Io approvo quanto egli ha disposto, e confermandole quanto le ho scritto in proposito: vale a dire di resistere sino a che non si vedono insuperabili affatto le forze. Oso di assicurarla che non è presumibile per nessun modo che i nemici si uniscano in forze tanto superiori di doversi ridurre a timore“. (16)

La visione del viceré e quella più prudente ma rassicurante del governatore non tranquillizzava però gli isolani; il messaggio loro pervenuto dalla Corsica era fin troppo chiaro, ed ancor più chiaro l’esplicito accenno al carnefice che annunciava giustizia sommaria per coloro i quali, schierandosi per il re di Sardegna, avrebbero ostacolato la ripresa delle isole e quindi tradito la loro vera patria. Per i maddalenini era venuto quindi il momento di decidere la loro sorte e il loro futuro. Stavolta il “viva chi vince” con il quale si erano sottomessi ai Savoia 25 anni prima non avrebbe funzionato. La decisione doveva essere una e definitiva: rifiutarsi di combattere contro i corsi o scendere in campo a fianco dei piemontesi. Nell’uno o nell’altro caso il martello era grande almeno quanto l’incudine.

In mancanza di precise fonti documentali possiamo solo supporre che in quei giorni le riunioni dei capifamiglia, le discussioni e le trattative dovettero essere intense e serrate. Alla fine l’atteggiamento degli isolani fu chiaro: a fronte delle minacce di ritorsione da parte dei corsi da un lato, e alle allettanti promesse di privilegi e vantaggi offerti dai piemontesi dall’altro, prevalse negli isolani la decisione di accettare definitivamente come loro patria le isole dell’arcipelago sottomesse alla casa Savoia. D’altro canto essi avevano lasciato la Corsica quando l’isola era sotto la sovranità di Genova e vi avrebbero ora trovato, dopo la rivolta di Pasquale Paoli, il nuovo e contrastato governo della Francia repubblicana. E a tal proposito Carlino Sole commenta: “…quand’anche le rivendicazioni della Francia …avessero sortito un risultato più favorevole alla comunità di Bonifacio, ben scarsa propensione avrebbero avuto gli abitanti della Maddalena a ricongiungersi alla Corsica, dove uno stato di estrema e permanente miseria e gli inevitabili contrasti interni …non potevano dare valide garanzie per la loro sicurezza e tranquillità“. (17)

La definitiva decisione degli isolani, maturata dopo le lunghe riunioni dei capifamiglia, traspare chiaramente da una lettera che l’8 novembre 1792 il comandante De Costantin indirizzava al viceré:

…in casa del comandante Riccio …i capi comuni di questa popolazione, …mi hanno provata la più viva penetrazione di riconoscenza verso V.E., e le loro dimostrazioni, come altresì la determinazione di voler disfarsi della famiglia facendola passare in Sardegna, mi fanno credere che non cederanno all’attaccamento e prove date per il regio servizio in più occasioni, ma che in queste contingenze sapranno sacrificarsi per la difesa della patria e per l’onore del sovrano, come mi hanno promesso“. (18)

Con la stessa lettera comunicava il prosieguo dei lavori di completamento della nuova batteria Balbiano, (19) l’avvenuta destinazione di parte degli equipaggi delle galere ed in particolare dei cannonieri al forte S.Andrea (20) nonché dei lavori nello stesso eseguiti perchè fosse pronto alla difesa.

Lo stesso giorno, però, il comandante Riccio, dopo aver assicurato che: “…se si presenta l’occasione spargerò l’ultima goccia di sangue per il nostro piissimo sovrano, e medesimamente animerò di buon coraggio e di fedeltà tutti quelli che sono sotto la mia direzione“, lamentava che per il prosieguo dei lavori nella nuova batteria “non v’è denaro per pagare il bisognevole ai lavoratori” e che non era ancora pervenuto l’assegno dei lavori fatti in precedenza per cui la somma occorrente per “il bisogno dei travagliatori” era stata anticipata da Giacomo Polverino che ora ne reclamava la restituzione. (21)

Frattanto, i maggiorenti tempiesi, convocati in congresso dal vescovo, dopo aver manifestato tutta la loro adesione, al temine della riunione tenutasi l’ 8 novembre stilavano un documento che il giorno stesso veniva rimesso a Cagliari.

I sottoscritti cavalieri – scrivevano al viceré – han l’onore di partecipare a V.E. che attese le pressanti notizie d’una prossima irruzione dei francesi in questi litorali, pervenutili dall’isola della Maddalena, dove si dice esser approdato in Corsica qualche numero di navi, ha stimato opportuno il loro degnissimo prelato radunare i rassegnanti nel suo vescovile palazzo, affinchè unanimi e concordi stabilissero ciò che farebbero per operare nel caso che si verificassero, e dopo una doverosa offerta fatta dal prelodato vescovo hanno i rassegnati confermato i veri sentimenti di fedeltà e di religione che rassegnarono all’E.V. con lettera de’ 24 passato ottobre unitamente a questo consiglio comunitativo, con aderire volentieri alle saggie attenzioni del governo“. (22)

L’impegno dei tempiesi fu sottoscrittto da Don Giambattista Sardo, dall’Avv.to don Giuseppe Gabriele, dal sindaco Don Pietro Paolo Pes, dall’Avv.to don Francesco Giuseppe Pes, da Don Salvatore Sardo Pes, Don Antonio Pasquale Guglielmo Pes, Don Andrea Gabriele, Don Raimondo Sardo, Don Salvatore Sardo Riccio, Don Andrea Pes Riccio e Don Gavino Misorro Riccio.

Una settimana dopo, il 15 novembre, a seguito di nuove allarmanti notizie pervenute dalla Maddalena al comandante della Gallura cavalier Battoni, il vescovo riconvocò d’urgenza tutti i maggiorenti tempiesi:

In questa gionta – scrisse a Cagliari Giacomo Manca di Tiesi – si propose per la nomina d’un capo per la somministrazione dei viveri, come altresì per il comando dei capi che anderanno coi paesani per occupare i posti ove possa passare l’enimico, e tutti unanimi nominarono a me. A questo pregai i signori della gionta che mi facessaro la grazia di nominarne un altro, ma tutto inutile. Tornai bel nuovo a replicare che io non ero capace dei posti, a questo mi pregarono che io avessi nominato a mio piacimento una persona che m’avesse potuto mostrar i posti e siti. A questo nominai a don Baingio Agustino Valentino, regidore del Goziano, il quale si trova qua per ordine del governatore di Sassari, persona intelligente e di rispetto, e domani anderemo per riconoscere i posti.

V.E. resti ben sicura che tutto caso l’enimico venga, siamo tutti ben disposti a ricerverli a costo delle nostre vite, già per difendere il nostro clementissimo sovrano, religione e patria. Prego V.E. di scrivermi suo sentimento se devo o no continuare in questa carica che in questi giorni m’anno addossato, e caso che V.E. approvi, desidererei venga autorizzato dall’E.V.” (23)

Il pavido Manca di Tiesi, che evidentemente non era per nulla entusiasta dell’incarico che gli era stato conferito, era però certamente a conoscenza che giorni prima il vicerè Balbiano, con uno strano quanto immotivato provvedimento che costituisce un giallo che non riusciremo mai a risolvere, aveva ordinato l’immediato rientro a Bono del Valentino e la sua sostituzione con l’anziano don Lucifero Mura. La notizia era già pervenuta al governatore di Sassari cavalier Merli, il quale, per nulla contento del provvedimento viceregio, il 14 novembre, senza mezzi termini, aveva scritto a Cagliari:

Li suddetti cavalieri di Tiesi e don Gavino Agostino Valentino hanno …rianimato ne’ galluresi li dovuti sentimenti di fedeltà e l’intrepidezza per la comune difesa. Ma ora ho dovuto intendere con mio rincrescimento che abbia l’E.V. stimato di nominare per suo commissario generale nella Gallura don Mura, uomo già in età e di nessuna influenza, e nulla affatto a proposito per dirigere i galluresi a differenza del regidore don Gavino Agostino Valentino, che ha grandissimo credito ed è seguito e rispettato da tutti in quel partito, d’onde è accaduto che il medesimo ha già chiesto di ritirarsi, si trovano que’ villici disanimati, e lo stesso cavalier di Tiesi ha pur avuto motivo di lagnarsi del don Mura, che vi è luogo a credere non sia per disimpegnarsi con buon esito in quest’incumbenza“. (24)

Il viceré, che forse a suo tempo non aveva gradito l’iniziativa del Merli di destinare a Tempio il Valentino senza averlo prima consultato, malgrado le ulteriori pressioni ricevute, fu irremovibile e il 23 novembre gli scriveva:

Rispetto al reggidore del Goceano a me sembra che debba far difetto la di lui lontananza dal contado dove sicuramente può essere più utile a secondar le di lei premure in caso di invasione del nemico. Siccome poi vedo ch’ella non ha molta opinione del commissario, don Lucifero Mura, e d’altronde monsignor vescovo di Civita ed Ampurias mi scrive che i tempiesi desiderano di avere a loro duce il cavalier Manca di Tiesi, commissario generale della cavalleria, ella lasciando restituire alla sua residenza il don Gavino Valentino, destinerà il cavalier Tiesi al comando generale delle milizie nella Gallura, ed io scrivo al Mura di astenersi dal prendere veruna ingerenza in qualità di commissario se non ne avrà ordine speciale dallo stesso cavalier Tiesi“. (25)

Il Merli, sia pure con gran disappunto, dovette fare buon viso a cattivo gioco, ma non si astenne da ulteriori commenti e il 24 novembre scriveva ancora al Balbiano:

“Nel partito della Gallura avendo avuto positivo riscontro che non erasi ancora lasciato di V.E. verun provvedimento, ho creduto bene di spedirvi, oltre al commissario generale cavalier don Giacomo Manca di Tiesi, il reggidore del contado di Goceano, don Gavino Agostino Valentino, e nominarlo per capo in riflesso di aver egli una perfetta conoscenza di ogni parte della Gallura, e atteso che sarebbe seguito volentieri e a perfetta conoscenza di qualunque altro non solo dalle milizie ma eziandio da cavalieri e da qualunque ceto di persone sia di quel partito che di quello di Terranova; avendo anche creduto quest’oggetto di maggior importanza di quello dell’amministrazione della giustizia nel partito di Goceano, mentre si sarebbe questa egualmente ottenuta pendente la di lui assenza per mezzo di quel delegato consultore, don Solinas Campus”. (26)

Le previsioni del Merli si riveleranno poi più che fondate. Sebbene il Tiesi, allora tenente colonnello, sia poi stato gratificato con la promozione a colonnello, l’azione dei tempiesi sulle coste di Palau dove i francesi non tentarono neppure lo sbarco, si risolse senza che venisse sparata neppure una fucilata. Ci mancò poco, invece, per i contrasti che avvennero fra le diverse squadre scese dalla Gallura, che si sparassero tra di loro. Dalla costa sarda tuonarono soltanto i cannoni che Domenico Millelire aveva portato da La Maddalena. Vi fu un solo tempiese che diede una mano, ma si fece profumatamente pagare: “…a Gavino Sanna Saragatu per aiuto prestato a trasporto de’ cannoni all’altura £.5”, come si legge nei conti presentati poi dal canonico Spano Azara. Le cronache e i documenti dell’epoca ci forniscono un quadro di confusione e disorganizzazione che in alcuni momenti sfiorò così da vicino la farsa da ricordarci tanto l’armata brancaleone; e anche la tradizione non ha tramandato un ricordo gratificante di quei giorni. Riporta infatti Salvatore Sanna che un racconto popolare ha fatto assurgere a eroe di quella battaglia tale Baingiu Mannali, il classico scemo del paese che era accorso al seguito delle milizie e che dalle alture di Barage, durante i giorni della battaglia, continuò a far roteare per aria un grosso e nodoso bastone lanciando all’indirizzo dei gallo-corsi attestati a Santo Stefano delle urla disumane. Secondo la leggenda furono proprio quelle urla, degne dei temibili lotofagi che la mitologia vuole popolassero quelle coste, che terrorizzarono i francesi costringendoli alla fuga. (27)

Frattando al Balbiano il pericolo era finalmente apparso reale; il 6 dicembre 1792, dopo che le truppe rivoluzionarie erano entrate nel Belgio, nella Renania tedesca, nella Savoia e a Nizza, sotto l’incalzare delle sempre più frequenti notizie sulle intenzioni dei francesi, il viceré, al quale stavolta era stato paventato che l’attacco sarebbe stato sferrato anche su Cagliari, si risolveva ad emettere il seguente Pregone:

“L’ingiusta, e non provocata invasione fattasi dai Francesi nel Ducato di Savoja, e nel Contado di Nizza senza preventiva dichiarazione di guerra, Ci ha messi nel caso di adoperare le maggiori precauzioni per preservare questo Regno da un simile attentato.

Affidati pertanto nell’attaccamento di questi Popoli alla nostra Santa Religione, e all’Augustissimo Monarca, e nel valore di cui la Nazione le ha fatte così distinte prove in tante occorrenze, dopo di aver già date le nostre disposizioni pel buon regolamento di queste coraggiose milizie, e per animare in qualunque caso quelli che saranno in grado di prendere le armi, intenti com’è nostro dovere, alla maggior sicurezza dell’isola e dei popoli alla nostra cura commessi, abbiamo stimato di ordinare quanto in appresso.

Primo. Non saranno più ricevuti nei porti e rade di questo Regno i legni Francesi di qualunque spezie essi siano tanto da guerra, che mercantili: Dovranno in conseguenza i Governatori, e Comandanti delle piazze, e delle milizie, Alcaidi, ed Artiglieri delle Torri, ove si avvicinasse al Littorale alcun legno Francese, ordinare che immediatamente sia respinto colla forza, ed esigendo, che tutti gli abitanti delle Ville, e popolazioni vicine all’avviso che ne avranno, debbano concorrere armati ed adoperare tutti i mezzi onde impedire gli sbarchi.

II – Non sarà permesso ad alcun Francese di qualunque stato, grado o condizione egli fosse di scendere a terra da qualunque bastimento di Bandiera estera se non ne avrà prima ottenuto da Noi il permesso.

III – Tutti i Francesi che si sono introdotti nel Regno dopo l’ultimo giorno del 1788 dovranno uscirne senza distinzione di persone colla prima occasione d’imbarco, ed i Governatori, Comandanti, e Ministri di giustizia veglieranno su quest’oggetto dandoci conto e di quelli, che si saranno obbligati a partire, e di quelli cui fino a nuovo ordine si permette di rimanere, perchè stabiliti nel Regno prima dell’epoca indicata”.

Il Pregone, poi, accordava a tutti i delinquenti latitanti, purchè non imputati dei delitti di lesa Maestà e omicidio, un salvacondotto interino a condizioni che si presentassero a “…passare sottomissione di servire in difesa del Regno contro i nemici dello Stato muniti delle loro armi” e ove qualcuno di loro “…in circostanza di affrontare i nemici desse prove distinte di fedeltà e coraggio, proverà gli effetti della nostra particolare clemenza, essendo Noi disposti a fargli anche piena grazia delle pene in cui avesse potuto incorrere”.

Gli effetti del provvedimento si fecero subito sentire anche a La Maddalena ove la copia del Pregone pervenne però con una disposizione in deroga con la quale si consentiva ai bonifacini di continuare i loro commerci con Longonsardo.

Le rimetto -scriveva Balbiano a De Costantin- qualche esemplare del pregone che ho fatto quì pubblicare dopo di aver intimato a questo console di Francia la partenza. Dovranno respingersi i legni francesi, i quali conseguentemente, in caso di ostinazione saranno predati, ma continueranno i bonifacini nell’antica relazione e corrispondenza col porto di Longonsardo“. (28)

Furono espulsi dall’isola tutti i corsi e i francesi che vi si erano stabiliti dopo il 1788 e allontanate le navi battenti la bandiera repubblicana. La deroga concessa ai soli bonifacini era stata motivata dal fatto che gli stessi, dalle informative che erano pervenute, non avrebbero parteggiato per i francesi e che anzi avrebbero dato avviso ai sardi della paventata invasione. La cosa, tuttavia, appariva poco credibile in quanto, se da un lato la Comunità di Bonifacio, rimasta fedele alla Repubblica di Genova, aveva sempre osteggiato i francesi, dall’altro non aveva mai rinunciato a qualle isole dirimpettaie una volta in loro possesso ed ora in mano dei sardi. Ci volle ben poco, però, a scoprire il doppio gioco dei vicini e la loro subdola attività di sedizione. Il 15 dicembre 1792, da Tempio, il comandante della guarnigione Battoni avvertiva il viceré:

Essendomi venuti al orecchio certi discorsi che i bonifacini tengono a quei di Terranova ed ai pastori vicini, animandoli affinchè ricevino volentieri i francesi, e a non opporsi loro per niente, e che così loro saranno trattati con affabilità e posti in un intera libertà, temendo che tali insinuanti discorsi possino fare dei partigiani e non sapendo in che maniera ripararvi se non col farne relazione all’E.V., affinchè si degnasse di dare quelle provvidenze che crederà necessarie“. (29)

Il Balbiano, tuttavia, il 10 e l’11 gennaio, scrivendo al De Costantin e al Merli, nel confermare lo stato di belligeranza nei confronti dei legni corsi e francesi, rinnovò la sua disponibilità nei riguardi dei vicini scrivendo al commissario Aldrovandi e alla municipalità di Bonifacio che potevano continuare il loro commercio “malgrado il prescritto del pregone delli 6 dicembre” purchè approdassero unicamente nel porto di Longonsardo uno o due per volta.(30) Ma poichè a tanta generosa offerta non era giunta dall’altra sponda alcuna risposta, il 25 gennaio Balbiano manifestava alla corte di Torino le sue perplessità:

Un tale silenzio – scriveva alla segreteria per gli affari di guerra – fa giustamente sospettare anche il comandante de’ regi legni che le mire de’ bonifacini sieno di riunirsi agli altri corsi per far qualche tentativo sulla Maddalena, o sul litorale della Gallura“. (31)

Lo stesso giorno, infatti, essendo giunta notizia che i bonifacini avrebbero compiuto un’impresa corsara ai danni di una imbarcazione sarda, che oltretutto portava a La Maddalena i viveri destinati al contingente di miliziani in arrivo da Tempio, Balbiano ordinava a De Costantin:

Siccome…. ho avuto avviso che la gondola capraiese che trasportava costà i viveri da Porto Torres possa essere stata predata da legno bonifacino, così ove ella verifichi la cosa od altro oggetto che interessi il legno, non dovendosi più usar loro riguardo, ordinerà a mio nome all’alcaide di Longonsardo di non più ammettere o accordar provviste ai loro legni, ma di respingerli, predarli potendo, come farà ella medesima“. (32)

La tentata invasione era dunque ormai vicina; proprio in quei giorni aveva infatti inizio lo sfollamento delle famiglie verso la vicina Gallura, condizione essenziale che gli isolani avevano posto come garanzia alla loro fedeltà. Comunque andassero le cose era importante che donne, vecchi e bambini non corressero pericoli: triste destino di questa comunità che nel corso della sua esistenza, a causa della guerra, dovrà poi sfollare altre due volte. (33)

Non abbiamo precise notizie sui tempi e sulle modalità dello sfollamento che venne certamente attuato nell’ultima decade di gennaio. In una lettera datata 1° febbraio, difatti, Balbiano prende atto dal De Costantin “ch’egli ha instradato a Tempio le famiglie degli isolani rimasti alla Maddalena”; (34) da un’altra lettera diretta il 4 febbraio 1793 dal governatore di Sassari al viceré, possiamo poi apprendere che esse furono portate a Tempio e a Luogosanto ove vennero rispettivamente affidate “alle zelanti cure di quel prelato ed al vicario generale, canonico Spano”, e che era stata “fissata la loro porzione a soldi cinque per persona quando fossero in Tempio e ad un pane di libbra e mezzo reale al giorno per quelli che fossero a Luogosanto”. (35)

Della presenza dei maddalenini a Tempio e a Luogosanto troviamo riscontro nei conti che il vicario generale di Tempio, canonico Spano Azara, inviò al segretario di stato presso il viceré il 4 maggio 1793. I tempiesi, che avevano fatto le cose in grande nella convinzione di dover partecipare alla difesa dei litorali galluresi, che poi non avvenne. Venne difatti approntata un’enormità di provviste rivelatasi poi inutile; il pane avanzato, genere immediatamente deperibile, “se lo divisero i pastori” e “quel pane poi che restò nel paese per non perdersi”, venne dato ai poveri e ai carcerati, e il resto “si distribuì come segue:

– a 29 famiglie isolane che quì arrivarono il 25 gennaio se li diede gratis il 25, 26, 27, 28, in ragione di tre pani ogni persona (a persone 87) e qualche d’un di più se fossero disuguali, pani 828;

– mandati a Luogosanto per soccorso di quelle famiglie che stavano venendo e trovavansi senza mangiare, pani 300;

– ad un isolano cieco e suo nipote non compresi nel bilancio se li diede pane a ragione di 3 ognuno da 26 gennaio a 16 febbraio che fini il pane, pani 132″.

Nei giorni 5, 6 e 7 febbraio, poi, essendo venuti a mancare i fondi per l’indennità di cinque soldi dovuta agli isolani sfollati fu dato il corrispettivo in pane per complessivi 1784 pani. Dagli stessi conti del vicario Azara Spano apprendiamo anche che a La Maddalena, furono inviati 2018 pani e 10800 gallette di cui rilasciò ricevuta il munizioniere Foresta. (36)

Il passaggio in Gallura delle famiglie maddalenine confermava definitivamente l’attestazione di fedeltà manifestata dagli isolani e la loro ferma decisione di schierarsi a difesa della nuova patria. Ormai Riccio e De Costantin non avevano più alcun dubbio tanto che fin dai primi di gennaio aveva fatto distribuire a tutti munizioni da guerra, e della fedeltà degli isolani, sia pure con qualche riserva, se ne era convinto anche Balbiano.(37) Tardarono invece a convicersene il cavalier Tiesi e i galluresi, specialmente quelli che dovevano andare di rinforzo nell’isola, i quali dovettero poi essere allettati con la promessa di un generoso compenso.

Il cavaliere di Tiesi – scriveva Balbiano al governatore di Sassari – si è dovuto convincere da se medesimo quanto insussistente sia l’imputazione fattasi agl’isolani della Maddalena. Ciò non ostante non gli è riuscito di indurre i tempiesi a passar in quell’isola per rinforzar la difesa. Ad ogni buon fine le comunico le due quì unite sue lettere, in vista delle quali ella si compiacerà di mandar al cavaliere quel denaro crederà conveniente per supplire alle gravi spese cui ha dovuto acconsentire per rimediare alla meglio alla renitenza dei villici“. (38)

Dal foglio de’ 25 cadente che andava soscritto da vari coraggiosi cavalieri i quali l’hanno seguitata a porto Pulo e perfino alla Maddalena – scriveva ancora al cavalier di Tiesi – ho con singolar compiacimento rilevato lo zelo che ha sempre più manifestato per la difesa della patria a gloria della religione e del re. Mi rincresce che non siano abbastanza animati dello stesso spirito i loro seguaci. Manco male che dal posteriore foglio de’ 26 ho veduto che le è riuscito di indurre una sessantina a passar all’isole Intermedie. La loro paga è forte, tuttavia trattandosi di doversi isolare non ho che approvarla“. (39)

I rinforzi, dunque, giunsero nell’isola e sulle coste sarde giusto in tempo per un primo tentativo dei francesi che erano dovuti tornare indietro per il sopraggiungere di un fortunale. Sia per i francesi che per i galluresi quella fu una sorta di malriuscita prova generale, ma ormai le truppe di Manca di Tiesi e i miliziani scesi al mare da tutta la Gallura vegliavano giorno e notte.

La mattina del 22 febbraio, apparve nelle acque dell’arcipelago la squadra gallo-corsa composta da 23 bastimenti sotto il comando del generale Colonna Cesari; a dirigere le artiglierie, che dalla conquistata isola di Santo Stefano bombardarono l’abitato di La Maddalena, c’era un giovane luogotenente alla sua prima esperienza bellica che allora si chiamava e si sottoscriveva Napoleone Buonaparte; la “u” la perderà poi strada facendo, e di strada, dopo quella disavventura, ne farà tanta.

Su quanto avvenne in quei giorni, sulle cause della fallita occupazione delle “Isole Intermedie” e sull’eroismo di Domenico Millelire, che passerà alla storia come “il nostromo che sconfisse Napoleone”, sono corsi fiumi di inchiostro, fiumi impetuosi quasi sempre straripati nella retorica e nello strumentalismo politico.

“Fu vera gloria?”.

A tutt’oggi, e si è lasciata passare quasi inosservata la ricorrenza bicentenaria, i posteri non hanno ancora pronunciato “l’ardua sentenza”.

Antonio Ciotta  

Note

N O T E

1) L’occupazione dell’arcipelago da parte delle truppe sardo-piemontesi era avvenuta dal 14 al 16 ottobre 1767. Prima di allora le isole, rimaste “res nullius” dopo le rispettive cessioni della Sardegna ai Savoia e della Corsica alla Francia, erano di fatto occupate da oltre un cinquantennio da pastori corsi di Bonifacio. L’occupazione delle isole si era resa necessaria per combattere i contrabbandi ai quali i pastori delle isole, in combutta con gli abitanti di Aggius, erano dediti con gran danno per l’economia sarda. In effetti, sia gli spagnoli che la repubblica di Genova non avevano esercitato in passato univoci atti di giurisdizione e di sovranità per cui l’occupazione diede luogo a un contenzioso che, di fatto, vide come controparte non tanto la Francia quanto i bonifacini ai quali le isole erano state “scippate” dai sardi con la piena accondiscendenza dei pastori che le abitavano.

2) La Maddalena aveva assunto anche a quell’epoca un ruolo primario di sentinella di confine; rispetto alla posizione periferica di Cagliari, aveva il privilegio di essere scalo del regolare servizio postale marittimo gestito da imprenditori di Sassari e assolto da gondole e speronare capraiesi sulla rotta Livorno – Capraia – La Maddalena – Porto Torres. Molte importanti notizie, unitamente ai pochi giornali dell’epoca, arrivavano quindi nell’isola prima ancora che raggiungessero la capitale. Cfr. Archivio di Stato di Cagliari-Segreteria di Stato (d’ora in poi ASC-SdS), serie II, vol. 2075, lettera del cavalier De Chevillard al viceré.

3) Il comandante Riccio era giunto a La Maddalena all’inizio del 1792, proveniente da Castelsardo, in sostituzione del cavalier Raynaldi al quale Balbiano, per il suo comportamento, aveva dato lo scommiato dalle isole. In passato il Riccio era già stato a La Maddalena quale comandante provvisionale guadagnandosi la stima della popolazione e il favore dei superiori. Subito dopo il suo arrivo, nel mese di aprile, aveva ottenuto la promozione a capitano e al termine delle vicende del fallito attacco gallo-corso verrà promosso per meriti di guerra al grado di maggiore.

4) Lettera del comandante Riccio al viceré del 7 ottobre 1792. Cfr. ASC-SdS, serie II, vol. 2073. In quegli anni, regnante a Torino Vittorio Amedeo III, la segreteria di stato per gli affari di guerra e marina presso il re era retta dal cavalier Di Cravanzana, mentre a Cagliari era insediato sullo scranno viceregale don Vincenzo Balbiano.

5) Lettera del comandante Riccio al viceré del 12 ottobre 1792, ibidem. La flottiglia sarda, posta sotto il comando del capitano del regio armamento cavaliere Felice De Costantin Castelnuovo, era costituita dalle mezze galere Beata Margherita e Santa Barbara, comandate, la prima dallo stesso De Costantin e la seconda dal carlofortino don Vittorio Porcile, dalle gondole Aquila e Sardina, dalle galeotte Sibilla, Sultana e Serpente, dal lancione Coguinas e da altre unità minori.

6) Lettera del comandante Riccio al governatore di Sassari del 12 ottobre 1792, ibidem. La carica di governatore di Sassari era stata assunta dal 1791 dal cavalier Merli che era succeduto al cavalier Foncenex. Cfr. Pintus R. – Sovrani, viceré di Sardegna e governatori di Sassari, Collana dell’Archivio Storico Sardo di Sassari, Sassari, Poddighe, 1978. La popolazione di La Maddalena, secondo il censimento del 1794, era di 867 abitanti. Le poche truppe presenti e i maddalenini atti alle armi non potevano superare le 400 unità.

7) Lettera del segretario di stato per gli affari di guerra e marina al viceré. Cfr. ASC-SdS, serie I, vol.225.

8) Lettera del viceré al comandante Riccio del 19 ottobre 1792. Cfr. ASC-SdS, serie I, vol. 828.

9) Lettera del comandante Riccio al viceré del 25 ottobre 1792. Cfr. ASC-SdS, serie II, vol. 2073. Malgrado l’ottimismo del Riccio la concessione diede luogo a tanti abusi, ma questo privilegio, sebbene emesso in un momento di particolare contingenza, fu poi mantenuto fino all’entrata in vigore del nuovo sistema doganale istituito con Regio Editto del 20 maggio 1820. In quell’occasione i maddalenini insorsero contro il ristabilimento del balzello e continuarono a rivendicarne l’esenzione fino al 1843 con una supplica consegnata al re Carlo Alberto in occasione della sua visita nell’isola avvenuta il 4 maggio.

10) Lettera del comandante Riccio al viceré dell’1 novembre 1792, ibidem.

11) Lettera del comandante Riccio al viceré dell’1 novembre 1792, ibidem.

12) Lettera del comandante Riccio al governatore di Sassari del 31 ottobre 1792, ibidem.

13) Lettera del governatore di Sassari al viceré del 2 novembre 1792. Cfr. ASC-SdS, serie II, vol. 1705. Anche il governatore Merli, pur disponendosi ai preparativi, ritenne esagerata la notizia giunta dalla Corsica e il giorno stesso scriveva al Riccio:

Ho ricevuto stamane verso le ore sette il foglio di V.S. del 31 scaduto col quale ella mi ha dato saggio di sua attenzione ed esattezza, coll’avermi sollecitamente partecipato le notizie statele recate da patron Martini. Combinano queste, da più a meno, con quelle che si erano già qui avute con qualche bastimento genovese che toccò in Corsica, ma per dirle ciò che ne penso non pare possa darvisi molta fede, giacchè non sembra credibile che possa quell’isola somministrare una forza di dieci mila uomini, e meno ancora nelle attuali circostanze che si sa divisa internamente fra più partiti, onde pare piuttosto probabile che possa questa essere una falsa voce“.

Ibidem.

14) Lettera del governatore di Sassari a don Gavino Valentino in Bono del 2 novembre 1792. Ibidem.

15) Lettera del governatore di Sassari al cavaliere De Costantin del 3 novembre 1792. Cfr. ASC-SdS, serie I, vol. 479.

16) Lettera del governatore di Sassari al comandante Riccio del 4 novembre 1792, ibidem.

17) Cfr. C.Sole, Sovranità e giurisdizione sulle Isole Intermedie (1767-1793), in “Archivio Storico Sardo”, Padova, Cedam, 1959.

18) Lettera del cavalier De Costantin al viceré dell’8 novembre 1792. Cfr. ASC-SdS, serie II, vol. 2073.

19) La batteria Balbiano era ubicata a ovest del porto di Cala Gavetta in posizione tale da dominare il canale tra La Maddalena e l’isola di S. Stefano. Ebbe la sua parte durante l’attacco gallo-corso sotto il comando del piloto Rossetti che per quell’azione otterrà la promozione a piloto di fregata. Fu inglobata successivamente nell’abitato e ne rimane solo il ricordo nel toponimo “il Fortino” con il quale viene indicato il luogo in cui sorgeva. Cfr. I forti dell’Arcipelago, cura dell’Amministrazione Comunale, La Maddalena, Paolo Sorba Editore, 1995.

20) Il forte Sant’Andrea, costruito in posizione dominante alle spalle dell’abitato, malgrado ampiamente rimaneggiato, è ancora oggi esistente. Nei primi anni dell’800, rivelatosi inidoneo quale struttura difensiva perchè venutosi a trovare al centro dell’abitato, fu utilizzato come prigione e mantenne questa sua destinazione fino al 1976. Sui suoi spalti, durante l’attacco, fu fatta sventolare l’improvvisata bandiera ricavata da un lenzuolo, oggi esposta nel salone consiliare del Comune, sulla quale è dipinta l’immagine di S.Maria Maddalena con il motto “per Dio e per il Re vincere o morire”. Cfr. I forti dell’Arcipelago, op.cit.

21) Lettera del comandante Riccio al viceré dell’8 novembre 1792. Cfr. ASC-SdS, serie II,vol. 2073.

22) Lettera di 11 cavalieri tempiesi al viceré dell’8 novembre 1792, ibidem.

23) Lettera del cavalier Manca di Tiesi al viceré del 16 novembre 1782, ibidem.

24) Lettera del governatore di Sassari al viceré del 14 novembre 1792. Cfr. ASC-SdS, serie II, vol.1705.

25) Lettera del viceré al governatore di Sassari del 23 novembre 1792. Cfr. ASC-SdS, serie I, vol. 828.

26) Lettera del governatore di Sassari al viceré del 24 novembre 1792. Cfr. ASC-SdS, serie II, vol.1705.

27) Sanna S. (a cura di) – La ricerca dell’identità – Raccolta di Documenti di Archivio, Quaderni Maddalenini, II, 1997, prefazione, pag.13.

28) Lettera del viceré al comandante delle mezze galere alla Maddalena. Cfr. ASC-SdS, serie I, vol. 479

29) Lettera del comandante Battoni al viceré del 15 dicembre 1792. Cfr. ASC-SdS, serie II, vol. 2073..

30) Lettera del viceré al cavalier De Costantin del 10 gennaio 1793 e al governatore di Sassari dell’11 gennaio 1793. Cfr. ASC-SdS, serie I, vol. 479 e serie II, vol.829.

31) Lettera del viceré alla segreteria di stato per gli affari di guerra e marina presso il re in Torino del 25 gennaio 1793. Cfr. ASC-SdS, serie I, vol. 406.

32) Lettera del viceré al cavalier De Costantin del 25 gennaio 1793. Cfr. ASC-SdS, serie I, vol. 479. Il 1° febbraio scriveva al governatore di Sassari: “Gli significo altresì che non si abbia ad ammettere più verun legno bonifacino a Longonsardo, il che le accenno per suo lume e perchè anch’ella secondi i miei ordini, giacchè non merita riguardo quella città che non ha neppure accusata ricevuta della mia lettera“. Cfr. ASC-SdS, serie I, vol. 829. Evidentemente la Corte di Torino, già a conoscenza dei riguardi usati dal Balbiano nei confronti dei bonifacini e delle loro reticenze, non era stata ancora informata delle ultime decisioni tanto che il 6 febbraio il segretario di stato per gli affari di Sardegna, Graneri, sciveva al viceré:

Spiacemi solo di sentire che mal si corrisponda da’ bonifacini alle generose di lei disposizioni a loro riguardo. Convengo nella massima dell’usata dolcezza, bontà ed indulgenza, ma se la loro condotta si rende equivoca e sospetta, siccome le scrive il comandante dei regi legni, è d’uopo massime in questi tempi d’avervi l’occhio sopra, e vegliare colla maggiore circospezione sulli loro andamenti, e prendere in tempo le più prudenti risoluzioni“. Cfr. ACS-SdS, serie I, vol. 63.

33) La convivenza a La Maddalena della comunità civile con quella militare dovrà provocare un secondo sfollamento durante il primo conflitto mondiale e un terzo esattamente 150 anni dopo quando nel maggio del 1943 la piazzaforte fu attaccata dai bombardieri dell’aeronautica americana che distrussero l’arsenale, affondarono l’incrociatore Trieste e danneggiarono seriamente l’incrociatore Gorizia.

34) Lettera del viceré al governatore di Sassari dell’1 febbraio 1793. Cfr. ASC-SdS, serie I, vol.829.

35) Lettera del governatore di Sassari al viceré del 4 febbraio 1793. Cfr. ASC-SdS, serie II, vol.. 1678.

36) Tutti i dati relativi alle spese occorse in occasione della spedizione a Palau e per l’approntamento della difesa, compresi i soccorsi ai maddalenini sfollati, si ricavano dal lungo e dettagliato rendiconto che il vicario generale di Tempio, canonico Spano Azara, inviò al viceré il 4 maggio 1793. Cfr. ASC-SdS, serie II, vol. 2043. Furono spese cifre spropositate e fu approntato tanto di quel pane che gran parte andò perduto; oltre 2000 gallette destinate a La Maddalena e non ritirate dagli isolani “malgrado i replicati avvisi de’ sacerdoti che erano all’accampamento”, rimasero a Palau negli ovili dell’Altura e di Agostino Ciboddo e “si sono guastate per l’umidità”. Il vicario aggiunge però che i maddalenini non ritirarono le gallette “per non prendersi la fatica di mandarvi una cialuppa”. Fra le spese si rilevano anche 22 lire e 10 soldi dati a “18 uomini di Monti che restarono all’isola due giorni”, 4 lire ad Angelo Usay e Giò Antonio Balistreri “per corriere dall’isola a Tempio di nottetempo” e 4 lire a Giovanni Sotgiu “per portar denari all’isola, cioè lire 3750”. Per avere un’idea del potere di acquisto di una simile somma si rileva, sempre dagli stessi conti, che un caprone per l’accampamento fu acquistato al prezzo di due lire e dieci soldi.

37) Lettera del viceré al comandante Riccio dell’11 gennaio 1793. “Potrà esservi costì anche qualche male intenzionato, ma non ho mai avuto alcun dubbio sulla fedeltà ed attaccamento di codesti isolani al sovrano. Con tutto ciò non è mai soverchia una vigilanza attenta in seguito ai riscontri che ella ha avuti. Il di lei esempio alla difesa servirà anche ai medesimi. Intanto ha fatto bene a distribuire munizioni da guerra alla popolazione”. Cfr. ASC-SdS, serie I, vol. 829. Le riserve di Balbiano, però, caddero quando ebbe luogo lo sfollamento delle famiglie: “Codesti isolani hanno già dato una lodevole prova di loro coraggio e fedeltà nell’aver distaccate dal seno loro le famiglie, senza delle quali potranno aver campo a un onorevole difesa. Sta bene che esse famiglie siansi instradate a Tempio. Son persuaso che si povvederà alle loro urgenze siccome ne lascio i miei ordini. Le spese sono grandi; alla difesa ognun è tenuto, ma so valutare i servizi di codesta popolazione che ella deve sempre più incoraggire, persuaso che non saprà scordare i benefici ricevuti dal sovrano”. Cfr. Lettera del viceré al comandante De Costantin del 1° febbraio 1793, ASC-SdS, serie II, vol. 479.

38) Lettera del viceré al governatore di Sassari del 1° febbraio 1793. Cfr. ASC-SdS, serie I, vol. 829.

39) Lettera del viceré al cavalier Manca di Tiesi del 1° febbraio 1793. Cfr. ASC-SdS, serie I, vol.479. Gli uomini passati a La Maddalena per la difesa dell’isola furono complessivamente 75 ed erano in gran parte di Aggius, Calangianus, Luras e Monti; i miliziani di Bortigiadas e Martis furono avviati alle marine del Coghinas. La paga loro promessa era di “quattro reali per cadun individuo oltre al necessario mantenimento” (Lettera del governatore di Sassari al viceré del 4 febbraio, Cfr. ASC-SdS, serie II, vol. 1678), con l’aggiunta di un reale per il vestiario. “Mentre le reclute sarde fatte passare alla stessa isola sono senza vestiario, ed hanno perciò contratto qualche debito, sta bene che si faccia loro corrispondere un reale di più per ciascuna”. (Lettera del viceré al governatore di Sassari del 5 febbraio. Cfr. ASC-SdS, serie I, vol. 829). Il viceré e il governatore di Sassari furono invece irremovibili circa le pretese dei miliziani galluresi forti delle promesse loro fatte dal Manca di Tiesi: “..non posso dispensarmi dall’accennarle che mi ha fatto pena il vedere essersi da V.S. promessa una paga, ed anche assai considerevole, ai paesani che accorressero alle marine, poichè temo che siano per nascerne pregiudiziali conseguenze, volendo forse anche gli altri su tal esempio pretendere una mercede che la regia cassa non sarà in grado di corrispondere, quandoché in fatto di questa natura ognuno dovea concorrere senza paga, e la sola liberalità da usarsi potea restringersi alla somministranza de’ necessari viveri ai poveri e loro famiglie”. (Lettera del governatore di Sassari al cavalier di Tiesi del 30 gennaio. Cfr. ASC-SdS, serie II, vol. 1678). Alla fine fu però accordata ai miliziani una paga pari a quella delle truppe regolari: “..non voglio che si paghi più di un reale al giorno per la fanteria e di due per la cavalleria. Le milizie sono obbligate senz’altro a concorrere, ed è un riguardo caritatevole alla loro povertà se mi induco a dare ad esse questo sussidio”. (Lettera del viceré al vescovo di Tempio dell’8 febbraio. Cfr. ASC-SdS, serie I, vol.736). Fra i miliziani sardi accorsi in difesa della Maddalena vi fu l’unico morto di quella battaglia: il giovane Michele Digosciu di Calangianus colpito a una gamba da una palla di cannone nei pressi della chiesa parrocchiale. La madre del Digosciu, vedova e con l’unico sostentamento di quel figlio, fu poi risarcita con 25 scudi che il De Costantin le inviò da La Maddalena sottraendoli dalla somma di 200 scudi stanziata dal viceré per risarcire gli isolani.

CO.RI.S.MA. (Comitato Ricerche Storiche Maddalenino)