La svolta terzomondista
Tra il 1962 e il 1963, oltre a Parà, lo sceneggiatore maddalenino lavora al trattamento del film Una vita violenta adattamento dell.omonimo libro di Pier Paolo Pasolini pubblicato nel 1959, per la regia di Brunello Rondi e Paolo Heusch. Il contributo di Solinas è essenzialmente una collaborazione al trattamento, scritto insieme ai due registi. Solinas, in quella circostanza, ricorda le occasioni sprecate: il dispiacere per non aver incontrato Pasolini, intellettuale che apprezzava molto e il mancato utilizzo, da parte dei registi, di alcune parti di sceneggiatura scritte dallo stesso Pasolini. Sono anche gli anni in cui Solinas e Pontecorvo sono impegnati anche in un altro adattamento, quello del libro di Ugo Pirro, Le soldatesse che si concretizza nel 1965, realizzato da Valerio Zurlini dopo essere passato per diverse mani, in un iter che partito dal cinema porta alla letteratura per poi sfociare ancora in questo film. Ugo Pirro infatti trasse il romanzo da un soggetto che nei primi anni cinquanta nessuno volle prendere in considerazione. L’opera di Pirro, pubblicata nel 1956 (stesso anno di Squarciò), rappresentò il suo esordio letterario registrando anche un discreto successo. Non molti anni dopo l’uscita del romanzo, parliamo dei primissimi anni sessanta, Franco Solinas e il suo compagno di lavoro Gillo Pontecorvo, ricevono la proposta di trarre una sceneggiatura dal libro dell.amico Pirro, che aveva venduto i diritti al produttore Raoul Levy. I due prepararono una sceneggiatura piuttosto diversa dal romanzo. Il testo non prendeva infatti in considerazione gli elementi più sanguigni e spettacolari del romanzo, in favore di una storia di guerra più intima e delicata, non soddisfacendo Levy che rifiutò il copione, chiedendo un nuovo adattamento a Leonardo Benvenuti e Piero De Bernardi. In ultima battuta il regista Zurlini consegnò a Franco Solinas il lavoro per una minuziosa revisione che, a detta di Solinas stesso, non fu tuttavia sufficiente ad eliminare l.eccessivo tono melodrammatico del copione. La sceneggiatura di Solinas e Pontecorvo era ambientata nel 1942 in Grecia, durante l.invasione italiana. Un piccolo convoglio trasporta delle prostitute per i militari italiani, appunto “le soldatesse”. Un giovane ufficiale, Martino, matura una crisi di coscienza che lo porta ben presto a vedere la realtà con occhi diversi rispetto agli entusiasmi iniziali. Il viaggio del convoglio, pieno di insidie, mostra al giovane la situazione e la violenza della presenza italiana in Grecia.
Questo periodo contrassegnato da una serie di collaborazioni intrecciate conclude in un certo senso una sorta di secondo apprendistato dopo l’iniziale lavoro in bottega. Solinas ha ormai sviluppato, sceneggiatura dopo sceneggiatura, una personalità che pesa su ogni copione, le tematiche centrali del lavoro dello sceneggiatore si indirizzano chiaramente non solo verso l’impegno sociale, politico, civile, non solo più specificatamente in direzione del terzomondismo, ormai apertamente dichiarato con la stesura sfortunata di Parà, ma anche verso la ricerca dell’identità umana, un uomo piccolo tassello periferico della storia, l’individuo, impotente spettatore, l’uomo e la donna nella massa, collettivi protagonisti. L’essere umano semplicemente con la sua voglia di emergere o preservare determinate posizioni (è il caso delle guerre di indipendenza dalle colonie), l’essere umano con la sua indifferenza, suo malgrado travolto da decisioni che spesso sono prese troppo in alto o troppo lontano o troppo in basso, perché egli le possa prevedere, il conseguente tendere verso l.opportunismo politico da parte suoi antieroi.
L’autore sardo è ormai pronto per firmare una delle più significative tra le sue sceneggiature: La battaglia di Algeri, che come noto, nasce su commissione. Pontecorvo e Solinas vengono contattati direttamente dal FLN (Fronte di Liberazione Nazionale algerino) due anni dopo aver lavorato a Parà e averci rinunciato non senza amarezza. L’intenzione dei responsabili del FLN è quella di finanziare la realizzazione di un film celebrativo dell’indipendenza sancita nel 1962. I due autori non passarono inosservati nella loro prima “missione” algerina e furono dunque contattati. Solinas stesso rievoca l’episodio: […] arrivò a Roma un certo Yacef, che era stato responsabile del FLN durante il periodo della battaglia, un personaggio curioso: ex giocatore di football, che al momento si era stancato della politica e pensava di fare cinema e naturalmente di valorizzare la sua avventura, la sua epopea. Il tema, abbastanza obbligato, era la battaglia di Algeri, e quindi il problema era enorme, sia perché si trattava di raccontare tutto quello che c.era da raccontare su questo episodio, sia perché era il primo film prodotto dalla Repubblica algerina appena indipendente, sia perché il tema del terzo mondo non era stato mai trattato. La sceneggiatura e il film sono più o meno identici, si trattava infatti di una sceneggiatura costruitissima.
Il Yacef di cui parla Solinas è Yacef Saadi, già comandante militare del fronte di Liberazione Nazionale ad Algeri e ora titolare di una casa di produzione cinematografica, la Casbah Film, società per metà privata e per metà controllata dallo stato, che quindi ha notevoli mezzi finanziari e altrettante ambizioni commerciali. Arrivando in Italia, Saadi ha tre registi su cui puntare, Luchino Visconti (di cui produce, qualche anno più tardi, Lo straniero, girato anch.esso ad Algeri), Francesco Rosi, che però proprio in quelle settimane era impegnato in Spagna dove stava girando Il momento della verità, e Gillo Pontecorvo che con Solinas poteva vantare già una discreta conoscenza della situazione algerina, oltreché un copione, quello di Parà, che trattava direttamente l.argomento. La scelta cade su Pontecorvo, essenzialmente per questa ragione. Ad ogni modo, scartato il soggetto proposto da Saadi, e giudicata poco centrato sulla situazione Algerina la sceneggiatura di Parà, i due autori iniziano la fase di ricerca per la nuova sceneggiatura. Una ricerca che durerà sei mesi come altrettanti ne serviranno per la prima stesura della sceneggiatura. Pontecorvo e Solinas tornano in Algeria per un mese: muniti di microfono e registratore intervistano molti abitanti della Casbah, ex-combattenti o dirigenti del FLN. Raccogliere testimonianze è fondamentale per rispondere a quella necessità di verità, a quel taglio documentaristico che sia il regista che lo sceneggiatore hanno deciso di dare al film. Nella loro ricerca, godono dell.appoggio diretto dei vertici del Fronte di Liberazione Nazionale, e della collaborazione di alcuni esperiti militari con i quali lo scrittore sardo e il regista passano settimane intere, imparando le tecniche e le dinamiche della guerra clandestina. Ma non manca anche lo studio dei libri scritti in Francia e Algeria sull.argomento, dei giornali dell.epoca, dei verbali di polizia, delle trascrizioni dei discorsi dei colonnelli francesi che sono vere e proprie lezioni di strategia e controguerriglia. Così come è forte e cruciale per tutto il lavoro sul film l.influenza dell.opera di Franz Fanon42: entrambi gli autori, e in particolar modo Franco Solinas che già si era servito del libro di Fanon per Parà, mettono al vaglio del loro viaggio gli scritti di Fanon, e restano colpiti dall.esattezza delle sue intuizioni, soprattutto per quel che riguarda l.approfondimento psicologico delle frustrazioni e dei traumi derivati ai colonizzati dal lungo periodo di oppressione colonialista e di contro i traumi e le disfunzioni mentali riscontrate nei torturatori, dopo anni di torture perpetrate. Trovano inoltre particolarmente interessante il fatto che Fanon parlasse della necessità di un nuovo modello di organizzazione sociale e di nuovi presupposti, differenti da quelli occidentali, per la costruzione di una civiltà che non fosse specchiata su quella dell.oppressore (concetto che ritornerà fortissimo in Quemada, non solo espresso attraverso le parole di Jose Dolores ma anche simboleggiato dall.elemento del fuoco). Nella lotta dell.Algeria per svegliarsi ed entrare nella storia, per partorire, attraverso la sofferenza e la morte, la propria libertà, il proprio rinnovamento, Solinas e Pontecorvo vedono un esempio per tutti gli oppressi. Per raccontare tutto ciò Solinas scelse un solo episodio della lotta algerina, un episodio significativo del come e del perché si potesse azionare quel processo irreversibile che porta all.indipendenza e alla libertà nonostante la sconfitta. L.episodio storico della battaglia di Algeri si risolse infatti in una sconfitta ma proprio da quella sconfitta nacque la rivolta delle masse che, nonostante tutto, in un processo irreversibile, si presero la loro libertà. Ed è in questo lavoro che si fa più chiara in Solinas la volontà di sviluppare e mantenere la storia su due livelli, qui rappresentati dai due protagonisti corali del film: la casbah da una parte, la parte europea della città e i militari francesi dall.altra, e in mezzo, a sé stante, il giudizio insindacabile della Storia che conduce il gioco con tutta la sua ineluttabilità, subentrando nel finale in cui il popolo si riversa sulle strade nonostante la sconfitta appena rappresentata dalle immagini. Il disegno di Solinas è impietoso, non risparmia la violenta rappresentazione delle atrocità di una guerriglia come fu quella di Algeri, evitando di schierare apertamente la narrazione su l.uno o sull.altro fronte: tanto è feroce la repressione francese, altrettanto lo è la ribellione algerina, in un gioco dialettico mai scontato, improntato all.assoluto realismo, e seguito perfettamente dalla direzione di Pontecorvo. La battaglia di Algeri assume valenza analitica, l.analisi del modo in cui nasce in un popolo oppresso la coscienza collettiva della rivolta, mantenendo tuttavia la portata psicologico individuale che spiccava in Parà (e come detto mutuata in massima parte da Fanon) con un salto di qualità rispetto al copione del .62: dal piano vagamente esistenzialistico in cui si sviluppa per larghi tratti la vicenda dello spietato ex-parà del primo, irrealizzato copione, a quello della costruzione di un personaggio, Mathieu, più complesso, con maggiori coordinate storiche che lo caratterizzano (non solo il suo ruolo nella battaglia senza confini contro i ribelli algerini, ma anche l.emblematica appartenenza alla resistenza antinazista francese durante la seconda guerra mondiale) e che pur non assumendo mai il peso del protagonista, può considerarsi la vera leva drammatica del film, il reale, fine, discorso psicologico che rende lo spettatore europeo veramente partecipe delle vicende, attraverso la creazione di una sorta di ponte culturale che lo lega a Mathieu. L’attenzione per lo spettatore non è mai mancata in Franco Solinas, e il fatto di trovare una chiave che potesse raccontare agli europei una situazione di cui sapevano ben poco, è uno dei problemi affrontati in sede di sceneggiatura. Il punto di partenza fanoniano nell’analisi degli accadimenti, mette d.accordo sceneggiatore e regista, ma è la figura di Mathieu, lo ribadiamo, a rendere il film coinvolgente per lo spettatore occidentale. Il pensiero di Mathieu infatti incarna l.occidente e si muove con una logica vicina alla comune intendere europeo. Si potrebbe addirittura dire, con una estremizzazione in funzione meramente esplicativa, che l’acutezza di Mathieu è per larghi tratti una proiezione del pensiero e dell’intelligenza di Franco Solinas il quale più volte si trovò a difendere, proprio di fronte ai suoi copioni, il suo essere comunque un occidentale europeo, che fondamentalmente aveva grande considerazione dei valori culturali dell.occidente.
Non fu un caso che il film, pur ottenendo il Leone D.Oro a Venezia, venisse osteggiato da più parti: il partito socialista e la democrazia cristiana lo ostacolarono, la delegazione francese a Venezia abbandonò la sala al momento della proiezione, mentre Ivens, regista in giuria, votò contro perché, al contrario, lo considerava troppo morbido proprio nei confronti dei francesi. Inoltre in Francia il film non ebbe il visto d.accesso fino al 1971, fu aspramente criticato dai maggiori quotidiani, che gli crearono attorno una atmosfera ostile. Un ostilità che si espresse materialmente nel momento in cui alcune sale che riuscirono a proiettare la pellicola furono fatte oggetto di atti di vandalismo da parte di ex combattenti, pieds noirs o colonialisti e addirittura tre di queste sale subirono altrettanti attentati dinamitardi.
Gianni Tetti