Co.Ri.S.MaLa Maddalena AnticaSanta Maria Maddalena faro di fede tra Corsica e Sardegna

Lapide marmorea con iscrizione in latino posta sulla facciata della Chiesa di Santa Maria Maddalena

Quando si decise di erigere una nuova chiesa (più o meno dove sorgeva la precedente), più grande ed imponente, degna di una base militare che ospitava la flotta del regno e il suo comandante Ammiraglio Giorgio Andrea Desgeneys, probabilmente non si prevedeva, che di lì a poco l’Isola sarebbe stata declassata ed impoverita col trasferimento a Genova del comando supremo della Regia Marina Sarda. La comunità aveva superato di poco i duemila abitanti. I lavori della chiesa iniziarono nel 1814 (si espropriarono alcuni terreni e si abbatterono alcune case), col valido aiuto della Regia Marina, e si conclusero probabilmente nel 1819, essendo parroco Giovanni Battista Biancareddu. Tutta la comunità, pur essendo povera, prestò materialmente la propria opera per l’edificazione del chiesa, le donne – soprattutto – trasportarono terra ed acqua. Per la realizzazione dell’abside e delle volte, che richiedevano materiale diverso dal granito, i padroni marittimi “maddalenini” portarono con le loro barche calcare e tufo da Tavolara e da Capo Testa. Nell’archivio comunale si conserva un documento, un lungo elenco con i nominativi di oltre 200 sottoscrittori, che non mancarono di dare il loro sia pur modesto contributo per il raggiungimento di una somma, però ancora molto lontana da quella che occorreva per il completamento dell’edificio. Da un altro documento rinvenuto nell’archivio comunale, risulta che nel 1822 mancava il pavimento e l’edificio non era ancora stato imbiancato. Sarà il Desgeneys, a sue spese, ad inviare quattromila mattonelle per la pavimentazione. Il pulpito e la balaustra marmorea giunsero nel maggio del 1827, e nel 1831, a bordo della goletta l’Ardita, potè giungere l’altare maggiore, che il Desgeneys – sempre a sue spese – aveva voluto donare alla comunità. Chissà quale non fu la commozione, quando il parroco Sebastiano Balistreri presentò il nuovo altare alla comunità composta per la maggior parte da discendenti dei “vecchi corsi”, i quali videro subito che esso era pressoché simile a quello della chiesa di Santa Maria Maggiore in Bonifacio. Il Desgeneys, probabilmente, aveva inviato delle persone di sua fiducia a Bonifacio perché riportassero il modello dell’altare che fece poi realizzare da artigiani liguri. Al completamento dei lavori della chiesa contribuì anche William Sanderson Craig, scozzese di nascita, che nella prima metà dell’Ottocento, frequentò l’arcipelago per tentare di riprendere il commercio della “roccella tinctoria”, commercio interrottosi alla fine del secolo.
Il Craig, aveva già dimostrato di essere sensibile alle esigenze della comunità presso la quale viveva: nel 1816 aveva partecipato, con l’offerta di uno scudo, alla raccolta di fondi per l’erezione della nuova chiesa e essendo anche abile pittore e disegnatore, nel 1822 aveva preparato – gratuitamente – il disegno del portale della stessa chiesa; l’opera fu commissionata dal Consiglio Comunitativo all’artigiano “mastro” Giovanni Bargone per 36 scudi, con l’obbligo di realizzarla in noce e castagno rispettando perfettamente il disegno. A tanto fervore dei fedeli non corrispose la presenza delle autorità religiose (anche se il Vescovo – nonostante la sede fosse in quegli anni vacante – contribuì con una somma pari a cento scudi). Il Desgeneys lo metterà in luce più tardi, quando scriverà al Consiglio Comunitativo, per dirimere una diatriba accesasi tra il Comune e il Vescovo per la collocazione di un quadro raffigurante la Vergine e la SS. Trinità, quadro donato da Pietro Azara Buccheri, sottolineando che quella chiesa apparteneva per due terzi alla Marina e per un terzo alla popolazione. Probabilmente, alla conclusione dei lavori nel 1819, venne apposta una lapide marmorea sul frontale della chiesa all’interno del timpano che sormonta il portale, lapide che nonostante il tempo e l’ammodernamento subito dall’edificio nel corso degli anni, ancora è visibile e il cui testo recita così:

DIVAE. MAGDALENAE
DUM. SIMUL. INSULA. PRAECLARA. EIUIS. NOMINE. APPELLATA
MONIMENTIS. INCUM. FIRMARETUR. NAVALE. PRAESIDIA. STATIVA
EXCITARENTUR. AUSPICE. NOBILI. VIRO. GEORGIO DESGENEYS
PINASCE. COMITE. MATHIAE. DYNASTA. CLASSIS. PRAEFECTO
SUPREMO. S. MAURITII. ET. LAZARI. INSIGNI. DECORATO
INCOLIS. PIETATE. STUDIO. OPERA. UNA. CERTANTIBUS
SUB. AUSPICATISSIMO. V. EMANNELIS. REGNO. AUGUSTUM
HEC. TEMPLUM. ANNO. MDCCCXIV. COSTITUTUM. DEDICATUM

QUESTO SACRO TEMPIO, DEDICATO A SANTA MARIA MADDALENA, È STATO ERETTO NEL 1814 SOTTO IL FORTUNATISSIMO REGNO DI VITTORIO EMANUELE, AUSPICE IL NOBILE GIORGIO DESGENEYS, CONTE DI PINASCA, SIGNORE (BARONE) DI MATHIE, COMANDANTE IN CAPO DELLA FLOTTA, ALTO DECORATO DELL’ORDINE DEI SANTI MAURIZIO E LAZZARO, E GAREGGIANDO TRA LORO GLI ABITANTI IN DEVOZIONE ZELO ED OPEROSITÀ, MENTRE L’ISOLA CHE DELLA SANTA PORTA IL NOME FAMOSO VENIVA CINTA DI TORRI DIFENSIVE E VI SORGEVANO UNA STAZIONE NAVALE E STABILI GUARNIGIONI.

Secondo l’interpretazione del Prof. Mattia Sorba, nella lapide è riportato “il testo in latino classico, bello, ricco, di stile elevato, scritto evidentemente da persona colta, anche se non privo di errori materiali di trascrizione (“EIUIS” in luogo di “EIUS” – “INCUM” per “CIRCUM” – “PINASCE” per”PINASCAE” – “EMMANNELIS” per “EMMANUELIS” e “HEC” per “HOC”), attribuibili, quasi sicuramente, al marmista incisore”.
In una ricevuta datata 22 giugno 1884, rinvenuta ultimamente nell’Archivio parrocchiale, si legge che fu ordinata una lapide ad una ditta di marmi e ardesie di S. Margherita ligure, di Giovanni Bisso. Il marmista dichiara nella ricevuta non soltanto le dimensioni della lapide, ma anche il numero di lettere incise, che confrontate con le dimensioni e il numero di lettere della lapide che ancor oggi si può vedere apposta sulla facciata della chiesa, perfettamente corrispondono. È probabile che proprio lo stesso marmista non abbia saputo leggere bene ciò che in quel momento stava per incidere, oppure che chi ne aveva rilevato il testo dall’originale.
Il testo menziona gli elementi base della comunità isolana all’epoca della costruzione della chiesa : la Santa Patrona, il benefattore Desgeneys (Comandante della flotta e fondatore della Marina Sarda), i fortilizi e le guarnigioni posti a difesa della Base Militare, il Re Vittorio Emanuele I, l’impegno della popolazione” gareggiando tra loro … in devozione zelo ed operosità”.
Diversamente da quanto ipotizzato da vari studiosi locali, concordi nel riconoscere l’autore del testo latino nel parroco dell’epoca G. B. Biancareddu, dopo una accurata analisi dei documenti custoditi nell’archivio parrocchiale e da lui redatti, si evince che lo stesso non doveva essere poi così ferrato in materia. Il testo fu, probabilmente, dettato dallo stesso Desgeneys.
Una lettera del 1819 del Desgeneys rinvenuta nell’archivio comunale, dimostra che costui conosceva bene la lapide posta sulla facciata della chiesa e il suo contenuto, tant’è che scrive: “di voler mandare al sindaco Domenico Variano e agli altri membri del consiglio comunitativo, per lo più illetterati, una traduzione dell’epigrafe, in modo che potessero comprenderla“. Chi meglio, quindi, del Desgeneys, il quale volle l’edificazione della chiesa e in gran parte provvide a finanziarla, ne acquistò l’altare maggiore, donò l’altare di San Giorgio, il pulpito, la balaustrata in marmo e alcuni oggetti sacri, in ultimo fece – con regolare testamento pubblicato a Genova il 10 febbraio 1839 dal notaio Raffaele Lavaggi – un lascito di “….scudi sardi otto equivalenti a lire nuove cinquanta, ed in perpetuo, tanto per l’elemosina di due Messe Cantate secondo la mia intenzione da febbraio l’una nel giorno della ricorrenza di S. Giorgio, l’altra nella ricorrenza di S. Andrea nella cappella del mio gius sotto l’invocazione di San Giorgio, quanto per la manutenzione della stessa cappella“. Chi meglio, quindi, del Desgeneys poteva dettare l’epigrafe? La chiesa fu dunque edificata e i documenti consultati e citati lo attestano.

Lino Sorba