Co.Ri.S.MaLa Maddalena AnticaSanta Maria Maddalena faro di fede tra Corsica e Sardegna

I lavori di restauro del campanile

Il 6 settembre 1904 l’ingegner Domenico Ugazzi, capo dell’ufficio tecnico del Comune, scriveva una lettera al Sindaco per informarlo che la parte superiore del campanile, dal parapetto dell’ultimo pianerottolo verso l’alto, presentava lesioni così importanti da pregiudicare la stabilità della costruzione; il tecnico stimava che la situazione era talmente pericolosa da far prevedere un crollo imminente. Sul momento, il Sindaco prese su di sé la grave responsabilità di non vietare l’accesso alla chiesa, limitando il suo intervento all’immediata emissione di un’ordinanza che imponeva al Parroco di usare tutte le precauzioni possibili durante la messa.

La situazione, comunque, richiedeva interventi indifferibili e per garantire la pubblica incolumità e la salvaguardia delle proprietà confinanti si attuò una procedura d’urgenza per demolire la parte pericolante della costruzione. In pochi giorni l’opera fu compiuta e il 22 settembre successivo, un cittadino maddalenino che era solito annotare nel suo diario gli eventi più importanti avvenuti in paese scriveva: “Il campanile della Chiesa di Santa Maria Maddalena minacciava rovina. Oggi 22 settembre 1904 demolizione della metà di esso”. La scarsissima documentazione esistente non consente di stabilire con precisione chi fu incaricato di realizzare il lavoro che, comunque, fu eseguito in economia; Gaetano Bombagi realizzò una parte dell’impresa fornendo e ponendo in opera le impalcature necessarie. Una volta ultimati i lavori, Ugazzi cercò un accordo con Bombagi per lasciare a pie d’opera i ponteggi già montati, in modo da risparmiare la spesa necessaria per il riallestimento, al momento dell’avvio dei lavori di ricostruzione; anche in questo caso la documentazione esistente è molto scarsa ma è probabile che Bombagi, dietro il compenso di una lira il giorno fino al 15 dicembre, tolse solo le tavole e lasciò in opera tutto il rimanente.

Esaurita la fase dell’urgenza, si avviò quella della ricostruzione della parte demolita; l’ingegner Ugazzi approntò il progetto. Il capitolato di appalto, che prevedeva una spesa di 3.015,68 lire, fu discusso e approvato dal consiglio comunale nella seduta del 3 novembre 1904; in aderenza alle normative allora vigenti, fu bandito un appalto da esperirsi mediante pubblico incanto, sulla base della somma stimata dall’ufficio tecnico del Comune. La gara andò ripetutamente deserta sicché i lavori furono avviati con un considerevole ritardo.

Non si hanno dati ufficiali relativi alla ditta che, alla fine, si aggiudicò la gara, né riguardo al prezzo offerto dalla stessa e al tempo impiegato per portare a termine l’impresa; alcuni indizi consentono tuttavia di poter affermare che la gara fu vinta dalla ditta Filippo Zicchina e che i lavori furono ultimati alla fine di settembre del 1905; nel suo diario, alla data del 30 settembre 1905, la stessa persona che aveva puntualmente preso nota della demolizione scrisse: ” Oggi è stato inaugurato il campanile costruito a metà nuovo”.

La demolizione e la successiva ricostruzione del campanile furono le opere di maggior impegno tecnico ed economico che dovettero essere affrontate in quel periodo, ma l’edificio della chiesa e le sue pertinenze furono ripetutamente oggetto delle manutenzioni che il Comune aveva l’obbligo di fare; si trattava, infatti, di un immobile che non era di proprietà comunale ma, essendo destinato al culto pubblico, le spese per opere di riparazione o di minuto mantenimento ricadevano sul Comune che, in determinate circostanze, era obbligato ad intervenire. Così, notizie riguardanti vari lavori a favore della chiesa si riscontrano in documenti di anni precedenti: nel febbraio/marzo del 1904, e quindi qualche mese prima dell’atterramento del campanile, la ditta Bombagi era già stata incaricata di eseguire alcuni lavori di riparazione alla casa parrocchiale. Motivi di ordine tecnico, connessi con l’esecuzione delle opere, obbligarono la ditta a sopraelevare il tetto di una casa di abitazione vicina, con l’assenso della proprietaria, Mariantonia Spano; la quale, a lavori ultimati, “avendo per il detto rialzamento sofferto la casa della propria estetica”, chiese al Sindaco la realizzazione di un soffitto; purtroppo, anche in questo caso, non si ha traccia della decisione del Consiglio Comunale, logicamente contrario a spese impreviste o non autorizzate preventivamente. Anche Bombagi, nella stessa circostanza, eseguì di propria iniziativa, senza l’autorizzazione comunale, alcuni lavori non previsti dal capitolato d’appalto ma, secondo lui, imprescindibili dal punto di vista tecnico e funzionale; per questi, chiese il pagamento di appena cinquantadue lire che la giunta municipale decise di non accordare.

Logicamente, anche negli anni successivi, il Comune continuò a prendersi cura dell’edificio: il campanile tornò nei pensieri dell’ufficio tecnico nell’ottobre del 1906 e nel novembre del 1911; nella prima delle due occasioni, in verità, più che il campanile fu la campana “grossa” a richiedere un sopralluogo che fu compiuto dallo scrupolosissimo ingegner Ugazzi; un cuscinetto entro il quale era alloggiato il perno della campana presentava dei difetti che furono eliminati con relativa facilità. Questo inconveniente, che si dimostrò di facile soluzione ma che era gravido di possibili pesanti conseguenze, ci dà modo di percepire i rapporti che in quel periodo intercorrevano tra il Comune e la parrocchia e ci consente alcune considerazioni: a capo del consiglio comunale era Alibertini, massone, noto e dichiarato avversario della chiesa mentre Don Antonio Vico era il Parroco.

La segnalazione del problema fu fatta dal Parroco con una nota molto asettica e formale che si chiudeva con un’altrettanto “formale protesta” che, per la verità, non aveva motivo di essere, dato che mai nessuna richiesta era stata avanzata alle autorità civili; per chiarire meglio il suo punto di vista, don Vico concludeva declinando ogni responsabilità. Il Sindaco non rispose direttamente al suo interlocutore ma, in una nota a margine, rilevava che l’assenza di segnalazioni precedenti escludeva ogni possibile omissione o colpa dell’amministrazione; e ordinava al segretario di contestare al Parroco le affermazioni fatte e concludeva con un irritato “quello non è modo di scrivere. Tanto per sua norma”.

La definizione di “grossa” assegnata alla campana lascia inoltre intendere la presenza di almeno un’altra campana più piccola della quale si fa cenno anche altrove; questo lascia piuttosto perplessi, perché la demolizione del campanile interessò in maniera particolare proprio la cella campanaria che dovette essere totalmente ricostruita. Nei disegni che l’ingegner Ugazzi allegò al progetto di rifacimento della struttura, la cella è ben visibile e in essa sembra esservi una sola campana; non si comprende, quindi, la necessità di distinguere tra una campana “grossa” e un’altra, eventualmente esistente, di minori dimensioni.

Un certo rischio per l’incolumità dei passanti si presentò nella seconda circostanza e fu determinato dalla banderuola metallica che svettava al culmine del campanile: si trattava di un inconveniente di minimo conto che era, però, foriero di gravi rischi per l’incolumità dei passanti, considerato il fatto che minacciava di precipitare al suolo. La cosa fu segnalata dal Parroco don Vico il quale, in una nota del 27 novembre 1911, rappresentava la necessità di rifacimento della facciata e, forse per dare maggior peso alla richiesta, metteva in allarme il Sindaco evidenziando la pericolosità derivante dall’instabilità del gallo posto sul tetto e dal possibile distacco di tratti di cornicione della chiesa. Declinando ogni responsabilità circa eventuali danni che potevano derivare dalla situazione che aveva esposto, il prelato chiamava implicitamente in causa quella dell’amministrazione e, in questa maniera, centrò in pieno il suo scopo: lo stesso giorno, con una lettera firmata da un funzionario comunale per conto del Sindaco, fu dato ordine al capo dell’ufficio tecnico di provvedere all’immediata rimozione del gallo, senza ulteriori disposizioni circa eventuali riparazioni. Anche in quest’operazione non sono chiari alcuni dettagli: Don Vico, nella sua lettera, parlava chiaramente di “gallo” ma in seguito, nel corso della trattazione della pratica, si parla sempre di banderuola. Anche in questa vicenda emerge dall’esame degli atti l’attrito tra il Sindaco Alibertini e il Parroco. Ci chiediamo, allora, come mai la disposizione non portasse la firma del Sindaco: è probabile, quindi, che il primo cittadino fosse assente ed è evidente che la persona che aveva ricevuto la segnalazione di don Vico non intendeva assolutamente rimanere coinvolta nella situazione che, in fin dei conti, la riguardava solo per caso. C’è da chiedersi, a questo punto, se il Parroco sapesse della temporanea assenza del primo cittadino e non sfruttò artatamente la situazione.
Il giorno successivo, l’ingegner Ugazzi dava conto dei risultati del suo operato: i fabbri fratelli Manno (gli stessi che attorno al 1906 avevano installato il manufatto) chiedevano quaranta lire per smontare il fregio, portarlo in officina e rimontarlo in posto. Il prezzo richiesto, in rapporto alla modestia del lavoro di riparazione, poteva apparire eccessivo ma la banderuola era sistemata in un luogo che, oltre ad essere di difficile accesso, era molto pericoloso. La procedura d’urgenza adottata risulta anche dalla successiva azione dello stesso Sindaco che, il 29 novembre, autorizzava Ugazzi a procedere, previo rilascio da parte degli artigiani di una dichiarazione che liberasse il Comune da ogni responsabilità!

La richiesta del Parroco di rifacimento della facciata riposò qualche tempo nella scrivania di qualche consigliere o di qualche funzionario ma, alla fine, fu redatto un progetto complessivo, che prevedeva una spesa di 1.825 lire, che fu posto nell’ordine del giorno della riunione del Consiglio Comunale del 3 ottobre 1914. La discussione si svolse in due fasi successive: nella prima si deliberò lo stanziamento della somma necessaria; nella seconda il Consiglio, all’unanimità, decise di procedere con le gare d’appalto. Gli amministratori ritennero che lo stabile, pur non essendo comunale, dovesse rientrare nelle competenze del Comune per la sua funzione di edificio adibito al culto. La tesi fu contestata dal sottoprefetto e ne nacque una piccola diatriba che si sarebbe forse risolta con una sconfitta del Comune; nel frattempo la delibera contestata divenne esecutiva per decorrenza dei termini e i lavori ebbero inizio.

Eventi di maggiore gravita incombevano: il 24 maggio 1915 l’Italia entrò in guerra e molte delle normali attività del Comune s’interruppero; la documentazione si fa più rara. Solo tracce si riscontrano nel 1926 e nel 1930: nel primo caso si tratta di una relazione che il geometra comunale, Cappai, presentò al Sindaco in esito a un’indagine disposta dal governo sulle condizioni di stabilità degli edifici pubblici. Nel secondo caso dobbiamo presumere che l’orologio sulla facciata fosse guasto dato che la ditta Bartoletti ricevette l’ordine di procedere alla riparazione.

L’orologio apparteneva al Comune e nel 1935 il Parroco, don Capula, affermò che questo aveva generato una servitù di passaggio su un terrazzino e sul cornicione “appositamente adattato”; con questa argomentazione, il Parroco segnalava la necessità di urgenti lavori e richiamava le leggi che imponevano ai comuni l’onere della manutenzione degli edifici sacri.

Alberto Sega