Le bombe sulla chiesa
Nella lettera che Nicolò Susini Ornano scrisse il 29 ottobre 1858 al cugino ammiraglio Albini, sul tentativo di attacco francese a La Maddalena del 1793, sono riportate alcune notizie relative alle bombe lanciate dall’artiglieria di Napoleone e cadute sulla chiesa parrocchiale. Il fatto che esse non avessero causato danni al tempio è stato considerato quasi un miracolo e ha dato origine a racconti considerati leggendari, destinati a glorificare la scelta dei maddalenini di difendere la loro nuova patria contro gli antichi corregionali.
Quando Napoleone portò la sua batteria alla Puntarella di Santo Stefano, aveva dinanzi il borgo di La Maddalena sul quale emergeva la chiesa, in posizione dominante. Non meraviglia, quindi, che questa fosse nel mirino dei francesi non tanto perché simbolo della comunità che si voleva abbattere quanto, più semplicemente, perché era l’edificio più alto e più visibile contro il quale diventava più facile sparare. Il numero delle bombe dirette sulla chiesa furono, secondo Susini, almeno sei. La prima, penetrata all’interno attraverso il tetto “senza fare scoppio“, non provocò danni; la seconda colpì l’angolo dell’edificio, la terza e la quarta caddero sulla casa Ferracciolo attigua alla chiesa (quella stessa casa che fu poi demolita per consentire l’ampliamento nel 1814); la quinta “scoppiò” nella piazza danneggiando le case vicine e, infine, quella che diede origine alla leggenda, entrata dalla finestra della facciata, e caduta ai piedi della statua della santa patrona senza conseguenze. Altre danneggiarono alcune case.
Gli studiosi che esaminarono gli avvenimenti del 1793, interessati soprattutto alle vicende militari, non diedero molto peso a queste affermazioni; Garelli, invece, mise in dubbio la veridicità di tutte le affermazioni di Susini e dei suoi presunti informatori, dimenticando che, malgrado fossero passati 60 anni circa dagli avvenimenti, Susini poteva contare su testimoni di eccezione: infatti la sua famiglia era molto legata a quella di uno dei principali protagonisti dei fatti, Domenico Millelire, la cui figlia Anna Maria era moglie di Francesco, fratello di Nicolò, e Nicolò stesso aveva sposato una figlia di Antonio Millelire fratello di Domenico; anche alcuni dei danneggiati dal bombardamento erano parenti o molto vicini a queste famiglie.
Ma allora perché Garelli definiva lo scritto di Susini “inesatto e incompleto“? Vero è che la data di inizio delle ostilità citata nella lettera, non è il 21, ma il 22 e, quindi, tutti gli avvenimenti successivi vanno adeguati, ma Garelli rimprovera anche un certo tono troppo apologetico nei confronti dei difensori locali sminuendo, di fatto, le testimonianze raccolte. Si ha l’impressione che l’autore soffra del fatto che Susini non nomini mai De Constantin e anzi, affermi che le due mezze galere e una galeotta si siano allontanate dalla zona di combattimento: “temendo imminente lo sbarco del nemico, infruttuosa la loro resistenza ed inevitabile la loro presa si ritiravano in tempo alla Moneta“.
Che fine hanno fatto le bombe inesplose? Quella recuperata al Molo, dice Susini, è stata sistemata sul piccolo monumento innalzato in occasione della visita di Carlo Alberto. Secondo Valéry e Spano-La Marmora la bomba caduta all’interno della chiesa, nello spazio di sepoltura, sarebbe stata venduta dal consigliere Francesco Susini (fratello di Nicolò) all’inglese Craig. Quest’ultimo, poi l’avrebbe regalata all’imperatore Napoleone Terzo.
Signor Cugino carissimo La Maddalena 27 8bre 1858
Dopo fatto le più accurate indagini, per mezzo di documenti, e di schiarimenti presi dalle persone più annose di questo paese, mi è riuscito raccogliere le seguenti nozioni sull’approdo della flottiglia francese in queste acque, che per pagamento del di Lei desiderio mi affretto a porgere.
Nel 1793 comandava quest’isola un certo Signor Ricci, il quale avendo appreso da un Patrone di barca pescareccia, imminente l’approdo della predetta flottiglia, ne rendeva immantinente consapevoli i popolani, i quali senza frapporre indugio facendo partire le loro rispettive mogli per Tempio, e per altri villaggi della Gallura, ed assieme i figli il cui braccio non era atto al maneggio delle armi, onde poter con maggiore intrepidezza apporre resistenza all’invasione del nemico; e contemporaneamente s’improvvisava un bandiera, attualmente esistente nell’archivio di questa chiesa Parrocchiale, coll’effige del crocifìsso, e a pie della quale, la immagine di S. Maria Maddalena, dipintovi il paese ed il forte S. Andrea, sul quale svenolava la stessa bandiera nei tre giorni del combattimento, colla seguente inscrizione “Per Dio e per il Re, o vincere o morire”.
Era il giorno 21 febbraio del precitato anno, quanto la flottiglia anzidetta, composta d’una corvetta e ventidue legni latini appariva a mezzo Schifo, dove si pose all’ancora la sola Corvetta, e gli altri legni approdarono al porto di Villamarina, da dove sbarcarono all’isola di S. to Stefano ottocento circa uomini. Non si tosto ancorava la Corvetta, che apriva il fuoco contro due mezze galere ed una galeotta sarda, che trovavansi ancorata nel porto di Cala Gavetta, né diversamente operava contro del paese.
Molestato però quale legno francese dalle palle che vomitavano i cannoni del forte Balbiano, e dalle palle infocate che saettava una batteria piantata preventivamente dai nostri sul luogo detto le Teggi, salpava immediatamente l’ancora, e si riuniva agli altri legni ancorati nel porto di Villamarina; ed i tre legni sardi comandati allora dal Sig. Cav, De Costantini, temendo imminente lo sbarco del nemico, infruttuosa la loro resistenza, ed inevitabile la loro presa, si ritiravano di tempo alla Moneta; e facendo passaggio tra S.to Stefano e l’isolotto della Cala Chiesa, venivano fulminati da una grandine di palle dei fucili dei francesi, che a S.to Stefano dal luogo detto la Puntarella piantavano la batteria con mortai da bombe, e due cannoni, Da qui la mattina del 22 stesso mese questa batteria nemica apriva il fuoco contro del paese, dirigendo la prima bomba alla Chiesa Parrocchiale, che piombò sopra il tetto e cadde all’interno della medesima senza far scoppio; la seconda battendo all’angolo della stessa chiesa a parte di ponente, scoppiò e ferì sul volto del fu Simone Ornano, mentre armato correva alla difesa, onde ottenne la pensione d’invalido mercantile; la terza e la quarta caddero sul tetto della casa d’abitazione del fu Giuseppe Ferra-ciolo, attigua alle stessa Chiesa il di cui scoppio danneggiò non lievemente la stessa casa: la quinta scoppiò nella piazza della Chiesa medesima, e danneggiò varie case vicine ed una palla da cannone entrata dalla finestra del prospetto della stessa Chiesa, piombò a pie della Statua di S.ta Maria Maddalena, senza che abbia fatto danno. Una bomba caduta sulla casa d’abitazione del fu Paolo Martinetti, una sulla casa del fu Michele Costantini scoppiarono e non fecero minor danno. Una colpì il tetto della casa del fu comandante Millelire la quale scoppiò, ed il pezzo della medesima trovasi tuttora in potere della sua famiglia; ed una caduta sulla piazza del molo, venne raccolta dal fu mio padre, ed è quella che trovasi attualmente collocata sul vertice di una piccola piramide, innalzatasi nella fausta occasione nella quale venne visitata la Maddalena dalla felice memoria d’istinto Sovrano Carlo Alberto.
Mentre però talmente molestavano quell’isola le bombe del nemico, questo non restava insalutato dai nostri cannoni, che vomitavano fuoco dal forte S.to Andrea, né diversamente lo complimentava una batteria piantata dai nostri di notte tempo in uno degli isolotti dell’oro in vicinanza dello stintinno, littorale della Sardegna, fulminando delle palle infuocate sui legni ancorati nel porto di Villamarina, per cui il giorno 24 dello stesso mese, dopo aver fatto bottino del bestiame che pascolava a S. to Stefano, abbandonarono il campo, lasciando nell’isola suddetta un mortaio da bomba e due cannoni di bronzo; e dicesi che il mortaio sia stato trasportato ad Alghero, quantunque s’ignori il quando e da chi.
Nei tre giorni del conflitto però i nostri intrepidi isolani, posponendo l’affetto coniugale e l’amore alla difesa della patria e del Sovrano, si temano schierati nella sponda del mare, attendendo a pie fermo lo sbarco dei nemici, disposti a far del loro petto un baluardo, ed a dar prove non equivoche ai francesi, che l’iscrizione della loro bandiera che sventolava sul forte S.t’Andrea colle due espressioni “o vincere o morire”, era stata dettata dall’intimo del loro cuore.
I popolani in quella circostanza diedero tutti prove non dubbie del loro zelo, e coraggiosa fermezza; e segnatamente il fu Domenico Millelire allora Nocchiere, che per distinto premio del comprovato valore, con Regio Diploma del 7 gennaio 1794 fu decorato della medaglia d’oro, e gli venne accordato un trattamento di lire annue 200; ed il Timoniere allora Tommaso Zonza, non che il marinaro fu Antonio Alibertini, che si disimpegnò specialmente con sommo vantaggio dell’incarico di stabilire ed adoperare le forgie per arroventare le palle dei cannoni, onde ne risultò il più felice esito a danno del nemico, furono questi con regio diploma datato il 29 aprile 1793 decorati d’una medaglia d’argento col emblema del valore, e beneficiati di un trattamento annuo di lire 150.
Tanto ho l’onore di farLe conoscere in riscontro al pregiatissimo di Lei Foglio, nell’atto che augurandomi favorevoli occasioni a servirla passo a dichiarami col più destino ossequio e sincera stima
Di Lei aff.mo Cugino
fito Nicolò Susini
Antonio Remigio Pengo
Traguardo a pendolo per dirigere le bombe, costruito da Napoleone Bonaparte quando era semplice ufficiale di artiglieria alla spedizione di Corsica in Sardegna. Fu preso all’isola di Santo Stefano nelle Bocche di Bonifacio dal signor Giovanni Ornano ufficiale della Marina Sarda, quando fu costretto dalla forza d’abbandonare la posizione lasciandovi un mortaio a bomba e lo strumento.