Co.Ri.S.MaLa Maddalena AnticaSanta Maria Maddalena faro di fede tra Corsica e Sardegna

La religiosità nell’arcipelago della Maddalena

La storia della religiosità nell’arcipelago tra le Bocche affonda le sue radici in Corsica ed una ancora più lontana matrice vorremo trovarla nel mar Tirreno nell’isola di Montecristo, che fu una delle isole dell’arcipelago toscano dove sbocciarono virgulti di cristianità con agganci locali.
La sequela di medioevali conventi, eremitaggi o cenobi documentati nelle isole dell’arcipelago maddalenino non è riferibile solo al Duecento, quando la storia ufficiale se ne interessò; la loro esistenza doveva essere molto più antica: si è propensi a pensare addirittura al V secolo, quando si andarono formando in tutto il Tirreno le prime comunità di eremiti di stampo orientale. Solo una attenta analisi archeologica potrebbe confortare lo studioso; è questa l’ipotesi della studiosa corsa Moracchini Mazel, da poco scomparsa, che per prima così si esprimeva a riguardo delle tracce tangibili, in elevato della muratura della cappella di Santa Maria di Lavezzi, unica presenza nel territorio sardo-corso studiata con un metodo scientifico nuovo, con scavi archeologici del CNR francese organizzati in equipe di studiosi universitari delle più varie discipline.

Oltre il convento di Lavezzi e quello della Trinità di Bonifacio vi erano altri conventi facenti parte di una sorta di rete di mutua cooperazione tra le isole delle Bocche di Bonifacio:
– quello di Santa Maria in Celsaria inter insulas Budellis (tra i Budelli, così si chiamavano le tre isole a Nord) ora denominata Santa Maria;
– quello di Sant’Angelo di Porcaria, l’odierna isola di La Maddalena che conserva solo una traccia nel toponimo ancora oggi utilizzato di Cala Chiesa dove della primitiva chiesa ivi esistente nel tempo si sono perse le tracce;
– quello di Santo Stefano nelle Buxinarie (Buxinarie erano le isole più vicine alla costa della Gallura), probabilmente il più piccolo tra i cenobi delle isole sardo/corse, (così si spiegano i lasciti testamentari più esigui a suo favore) ricordato da un portolano medioevale, il Compasso de navegar, molto usato da chi andava per mare nel XIII secolo. Probabilmente doveva esistere qualcosa anche sulle altre isole, come a Caprera ma non è documentato con certezza e qualcosa sulla costa gallurese come si sostiene in uno studio condotto col progetto europeo INTERREG.

Se fossero confermate le indicazioni contenute nel Portolano dell’isola di Sardegna, scritto da Giuseppe Albini nel 1843, ai conventi medioevali accomunati sotto l’ordine benedettino doveva aggiungersi anche una cappella, eretta nel 1283 dal comandante pisano Rosso Buscarino sotto le pendici della leggendaria torre di difesa da lui costruita nel zona più elevata dell’isola Maddalena, che quindi potrebbe essere considerata la prima cappella magdalenica nell’isola che da lei prende il nome, se si da per autentica la conta che fa in tempi non sospetti, addirittura nel 1762, delle cappelle dell’arcipelago il presbitero genovese Leandro Serra che le nomina come in rovina ma precedentemente esistenti. Nell’elenco tra le altre infatti compare una cappella dedicata a Santa Maria Maddalena di cui non avevamo tracce documentali, ma che potremmo assimilare alla anonima cappella pisana eretta da Rosso Buscarino.

Tra i conventi e conventucoli sardo-corsi la più importante istituzione ancora oggi attiva è quella della Trinità nei pressi di Bonifacio, che trova nella nostra chiesetta campestre della Trinità maddalenina la sua omologa con la dedica più logica, una volta persa quella di Santa Maria Maddalena, dopo cioè che la parrocchia magdalenica era stata spostata alla marina; una dimostrazione tangibile dell’antico culto trinitario che fu tramandato oralmente fino alla fine del 1700 e che anche oggi ricalca l’antica derivazione culturale maddalenina da quella bonifacina che, a sua volta, rimanda alla matrice comune ad entrambi cioè il culto a san Mamiliano di Montecristo.
Un sistema quindi, o una rete di 5/6 luoghi consacrati, con cappellette, cimiteri e primitive dimore in grotte per le modeste comunità religiose annesse, tra di loro in rapporto di mutuo scambio sociale, pur mantenendo una certa indipendenza economica, essendo nominati in fila gerarchica nei molti lasciti testamentari conservati negli archivi genovesi di castellani bonifacini che a loro assegnarono beni materiali a favore delle loro anime in pieno Medioevo.
Le chiese di questo tipo, estremamente spoglie, erano formate da un unico vano voltato; per economizzare anche un lato della costruzione, si sfruttavano le rocce preesistenti,addossandovi la muratura a fango in cantonetti di granito irregolari, recuperati sul terreno. Si costruiva in luoghi dove era presente acqua dolce, dove i massi granitici creavano ripari per le bestie e servi (alle dipendenze dei religiosi), e in posizione tale da non essere visti dal mare, giacché la minaccia barbaresca era sempre in agguato. Nel 1400 si assiste all’abbandono di tutti i conventi a causa delle incursioni saracene, mentre la vita dei pochi religiosi rimasti si sposta a Bonifacio. Nelle radici complesse del culto cristiano nell’arcipelago va analizzata anche la tradizione che lo identifica come luogo di deportazione di santi o di fatti miracolosi colà ambientati in agiografie: si tratta di una tradizione ormai quasi obsoleta, persa nella memoria comune ma recuperata a livello di ricerca documentale in citazioni bibliografiche rare o totalmente sconosciute ai più, ma riportate alla luce attraverso studi recentissimi e ancora in divenire.

Si conoscevano fin dall’Ottocento gli studi su papa San Ponziano e Sant’Ippolito che una tradizione dà per dimoranti nell’arcipelago in esilio e colà riappacificati dopo lo scisma che vide il papa Ponziano e l’antipapa Ippolito uno contro l’altro. La tradizione era viva ancora nel 1700 come si deduce dalla famosa lettera del sacerdote genovese Leandro Serra al Vescovo di Civita e Ampurias nella quale, chiedendo per sé il beneficio ecclesiastico del priorato di Santa Maria de Budellis, nomina tutte le cappelle nell’arcipelago conosciute o ricordate come esistite nella memoria collettiva: “Santa Maria Maddalena, San Stefano, Santa Maria, San Ponziano ed altre”. L’elenco del Serra che parla di rovine di cappellette e quindi di un probabile culto a loro dedicato si sarebbe potuto riempire di molti altri santi che oggi sappiamo, documentati in studi agiografici riscoperti recentemente, aver sostato, per tradizione, tra le nostre acque ma naturalmente non è rimasta traccia tangibile al di fuori del solo toponimo rintracciabile e riconducibile al nostro arcipelago o meglio al toponimo con cui era conosciuta un’isola o un gruppo di isole tra la Corsica e la Sardegna.

Quindi oltre a Ponziano e al presbitero Ippolito di cui si hanno tracce documentali anche nell’isola corsa di Cavallo sono da ricordare:
– San Saturnino martoriato in loco Torasum o Tozarum citato nella legenda Sancti Saturnini scritta da Anastasio Bibliotecario (Torar per alcuni studiosi corrisponderebbe a Caprera e Toraio ad un luogo in Corsica e in Gallura);
– i santi Gavino, Proto e Gianuario dalla legenda Sancti Gabini in insula Carnicularia o Cunicularia (per insulae cuniculariae, dei conigli o dei cuniculi si intendevano tutte le isole dell’arcipelago sardo-corso);
– i santi Mamiliano, Lustro, Vendemio e Aurelio in insula Torraio o Ul-turaio nel codice san Matteo di Pisa;
– San Ranieri di Pisa nell’isola Bucanaria (Buxinaria) nella vita di san Ranieri per un miracolo colà accaduto;
– santo abate Aigulfo e dei religiosi suoi partigiani, li misero crudelmente a morte nella piccola isola di Amatuna, posta fra la Corsica e la Sardegna, dove li avevano condotti.
Una tradizione che ha un riscontro toponomastico ancora vivo nell’Ottocento è quella di Stefano eremita a Caprera, ricordato ancora oggi dal toponimo caprerino di Poggio Stefano (1)

L’unico reperto archeologico forse medioevale di cui si ha purtroppo solo memoria scritta, essendosi perso il manufatto, è la pila dell’acqua santa ritrovata da Garibaldi e dai suoi figli in un dissodamento di terreno alla Tola, citato nel libro di Rosi Tommasi Morais “Caprera l’isola sacra”.

Per la questione dell’ubicazione del convento di Porcaria nell’isola di La Maddalena abbiamo detto che solo il toponimo che ha resistito nel tempo fino ai giorni nostri di Cala Chiesa o Cala di Chiesa conferma che in quella zona dovesse ritenersi plausibile la presenza di una chiesa o perlomeno di una cappelletta che dai documenti antichi, quali registri di decime pagate alla Curia o al Vaticano direttamente sappiamo intitolata all’arcangelo Michele. Nei documenti è identificata come Sant’Angelo in Porcaria.

Nel documento del seppellimento di Domenico di Gerolamo del luglio del 1714 si cita la cappella in rovina quindi non più officiata probabilmente senza tetto ma ancora rintracciabile.
– nella Relazione Rocchetta 18.11.1767
A Cala della Chiesa si scoprono vestiggie di un Tempio e d’un vecchio edifìcio asomigliante ad un magazeno, lo che mi fa credere esservi anticamente stata una maggior populazione in codest’isola; che però interrogati li abitanti se nulla sapino rispetto alle due qui sopra menzionate rovine, mi risposero aver essi inteso da loro antenati che da molto in dietro era stata l’isola abitata da Siciliani, quali indi l’abandonarono, senza però sapermene individuar i motivi.
– nel Registro dei morti della parrocchia di Santa Maria Maddalena che certifica il seppellimento di Francesco Ornano, nel 1774 a Cala Chiesa.
Nella nostra ricerca della medievale cappella di Sant’Angelo, per cercare di cogliere con più precisione la sua ubicazione, abbiamo confrontato mappe della zona con preesistenze antiche, favoriti dal fatto che alcune citazioni ottocentesche parlano di remote vestigia di muri a secco attribuibili alla chiesa e, avendo il conforto di testimonianze orali moderne attestanti ritrovamenti di ossa umane proprio nella zona più circoscritta di Cala Chiesa bassa nel terreno già dei Polverini poi Olivieri, ci siamo convinti che in quella zona debbasi trovare l’antico convento o perlomeno la piccola chiesa di Sant’Angelo.
Un’altra cappella esistente all’isola era quella dell’antico cimitero settecentesco, costruita da Agostino Millelire che vi aveva riconosciuto il diritto di seppellimento per sé e per la moglie.

Antonio Frau

1. Per la questione dell’ubicazione a Caprera di cappelle, conventi e quant’altro di religioso, rimandiamo a quanto scrisse la Ginevra Zanetti nel suo I Camaldolesi in Sardegna, la confutazione del Panedda su Gallura e il mio articolo Bagliori e abbagli su Almanacco Gallurese 1997-98.