L’isola controcorrente
Con l’ultimo sguardo rivolto verso il mare, avvolto nella coltre della nuda terra, così ha voluto lasciare il mondo Gian Maria Volonté, morto in Grecia, mentre girava un film, e seppellito a La Maddalena, l’isola che aveva già affascinato Napoleone il generale, Nelson l’ammiraglio, Verne il romanziere, Franco Solinas il regista e tanti altri. Volonté, l’attore dai mille volti complessi e studiati, ma così naturali per lui, l’attore con l’anima di Aldo Moro tanto che sembrava che ne avesse anche il volto, il protagonista di “Cristo si è fermato ad Eboli”, andava a ritrovare se stesso e la propria interiorità, l’isola che ciascuno di noi ha dentro, a La Maddalena. “Isola amata, incanto di antica favola, tu non offri soltanto le tue grazie. Maternamente accogli i tuoi figli stanchi in cerca di pace e le ferite della vita fasci loro con bende di camiciole di creature, bandiere d’amore asciugate in alti balconi” dice il poeta locale Antonio Conti a quanti, l’isola, proprio per la sua caratteristica di essere fuori del mondo, forse più nel passato di quanto non lo sia oggi, ha suscitato i pensieri, smosso l’immaginazione, ridato la vita, stuzzicato la fantasia, ispirato il poeta, insomma regalato molto.
“Qui diventi poeta come niente / e altrimenti io, che sono un ignorante / che legge e scrive assai miseramente / non avrei composto certo questi versi./ Sono poeta perché ho davanti / mari meravigliosi e cieli tersi“. Quanti scrittori sono stati ispirati, quanti si sono estraniati nella loro isola. Perché ognuno cerca il suo paradiso isolato, e Volontè aveva scelto, tra tutti, La Maddalena. E ci andava nei momenti più diversi dell’anno, con il sole e con la pioggia, quando il mare è un lago o è in tempesta, quando il vento, l’amico più fedele delle isole, infuria e fa da padrone.
Ma perché abbia scelto La Maddalena, un’isola tra le mille isole del mondo, forse, non è così difficile da comprendere. Magari, perché un po’ si assomigliavano, si specchiavano riconoscendosi. Bella come un paradiso terrestre lei, bello e affascinante lui, intensa e montuosa lei, con il viso forte e segnato lui, attaccata da più parti, offesa, invasa ma sempre uguale a se stessa lei, trasformista, in continua trasformazione, ma sempre fedele ad un proprio progetto lui. Un progetto che era anche un’idea politica, palese e palesata nelle interviste, nei cinegiornali e nei film che diresse e interpretò: da “Dedicato a Giuseppe Pinelli”, l’anarchico morto nella questura milanese, a “La tenda in piazza” sulle fabbriche occupate e su una manifestazione di lavoratori in piazza di Spagna, a “Reggio Calabria” sui moti neofascisti nel capoluogo calabrese.
Con quella stessa coerenza con la quale decideva di interpretare un ruolo, sempre impegnato, quasi monografico, quasi un monologo. “O accetto un film o non lo accetto in funzione della mia concezione del cinema – diceva – E non si tratta qui di dare una definizione del cinema politico, cui non credo, perché ogni film, ogni spettacolo, è sempre politico”. Tanto che dal cinema, senza togliergli nulla, sembrava di passare al palcoscenico di un teatro che più volte, tanti, hanno paragonato alla vita.
Perché anche questa era una delle capacità dell’uomo Volonté: recitare la vita, con una abilità tutta sua e che pochi attori hanno, con un fine da raggiungere, un messaggio sempre coerente, un filo conduttore che accomuna quasi tutte le sue pellicole.
“Essere un attore è una questione di scelta che si pone innanzi tutto a livello esistenziale: o si esprimono le strutture conservatrici della società e ci si accontenta di essere un robot nelle mani del potere, oppure ci si rivolge verso le componenti progressive di questa società, per tentare di stabilire un rapporto rivoluzionario fra l’arte e la vita”.
Incisive e coraggiose queste sue parole, portatrici di una nuova visione del cinema, ma anche della vita. Una visione più impegnata, più coinvolgente, anche rischiosa, dove l’attore Volontè si schierava, si differenziava, creando dei precedenti. Allo stesso modo, unici e propedeutici per gli altri erano i suoi ruoli, scelti con cura e le sue interpretazioni così essenziali, ragionate, intense, tutte testa e cervello ed espressione del viso e dello sguardo, intenso, diretto, come lo è l’isola della Maddalena, quando la vedi per la prima volta e che Volontè l’attore, l’uomo, scelse più di una volta.
Dice di lei Conti: “Ti vedo correre per stradette ombrose / amoreggiare con il sole / nelle piazzette, / arrampicarti allo Spiniccio / e diventare presepio, / odorare il mare / e farti bella / come donna addormentata / al primo sonno. / T’ho conosciuta / profumata di sorrisi / ti voglio ricordare / piena di malinconia / perduta in un tramonto”.
Uno sguardo emblematico, sferzante quello di Volontè, tanto che “Gian Maria Volonté sguardo ribelle” è il titolo di una rassegna cinematografica che hanno dedicato all’attore a Roma, nel dicembre del 2004, tanto che il critico cinematografico Simonetta Robiony dice di lui “bianco e severo, la bella faccia segnata da rughe che s’immagina più di pensieri che di età”.
Fortemente connotati il volto e l’atteggiamento, coerenti le scelte, inconfondibile attore tra gli attori, come inconfondibile tra le isole è la Maddalena, con i suoi spazi ridotti, a dimensione umana e per questo tanto essenziali, i colori netti, forti, con un individualismo forse più segnato di altri e con un mare, un’acqua, un cielo che Volonté amava cercare con la sua barca, scrutare, vivere. Un’isola fatta di sostanza, difficile, a volte anche contestatrice come lo erano i film dell’attore, naturalmente votati alla discussione, non di quelli che lasciano poco o niente dopo essere stati visti, ma che fanno riflettere, quasi obbligano a mettere in moto il giudizio, la coscienza, come fa l’isola della Maddalena che, con i suoi problemi, le sue incongruenze, i pesi che porta addosso, costringe a schierarsi, ad esserci.
Chiusa, con un mondo tutto suo da scoprire e che spesso si scontra con il resto del mondo, questo è La Maddalena, come era Volonté, controcorrente, con le sue scelte, come con le sue parole contro la pena di morte. “Non è esatto dire che sullo schermo io racconto sempre la morte; mi sembra più esatto dire che i miei film sono una sequenza ininterrotta contro la pena di morte e contro la cultura della morte”. Lui che odiava la guerra e che la vide prima di morire: stava girando il suo ultimo film, in Bosnia.
A. Deleuchi