La Maddalena AnticaStorie e ricordi di granito

L’organizzazione di Cava Francese

La comunità degli scalpellini di Cava Francese aveva una organizzazione tutta interna che la faceva somigliare ad una Repubblica in miniatura (sia pure finalizzata agli interessi padronali). Del resto in uno spazio non proprio grande dovevano convivere cinquecento persone, ai quali, in molti casi. andavano ad aggiungersi anche i rispettivi famigliari, vecchi e bambini compresi. Necessario quindi organizzarsi e farlo al meglio dotandosi di alcuni servizi che la rendevano sempre meno dipendente dalla città. Uno di questi fu “la cantina”, in un grande capannone proprio di fronte al mare, che era gestito da Ugo Martelli. Si trattava di un vero e proprio grande magazzino (un pò come erano i piccoli negozi nei paesi dove potevi acquistare di tutto; dalla pasta al filo) con generi alimentari e capi di vestiario. La novità consisteva nel fatto che invece di usare la moneta italiana si pagava con i “Ghignoni”, una moneta di rame, che i proprietari della cava facevano coniare a Genova e poteva circolare solo ed esclusivamente all’interno della cava. Le ore che non si passavano al lavoro (ma dovevano essere state poche) erano trascorse bevendo qualche fiasco di vino, giocando a carte, a morra (soprattutto i galluresi) o a bocce (gioco preferito dai continentali) e ci sarà stato pure qualcuno che si sarà dilettato di pescare visto che il mare rappresentava il solo orizzonte visibile. La comunità disponeva di un forno comune che consentiva alle donne di cuocere il pane a turno. C’era il calzolaio che aveva una mini bottega in una stanza al centro dell’edificio più grande, il barbiere che prestava la sua opera alla fine della giornata lavorativa, essendo egli uno scalpellino taccaiolo. Per molti anni il taglio dei capelli e della barba fu fatto da Domenico Putzu, giunto a Cava Francese da Luogosanto, il taglio costava una lira e poche erano le possibilità per il cliente di avere un riscontro dell’opera guardandosi allo specchio, doveva fidarsi, del resto non vi erano alternative.
Anche per la morte si era, per cosi dire, indipendenti i falegnami della ditta preparavano la bara gratuitamente ed il morto, dopo la veglia funebre, veniva accompagnato a Maddalena, atteso all’altezza di Punta Nera dove era il parroco e il resto della processione.
Funzionò, dal 1921, anche una scuola elementare con i doppi turni; i più piccoli frequentavano di pomeriggio, i più grandi la mattina perché molti di loro la sera aiutavano i fabbri che dovevano aggiustare le punte che venivano usate per i lavori della cava.
Pochi i giorni di festa oltre a quelle del Natale, della Pasqua e del primo Maggio. Uno era dedicate a Santa Lucia, patrona degli scalpellini l’altro era la festa del carnevale per il quale si organizzavano i balli che vedevano anche la partecipazione dei maddalenini.
Anzi era questa una delle poche occasioni dove le due comunità si incontravano; evidentemente lo spirito del carnevale incoraggiava l’incontro che poi nel resto dell’anno si faceva rado, tanto che una vera e propria integrazione tra la variegata comunità degli scalpellini di Cava Francese e quella de La Maddalena non vi è mai stata.
Ma i rapporti erano buoni anche perché molti scalpellini, e alcuni considerati dei veri e propri maestri, erano maddalenini: quaranta di loro nel 1958 partirono per l’Egitto, In precedenza quindici erano andati a lavorare in Algeria con un contratto di 100 franchi al giorno.
La crisi di Cava Francese era cominciata nel 1929, quando l’economia nazionale risentì del crollo di quella americana. Nel giro di una quindicina di anni la cava si svuotò, e questa volta definitivamente. Le maestranze trovarono lavoro nel nord Africa (Algeri, Egitto, Tripoli), in Corsica, in Francia. in Svizzera. Si disperdettero tante professionalità e fu anche l’avvio del definitivo tramonto del mestiere dello scalpellino. Alcuni tentativi fatti negli unni Cinquanta (a La Maddalena vennero organizzati dei corsi di formazione professionale) non diedero i risultati sperati.
Verso il1967 i pochi scalpellini rimasti a Maddalena, una ventina costituirono una cooperativa che espletò la sua attività in Gallura nelle cave di Monti Canu per una decina d’anni fornendo tra l’altro, banchine per Portoscuso, Calasetta, Santa Teresa e Maddalena.
Fu la mancanza di lavoro, divenuta generalizzata a seguito dell’arrivo sul mercato di nuovi materiali che rese sempre più marginale il lavoro dello scalpellino. Anche la coscienza comune ne aveva decretato la fine tanto che nei paesi del Goceano circolava il detto: “ticchiti, ticchi, sempri martelli e mai ti arricchisci“. Lavorare la pietra non ti renderà mai ricco.