Nota sulla iconografia del nocchiero Domenico Millelire
Nella storia recente non esiste personaggio, anche minore, che non sia stato rappresentato attraverso una immagine, un ritratto o uno schizzo, magari non somiglianti ma “adeguatiʺ, realizzati direttamente o a memoria da qualche artista o testimone. Per Domenico Millelire non posso credere che sia successo diversamente. In effetti, esistono ben due ritratti, a lui riconducibili, ma a prima vista, diversissimi tra loro, tanto che, proprio per la loro differenza, risultano difficilmente attribuibili alla vera effigie del nocchiero maddalenino. All’analisi del soggetto ritratto, la disuguaglianza non può trovare giustificazione nella rappresentazione della stessa persona in età differenti anche se la connotazione fisiognomica non risulta molto diversa. Infatti, grandi occhi, naso leggermente aquilino, bocca ben delineata e sguardo languido sono le caratteristiche comuni di entrambi i ritratti ma soprattutto la misura degli assi focali degli occhi e la distanza tra naso e bocca comparata tra i due disegni risulta sostenibile.
In altre parole le differenze sostanziali non sono così marcatamente evidenti se comparate, ma la tecnica e il corredo vestiario differenti fanno credere che i due ritratti possano essere di due dissomiglianti persone.
Potrebbe trattarsi, allora, di raffigurazioni di due persone diverse ma unite da un comune denominatore quale potrebbe essere l’appartenenza alla stessa famiglia.
Le due figure di maggior rilevanza storica della famiglia Millelire sono state sicuramente Domenico e Agostino, entrambi figli di Pietro, quindi fratelli; si può pensare che i due ritratti li rappresentino e, in tal caso, potrebbero essere giustificate le differenze somatiche notate. Ma ciò contrasta con la tradizione di famiglia che li attribuisce entrambi a Domenico perché più famoso.
Una corretta analisi iconografica del soggetto rappresentato dovrebbe partire dalla individuazione della sua collocazione nel tempo storico oltre che dalla analisi del contesto stilistico dato dalla capigliatura, dal vestimento e dalla tecnica grafica di rappresentazione adottata.
Uno sembra un disegno a lapis o matita riprodotto in offset, l’altro, quello con il cappello, per intendersi, sembra un disegno a penna o a tratto netto, dove il chiaroscuro è dato dall’accostarsi di linee come nella calcografia filigranata della cartamoneta. Quindi uno potrebbe essere un disegno e l’altro una incisione e, quindi, una stampa.
Purtroppo l’analisi delle due immagini si basa solo su riproduzioni e mai si è vista o toccata una stampa originale che ritragga Domenico Millelire o suo fratello Agostino né mai si è toccata la matrice o il calco da cui si sono potute trarre le varie incisioni a stampa.
Il fatto che, in qualche testo dei primi del Novecento, si ritrovi ora l’uno ora l’altro soggetto non aiuta nell’analisi iconografica.
Sarebbe necessario reperire il primo ritratto edito, su testi o monografie specifiche, e, in base a questo dato, si potrebbe azzardare una derivazione del ritratto matrice da cui sarebbero derivati i due soggetti.
Se la famiglia avesse conservato immagini, in originale, coeve del periodo che entrambi hanno vissuto su questo passaggio terreno, sarebbe stato facile pensare che un ritratto del marinaio maddalenino avrebbe avuto le caratteristiche somatiche più realistiche e quindi più genuine della vera effigie dell’eroe. Essendo le nostre due differenti immagini pervenute a noi in corredi iconografici di testi pubblicati nel Novecento e non avendo mai toccato ri‐ produzioni originali, dobbiamo pensare che i due soggetti, in abiti d’epoca, non siano altro che una idealizzazione di un ritratto fatto a posteriori da due mani differenti, entrambi attribuibili a bravi disegnatori, ma senza nessuna esattezza filologica nei confronti della reale immagine dell’eroe Millelire. In altre parole ad un certo momento storico (primi del Novecento) la famiglia Millelire, o forse un rappresentante ufficiale della Marina Militare, avrebbe chiesto ad un bravo disegnatore di effigiare il proprio antenato, che tanto lustro dette alla casata. Così facendo si sarebbe creata una prova attestante la reale presenza dellʹavo o dell’eroe riconosciuto tale, con un adeguato schizzo rappresentante il personaggio vestito alla maniera del gusto impero: in tal modo si sarebbe inventato il ritratto dell’uomo in vita, cosa che sicuramente i Millelire, nei primi albori della loro presenza a La Maddalena, non avrebbero avuto ragione di avere, data la loro modesta condizione economica. In seguito, però, i meriti acquisiti da alcuni discendenti di Agostino e la fortunata politica di matrimoni con altre famiglie, locali e no, hanno fatto crescere la posizione sociale della famiglia, e l’ascesa economica, sempre più galoppante, ha creato il substrato culturale per una adeguata immagine da tramandare ai posteri come una foglia dorata che indora una pasticca e la fa sembrare oro puro. In altre parole, il buon Domenico avrà avuto anche feluca e cravatta come si usava all’epoca in cui visse come un degno figlio del suo tempo, ma è più probabile che sia stato immaginato così per esigenze di copione, di immagine, da tramandare ai posteri, creata a sommo scopo dai discendenti stessi, che per manie di grandezza o per giustificare la loro ascesa sociale sentivano il bisogno di avere un nume tutelare da cui far discendere il loro ʺcasatoʺ, o dalla Marina Militare per esaltare un eroe che aveva combattuto e vinto Napoleone.
Sarebbe auspicabile che, se si trovassero tra gli archivi Millelire, vengano fuori documenti iconografici di maggiore peso o certezza storica e soprattutto più “d’epoca”, comprovanti senza ombra di dubbio la vera effigie e quindi la reale classe di appartenenza: certo non una feluca sdrucita tirata fuori per qualche occasione e, per analogia con il ritratto, fatta passare come appartenente all’eroe maddalenino.
Naturalmente la trasposizione in un periodo moderno dell’immagine scultorea è attribuibile alla immagine primigenia trasformata tridimensionalmente o al massimo alla fantasia creativa dello scultore che ha saputo sviluppare il tema del ritratto dell’eroe Millelire.
Esiste una stampa del RAFFET, molto riprodotta, dove si può ammirare l’effigie del Millelire, ma la fantasia del soggetto ha superato la logica reale: il personaggio con il cappello a cilindro anticipa quello con copricapo che troverà più fortuna dell’altro a testa scoperta.
L’inflazione delle due immagini ha raggiunto il massimo sulla rete informatica dove addirittura una riproduzione della copia ricalcata dal sottoscritto, e pubblicata nel 1972 in un libretto guida della Costa Smeralda e isole annesse, viene spacciata per verosimigliante e destinata ad un pubblico colto che sa apprezzare la bravura totale dell’artista per quanto sia sconosciuto a tutti.
Antonio Frau