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Ossicheddi

Parzialmente tratto dal libro “Cucina isolana. Un arcipelago di sapori mediterranei” a cura di Giovanna Sotgiu e Antonio Frau – Paolo Sorba Editore – La Maddalena

Ancora oggi a La Maddalena si vedono molti ulivi, anche se abbandonati o ridotti ad alberi ornamentali e non più curati per il loro frutto. A Santo Stefano, però, grazie al progetto regionale Laore, l’oliveto della famiglia Serra, situato nella zona pianeggiante al centro dell’isola, è stato ripreso da esperti agronomi che lo hanno rivitalizzato potandolo e liberando la terra dal sottobosco che in tanti anni di abbandono era cresciuto.

Le olive mature si conservano per l’inverno in salamoia profumata con il finocchietto, dopo averle intaccate con quattro taglietti, messe a bagno in acqua e sale avendo cura di cambiare spesso questo bagno per eliminare l’amaro. Ma si potevano seccare al sole dopo averle salate come faceva Giuseppe Garibaldi che pare le considerasse il suo antipasto preferito.

Una curiosa preparazione locale è quella degli ossicheddi, di quelle piccolissime olive di alberi vecchi o non potati, inutilizzabili per i più.

La ricetta

Bisogna mettere le olivette sotto sale per quattro o cinque giorni avendo cura di eliminare il liquido spurgato e aggiungere man mano nuovo sale. Quindi asciugarle e sistemarle in barattoli con olio, una fetta di limone, peperoncino, origano e prezzemolo.

Curiosità

Cosa mangiavano i corsari della fine del Settecento e del primo Ottocento?
Ecco le scorte di viveri imbarcate a bordo dei brigantini “La Liguria” e “Giano” e dello sciabecco “Il Furioso” armati in corso dalla Repubblica Ligure nel 1802: biscotto, vino, pasta fina, riso, fagioli, stoccafisso, formaggio, alici salate, olio, aceto e sale… e anche carne, di manzo e di castrone. (elencata in un altro documento)
Dalla documentazione relativa allo sciabecco corsaro genovese “La Tigre” e al brigantino “Il Veloce”, armati nel 1798, emerge un quadro più ampio e preciso. Sappiamo così che la carne era salata ma anche fresca (con quest’ultima consumata con una certa frequenza) e che venivano distribuite anche verdura (cavoli) e frutta, e veniva consumata minestra.
Le razioni era suddivise in giorni di grasso (nel quali si mangiava carne) e gironi di magro. (dove la carne era sostituita da pesce o formaggio)
Il tutto era annotato con cura dallo scrivano di bordo in apposite tabelle, che sono giunte fino a noi.
(Fonte dei documenti: Archivio di Stato di Genova, Sala Foglietta, Magistrato di Guerra e Marina, n. 347)

N.B. L’unità di misura a cui fanno riferimento le cifre contenuti nei documenti è il cantaro genovese, corrispondente a 150 libbre, ossia a circa 47 kg (la libbra genovese corrisponde a 0,317 kg). Per l’olio l’unità di misura è il barile, per il vino la mina (un’unità di capacità inferiore al barile)