Almanacco isolanoCo.Ri.S.MaGiorgio Andrea Agnès des GeneysLa Maddalena Antica

Palau colonia della Maddalena?

“…Des chefs de familles demandent la concession des terres des environs du Parau, qu’ils s’obligent à utiliser, en y batissant des maisons dans le local qui leur sera désigné: cette colonie qui ne sera dans son commencement qu’un hameau de la Magdalaine, deviendra bientot una nouvelle ville agricole et commercante par le génie de ses premiers habitants. L’avantage de la colonie projettée sur toutes les autres est évident si l’on considère le secours que les nouveux colons recevront de la Magdelaine, où l’industrie et le commerce continueront à leur fournir des moyens de subsistence, attendu que, dans les premières années, la reponse de l’agriculture ne sera qu’accessoire jusqu’à ce que leurs terres soient en produit”.

“Alcuni capofamiglia chiedono la concessione delle terre dei dintorni del Parau, che si obbligano a usare, costruendovi delle case nel luogo che sarà loro designato: questa colonia, che sarà all’inizio solo una frazione della Maddalena, diventerà ben presto una nuova città agricola e mercantile grazie al genio dei suoi abitanti. Il vantaggio della colonia progettata su tutte le altre è evidente se si considera l’aiuto che i nuovi coloni riceveranno dalla Maddalena in cui industria e commercio continueranno a fornire loro i mezzi di sussistenza, visto che, nei primi anni la risposta dell’agricoltura sarà solo accessoria fino a che le loro terre siano in grado di produrre.”

Questo scenario che vedeva Palau nascere come borgo dipendente dalla Maddalena, abitato dai suoi abitanti pronti a sfruttare le terre a fini agricoli, è ipotizzato in una memoria dell’ammiraglio Desgeneys del 1808. Le possibilità che divenisse realtà non erano poi così remote vista la politica del governo sabaudo, che aveva promosso la creazione di nuove colonie nelle numerose aree deserte della Sardegna. Ma fino a quel momento tutti i tentativi fatti, ad eccezione di Carloforte, erano miseramente falliti. Le cause vanno ricercate soprattutto in motivi di carattere ambientale e politico-economico. Il clima “intemperioso” mieteva vittime fra le persone non abituate a vivere nelle pianure costiere, spesso paludose; pur non identificando l’origine della malaria, si sapeva bene quali erano le aree e le stagioni a più alto rischio e perciò anche i funzionari regi e i preti si rifiutavano di risiedere in quelle terre nei periodi estivi. La seconda causa di fallimento risiedeva nella scelta del governo di non curare direttamente la nascita della nuova colonia, ma di affidarla ad un personaggio che si fosse impegnato finanziariamente e organizzativamente a trovare e convincere famiglie esterne alla Sardegna a trasferirsi nei territori identificati per la nascita della nuova colonia, provvederle del necessario per impiantare casa e colture, assisterle dal punto di vista religioso con la costruzione di una chiesa: in cambio di questo notevole sforzo economico il promotore dell’impresa avrebbe ottenuto un titolo nobiliare. Tutti i tentativi erano falliti o per scarso interessamento del futuro feudatario o per l’ostilità accanita dei pastori sardi che, in modo più o meno saltuario, utilizzavano i terreni destinati ai nuovi insediamenti agricoli.

I promotori della nuova colonia del Parau dimostrarono di conoscere queste esperienze del passato e di essere capaci di evitarne i rischi. Ma vediamo in quali condizioni si sviluppò la proposta.

Il ruolo del Parau

Malgrado sia il più favorevole punto di approdo e di partenza per i rapporti fra La Maddalena e la terraferma, nei secoli XVIII e XIX Palau non ha avuto grande importanza nei traffici commerciali perché i maddalenini preferivano di gran lunga le vie del mare a quelle di terra. I contatti privilegiati con la Gallura si tenevano con gli abitanti della valle del Rio San Giovanni, del Rio Surrau e, soprattutto, con quelli della fertile valle del Liscia, facilmente raggiungibili con le gondole che entravano nella larga foce del fiume e ne risalivano il corso per un buon tratto. Quei pastori “vitam pastoralem ducentes”, come si legge nei registri parrocchiali, venivano alla Maddalena a battezzare i loro figli e a celebrare i matrimoni. Non era raro il caso di maddalenini che sposavano donne di queste aree costiere della Gallura: forse l’esempio più noto, anche se di epoca precedente a quella di cui parliamo, fu quello di Domenico Millelire sposato con Maria Ventura Cudaciolu nella chiesa di Porto Puzzu, ovvero di san Pasquale nel 1785. Anche la famiglia Culiolu si era imparentata con i Majorca, classificabili fra i più grossi proprietari di terre e bestiame della zona. Grazie a questi contatti familiari e alla abituale frequentazione, i Lisciesi garantivano all’isola i rifornimenti alimentari, ma anche gli sfrosi, cioè tutto quel mercato illecito che vedeva pelli, formaggio, carni, bestiame trasportati verso la Corsica, sempre deficitaria di questi beni e, negli anni di cui trattiamo, verdura, formaggio e animali vivi trasportati verso le navi inglesi spesso presenti nella rada di Mezzoschifo. Siamo nel 1807, le guerre napoleoniche hanno trasformato l’assetto dell’Europa. Il re di Sardegna ha dovuto abbandonare gli stati di terraferma occupati da Napoleone e, costretto dalla situazione, ha dovuto dichiarare la perfetta neutralità rispetto a Francia e Inghilterra, garantendo alle due potenze belligeranti l’approdo libero nei suoi porti e la possibilità di rifornimento dell’acqua e dei così detti “rinfreschi d’etichetta”, cioè dei prodotti freschi per il sostentamento degli equipaggi durante la permanenza in porto delle navi; assolutamente proibita era invece la vendita di prodotti di riserva per la navigazione. Ma l’atteggiamento delle autorità isolane era strumentalmente comprensivo verso gli Inglesi. Il porto della Maddalena avrebbe dovuto essere inavvicinabile da parte dei corsari di Francia e Inghilterra che pullulavano nelle acque del mar Tirreno e del Mar di Sardegna catturando imbarcazioni mercantili della nazione nemica o di suoi alleati; invece i corsari inglesi entravano continuamente nella rada di Mezzoschifo, o addirittura in porto, con la scusa del cattivo tempo, di guasti alle attrezzature, di pericolo di deperimento delle merci trasportate. I velieri da guerra ricevevano un trattamento di assoluto favore: ai rinfreschi di etichetta si aggiungevano, grazie alla capillare rete di procacciatori galluresi e di trasportatori maddalenini, tutto ciò che serviva. A questo si aggiunga che La Maddalena, troppo vicina alla Corsica per non sentire le conseguenze dei tragici avvenimenti che la interessavano, accoglieva fuoriusciti, in fuga dalle “requisizioni” forzate, che trovavano nell’isola accoglienza e possibilità di un lavoro: dalle lettere di Agostino Millelire sappiamo della presenza di tanti giovani arrivati con mezzi di fortuna, dei quali era ignota la precedente occupazione, che si imbarcavano come marinai, ma anche di un medico, Paolo Susino, di un prete, certo Peretti, di fabbri ferrai, ecc.

La proposta

E’ in questa situazione che maturò l’idea di creare una “nuova popolazione” sul litorale del Parau. Il progetto, redatto da Millelire, scritto, non a caso, dal cognato di questi, Salvatore Sini, di cui è riconoscibilissima la grafia, era ben articolato e suffragato da una analisi della situazione locale che avrebbe dovuto convincere il re ad accordare il suo benestare, e non solo. Millelire partiva da due dati di fatto importanti: la breve distanza che separa Maddalena da Palau e la minore incidenza della malaria sul territorio di quest’ultima rispetto ad altre zone della Gallura. Certo il problema delle “intemperie” poteva essere un freno al popolamento della costa, ma il rimedio era presto trovato: bastava permettere “nell’estate [di] ritirarsi nella Maddalena a tutti quei che fino a naturalizzarsi avranno timore di patirvi l’aria”. Subito dopo Millelire prospettava un argomento al quale il governo era particolarmente sensibile: la possibilità di eliminare i contrabbandi in quella zona, attraverso il presidio rappresentato dai nuovi abitanti e da una torre da edificarsi su una delle punte che circondano la rada. A suo parere questo deterrente avrebbe mantenuto “il buon ordine sul litorale quando in quella rada vi approdassero le squadre delle potenze belligeranti”, ovvero le navi inglesi che tanta preoccupazione gli davano. Millelire sapeva bene che i maddalenini erano complici, nel contrabbando, dei galluresi della piana del Liscia e pareva preoccupato delle possibili loro reazioni. Forse per questo aggiungeva che “sta a cuore agli isolani di portarsi bene e pacificamente coi pochi Galluresi, che già trovansi com’erranti pastori nel suddetto circondario di territorio” e quindi occorreva accordarsi per una divisione equa delle terre e per la loro assegnazione anche a chi in quelle terre abitava ormai da generazioni.

I vantaggi prospettati e le motivazioni nascoste

Come si vede Millelire suggeriva il modo per sottrarsi alle ostili reazioni dei pastori, che erano state una della cause del fallimento degli altri tentativi di colonizzazione in Sardegna. Si evitavano così gli effetti di una contrapposizione e si consentiva agli abitanti delle cussorge costiere di ottenere legalmente il possesso delle terre che, fino a quel momento, reclamavano nei confronti dei ricchi signori tempiesi con difficoltà: era infatti difficile provare con atti legalmente validi una occupazione solo consuetudinaria, anche se essi la consideravano definitiva. Nello stesso tempo mancava la figura del feudatario organizzatore della colonia: le nuove terre sarebbero state direttamente richieste dai capi di famiglia maddalenini che si sarebbero affiancati pacificamente ai galluresi in un rapporto paritario. Millelire precisava i confini delle terre richieste: dal fiume Liscia, limite occidentale, al golfo di Arzachena a oriente, con una profondità per noi difficilmente identificabile, definita da “una linea che passi per monti di Filigheddu, altro di Martino, altro di Sant’Elena e d altro di Marginalto”. La nuova popolazione avrebbe dovuto comprendere anche “gli esteri che daranno segno d’onesta condotta”.

La Memoria di Desgeneys

Il riferimento sembrerebbe vago se non ci fosse a chiarire la portata e il significato della proposta la memoria di Desgeneys che si assumeva la paternità dell’iniziativa spiegando diffusamente quali fossero i vantaggi per il governo, dando per scontati quelli che riguardavano la popolazione delle isole. Desgeneys spiegava una situazione che solo un osservatore attento come lui alle cose maddalenine poteva vedere e capire nella sua vera essenza: si trattava dell’immigrazione dalla Corsica di famiglie, cacciate dalle turbolenze della loro regione e dimostratesi operose nel campo dell’agricoltura. Ma, si chiedeva il barone, una volta cessato lo stato di guerra, cosa avrebbe potuto trattenere qui quelle persone? Tornando al loro paese pacificato, avrebbero beneficiato anche del proficui rapporti che la Francia intratteneva con le potenze barbaresche, ciò che li avrebbe messi al riparo dalle incursioni drammatiche alle quali erano invece sottoposti i sardi. Sarebbero rimasti però per una migliore situazione economica, derivata da una agricoltura condotta su terreni che meritassero gli sforzi necessari per condurre a buon fine una attività agricola seria: e questa a Maddalena aveva scarsissime possibilità visto che i terreni adatti, intorno al paese, erano già stati distribuiti e solo rimanevano le isole rocciose e improduttive. Di qui la necessità delle terre del Parau. Generoso come sempre nei confronti dei maddalenini, Desgeneys ne evidenziava l’attaccamento al governo definendoli “i migliori marinai, i più agguerriti che [Maddalena] fornisce alla marina da guerra di V.M.” . Egli metteva in evidenza per contrasto, la situazione della Gallura, “in preda a violenze e omicidi, conseguenza di un popolo di pastori erranti” soprattutto quelli di Aggius “che solo con l’uso della forza rinuncerebbero al loro genere di vita indipendente e oziosa” e si possono considerare attualmente come “l’asilo e la cittadella del crimine in questa parte della Sardegna”. Come al solito molto pratico, Desgeneys faceva, per così dire, i conti in tasca al governo mostrando che, a fronte dei vantaggi derivati dal controllo sui commerci e dalla conseguente cessazione del contrabbando, dallo sviluppo sicuro della popolazione, dalla pacificazione della regione, lo stato doveva intervenire con la modica spesa per la cappella, una “piccola fortezza sulla Punta della Sardegna e una piccola caserma per un corpo di guardia”. La spesa sarebbe stata ulteriormente ridotta se si fossero impegnati, per i lavori, i forzati presenti alla Maddalena. Una parte interessante della memoria è quella in cui, pur evidenziando la sua ignoranza sulle questioni relative alla proprietà delle terre in questione, il barone suggeriva un sistema per risolvere alla radice le possibili difficoltà: nominare una persona pratica delle leggi, dotata di “zelo e probità”, in grado di recuperare tutte le notizie relative non solo alla “qualità e all’estensione del territorio compreso nei limiti indicati”, ma soprattutto alla “quantità che viene veramente coltivata ogni anno, specificando le parti possedute in proprietà da privati”. Solo così, redatta una mappa quanto più precisa possibile dei diritti reali vantati sul territorio, si sarebbe potuto procedere all’acquisizione o allo scambio. A questo punto Desgeneys suggeriva al re di affidare tutta la questione “a un direttore illuminato che dovrebbe essere qualcuno che abbia già qualche influenza sullo spirito degli abitanti della Maddalena e che sia in grado di determinarli ai piccoli sacrifici che il vero interesse delle loro famiglie e il bene del Regno richiedono”. Mi sentirei di affermare che Desgeneys non pensasse a se stesso quale direttore della nuova colonia: non sarebbe stato in sintonia con il personaggio, con i suoi gusti e anche con le sue qualità che sarebbero state sminuite con un incarico tutto sommato di secondo piano. Difficile affermare che egli avesse in mente qualcuno da suggerire al re, in un secondo momento, per quell’incarico: non sarebbe forse lontano dal vero pensare che potrebbe trattarsi dello stesso Agostino Millelire, personaggio nel quale il barone riponeva grande fiducia, dimostrata in tutta la corrispondenza dalla Maddalena e anche nel successivo periodo di definitiva lontananza. Una cosa che Desgeneys non diceva nella memoria, ma che, a mio parere, doveva avere ben presente, era il pericolo rappresentato dalla nuova colonia di Santa Teresa, fortemente voluta dall’ufficiale sabaudo Francesco Maria Magnon, che proprio in quel periodo stava concretizzandosi: essa godeva di grandi quantità di territorio fertile a disposizione, dava ad ogni famiglia il terreno per costruirsi la casa, concedeva agli abitanti interessanti franchigie, garantiva, attraverso la Torre, una discreta difesa da attacchi esterni. Tutto ciò, unito alla vicinanza alla Corsica, paese d’origine delle famiglie immigrate alla Maddalena, avrebbe potuto costituire un buon motivo perché esse si trasferissero, con vantaggio, a Santa Teresa. L’unico modo per trattenerle all’isola sarebbe stato quello di procurare loro terre da coltivare e una sistemazione stabile. È una chiave di lettura personale, non suffragata da ciò che il barone afferma nel documento, nel quale, anzi, egli si sforzava di mostrare che la nuova colonia del Parau non sarebbe stata in contrasto con quella di Santa Teresa, ma che anzi entrambe avrebbero garantito meglio il controllo del territorio: in questa ottica egli suggeriva anche di supportare la richiesta avanzata (così pareva) da Aggius per formare “una nuova popolazione” a Vignola. Il progetto con tutti i suoi possibili sviluppi, rimase lettera morta: ho l’impressione, anzi, che non sia neanche stato presentato nella sua redazione definitiva. Colpisce, infatti, l’intestazione del documento: sulla destra il titolo col quale esso avrebbe dovuto essere inoltrato al re “Memoria del barone Desgeneys per la colonia del Parau in Gallura”, accanto, a sinistra, la dicitura “Copia di bozza di memoria che il sottoscritto si proponeva di indirizzare a S. M. per accompagnare il progetto per la creazione di una colonia al Parau”. E così non sappiamo se, e con quante reali possibilità, Palau abbia veramente rischiato di diventare altro da quello che è.

Giovanna Sotgiu – Co.ri.s.ma