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Paolo Santandrea

L’11 aprile 1938 moriva a Matarò, Barcellona, Paolo Santandrea. Un ematoma surrenale a seguito di una ferita subita durante la ritirata di Caspe, nel marzo del 1938, gli fu fatale.

Era nato nell’isola di La Maddalena il 13 marzo 1907, in via Principe Amedeo dove risiedeva con i familiari. Il padre Pietro aveva comandato, dopo aver preso parte alla prima guerra mondiale, le fortificazioni di Punta Tegge e Nido d’aquila. Entrambi i genitori erano originari di Alghero (la madre era Caterina Trova) ma trasferitisi a La Maddalena per via del lavoro di Pietro, Sottufficiale di Marina.

Paolo crebbe in una famiglia senza problemi economici e molto rispettata a La Maddalena, frequentò tutte le scuole fino al ginnasio, quel ginnasio Umberto I che la Riforma Gentile aveva istituito a La Maddalena per agevolare i figli di ufficiali e sottufficiali che poi avrebbero conseguito il diploma liceale e, possibilmente, superato il concorso per l’accesso all’Accademia militare. Paolo dopo il biennio ginnasiale decise di interrompere gli studi e partire militare per il servizio di leva. Servizio che svolse a La Spezia imbarcato su un panfilo reale. Qui fu molto apprezzato come marinaio ma la sua indole e i suoi interessi erano altri. Tornò a La Maddalena in cerca di occupazione.

Nel 1930, come raccontò in seguito suo fratello Armando, in occasione dei festeggiamenti di Santa Maria Maddalena il 22 luglio fu sorpreso da qualche delatore a fare una battuta. Commentò l’oscillazione di una imbarcazione addobbata con un fascio littorio dicendo che “il fascio iniziava a traballare”. Questa battuta fu sufficiente a farlo segnalare alla questura, dove fu poi condotto e trattenuto per l’intera giornata. E soltanto la stima riconosciuta al padre gli evitò l’arresto. Tuttavia in seguito i guai per lui non mancarono. Rifiutando la tessera del partito fascista, di cui a La Maddalena era nata precocemente una sede nel 1919 (si veda Sotgiu-Sanna, “La Maddalena nel ventennio fascista”, 2015) Paolo ebbe diverse difficoltà a trovare impiego. L’anno successivo, nel 1931, pur non avendo mostrato -se non in famiglia- particolare avversione al regime, decise che per lui quanto stava accadendo sulla sua isola e in Italia era troppo. Per questo, con un amico, decise di scappare in Corsica utilizzando una piccola imbarcazione rubata e, riuscendo ad eludere i controlli delle numerose fortificazioni a difesa dell’arcipelago, di cui immagino avesse una certa pratica dovuta al mestiere del padre, riuscì ad attraversare le Bocche di Bonifacio.

Poi l’Algeria (le rotte mediterranee per la libertà spesso avevano angoli meridionali) e poi la Spagna e Barcellona. Città che in quel periodo rappresentava un’idea di libertà molto più vicina alla sua visione del mondo. Qui rimase fino al dicembre 1934 quando il consolato Italiano lo rimpatriò per via della sopraggiunta condanna per espatrio clandestino e furto di imbarcazione.

Fu rimpatriato a Genova, dove scontò in carcere 12 mesi di condanna.

Poi tornò a La Maddalena, dai suoi genitori. Qui trovò impiego negli uffici della Compagnia di navigazione Tirrenia, allora non ancora nazionalizzata, come impiegato scrivano, a 150 lire al mese. L’equivalente dello stipendio minimo di un bracciante nello stesso periodo. Un impiegato medio ne prendeva anche 600, ma con tessera PNF. Resistette in questo contesto illiberale fino al Maggio 1937 quando, ancora una volta in maniera rocambolesca, scappò per mare per la Corsica secondo un percorso tipico per gli antifascisti sardi (Brigaglia, Manconi e altri, “L’antifascismo in Sardegna”, Cagliari, 1986). Trascorse qualche mese ad Ajaccio, dove esercitò il mestiere di venditore ambulante di gelati. E da qui a Marsiglia dove scrisse l’ultima sua lettera ai familiari, senza indicare alcun domicilio, deludendo in questo modo gli zelanti operatori della polizia politica che già allora, intercettavano la sua posta e ogni sua comunicazione per ricavarne le “attività sovversive”. A Marsiglia si iscrisse a un sindacato antifascista (Union Populaire Italienne) che ne agevolò il nuovo trasferimento in Spagna, dove ormai da circa un anno era scoppiata la guerra civile, in difesa di quelle idee di libertà, solidarietà e giustizia tanto care a Paolo.

A Barcellona entrò a far parte della XII Brigata (2′ Battaglione), la ”Brigata Garibaldi”, che raccoglieva gli antifascisti italiani in Spagna accorsi per difendere la Repubblica dal colpo di stato organizzato dal Generale Francisco Franco e sostenuto con mezzi e uomini dall’Italia fascista. Paolo, proveniente dall’isola di Caprera si trovava quindi a combattere in nome di Giuseppe Garibaldi, quello stesso eroe celebrato indistintamente dalle varie parti politiche italiane, quel Giuseppe Garibaldi a cui lo stesso Mussolini pochi anni prima aveva reso omaggio, visitandone la tomba a Caprera.

Paolo Santandrea combattè e morí per gli ideali di libertà e giustizia che gli erano stati negati a casa sua. E scelse una nuova Patria per se stesso. Una Patria a lui sicuramente familiare per via della lingua, nella sua famiglia infatti fin da piccolo aveva sentito parlare il Catalano di Alghero.

Di lui successivamente in famiglia si parlò sempre molto poco, così come scarne e imprecise sono le informazioni riportate sul suo conto nelle ricostruzioni fatte in diverse pubblicazioni che lo danno per scomparso alla fine dell’aprile del 1938.

Scriverà di lui nel 1992 il fratello Armando portandone un ricordo colmo di affetto e stima. Ma impreciso. Armando infatti ne colloca la morte nell’ambito della battaglia di Guadalajara, sicuramente più famosa e celebrata dal fronte antifascista ma precedente al rientro in Spagna di Paolo o -meglio- Paolino, come lo chiamavano i fratelli e come lo chiameranno i nipoti, pur non avendolo mai conosciuto.

Sulla morte di Paolo Santandrea avranno molti dubbi anche le autorità del Ministero dell’Interno che con zelo incredibile cercheranno notizie sulla sua sorte fino all’agosto del 1943.

La collocazione della sua morte al 29 aprile del 1938 è riconducibile, con buona probabilità, alle informazioni ricavate dal carteggio dell’antifascista Giulio Chiarelli, militante comunista della Valchiavenna che, una volta tornato dalla Spagna, contribuì come molti altri ex combattenti garibaldini in Spagna alla Resistenza italiana del ’43-’45. (Zenoni, “Giulio Chiarelli Il sovversivo”, Sondrio, 2019).

Chiarelli, anch’esso intercettato dall’OVRA, racconta di aver conosciuto Paolo Santandrea in ospedale a Matarò e di aver condiviso con lui una parte del ricovero. Fino alla sua fine che gli uffici del Comitato Politico Centrale fascista fanno quindi risalire al 29 di aprile. Questa sarà l’informazione tramandata in seguito anche dalle ricostruzioni antifasciste. Fino al 2017. Anno in cui una ricerca dell’Università di Barcellona sui volontari internazionali presenti in Catalogna nella fase più cruenta e cruciale della guerra civile spagnola, ricostruiranno nel dettaglio le vicende, in particolare, di 80 combattenti volontari deceduti a Matarò.

E tra questi Paolo, Paolino. Zio Paolino.

Morto per la Libertà l’11 aprile 1938 all’1 e 30 e seppellito presso il cimitero dei Cappuccini di Matarò, al numero 641, dove tuttora dimorano i suoi resti.

Oltre al coinvolgimento personale e familiare che mi stimola a portare avanti questa ricerca, ritengo doveroso riconoscere alle persone dell’AICVAS il grande merito di aver conservato e coltivato la memoria di persone come Paolo Santandrea.

In particolare il mio ringraziamento va a Italo Poma e Saverio Werther Pechar che non solo hanno sostenuto e aiutato le mie prime ricerche ma mi hanno accolto con una condivisione e solidarietà di cui ho percepito la profondità.

Ringrazio anche i “cugini Santandrea” per la grande disponibilità e pazienza nel sopportare le mie interminabili telefonate-interrogatorio, alla ricerca di ogni loro minimo ricordo.

Ritengo la memoria di Paolo Santandrea e degli Uomini come lui tutt’oggi di fondamentale importanza non soltanto per rendere il giusto onore a persone che alla democrazia e alla libertà hanno dedicato la propria vita, ma anche per tenerne vivi il valore morale e la determinazione e coerenza nelle scelte personali.

Antonello Tovo