Pesca con la sciabica
La sciabica è una tecnica di pesca conosciuta fin dalla notte dei tempi e praticata anche dagli antichi egizi. Fu introdotta a La Maddalena sul finire dell’800, quando alcune famiglie originarie della Liguria, della Campania e della Sicilia, si stabilirono nell’isola dedicandosi alla pesca del pesce azzurro.
Le parti che la compongono, diverse fra loro per la maggiore quantità di maglie man mano che si procede verso il centro sono: ‘a stazza’, i ‘riali’, ‘a gola’, che formano i bracci laterali e i mappi’ e i curoni’ che formano il sacco (‘a manica’), lungo 6-7 metri. Due lunghe funi (200-300 metri), ‘i restoni’, consentono di allontanarla da terra a piacere e di collocarla in modo di chiudere una cala.
La si adopera per ‘sciarmi’ di pesci quali connari, zerri (1) o sardine, regolandone la profondità attraverso il numero dei sugheri disposti a corona che tengono aperto il sacco. Si cala nel pomeriggio con un capo a terra e una lunga curva, in modo da lasciare un vasto spazio al pesce che prima di sera tende a ‘ingolfare’, andare cioè nelle cale, vicino alla costa.
Quando il mare è calmo, l’avvicinarsi del banco è denunciato dalle increspature sulla superficie dell’acqua, in caso contrario un pescatore si porta in una posizione dominante spiando l’arrivo del pesce. Appena questo è entrato nel raggio d’azione della sciabica si tira anche la corda che la teneva aperta in modo che il pesce, fuggendo, si sposti verso la spiaggia dove viene catturato nel sacco.
I più vecchi ‘sciabiguttari’ che si ricordano sono: D’Oriano Gennaro Jennarò (nella foto), proveniente da Pozzuoli, Caucci Nicolino ‘Pappellu meu’, Caucci Biagio e Oriani Francesco ‘Ciccillu’: quest’ultimo si dedicava in gioventù alle reti classiche fino a che una forte tramontana a Cala Canniccia di Caprera non capovolse la barca uccidendo tre suoi colleghi; da quel momento preferì abbandonare quel mestiere che poteva diventare così pericoloso e dedicarsi alla sciabica che, dovendo essere manovrata dalla costa o in prossimità di questa, risultava più sicura.
Articolo della ricercatrice e scrittrice maddalenina Giovanna Sotgiu.
- Un piccolo pesce, la cui lunghezza non supera i venti centimetri e che vive in branchi sui fondali ricchi di posidonia. Le femmine hanno strisce nerastre verticali dal dorso ai fianchi, mentre i maschi si distinguono per le linee azzurrine che corrono longitudinalmente sui fianchi e, nel periodo nuziale, dalla livrea coloratissima. Un pesce incluso tra quelli “poveri“, perché da sempre considerato, dal punto di vista commerciale, poco interessante e venduto a basso costo. Eppure, questi pesci “poveri” non sono tali dal punto di vista nutrizionale. Non potranno competere con altre specie più meritevoli, ma anch’essi sono validamente in grado di contribuire al piacere della nostra tavola ed al benessere del nostro corpo, oltre che a quello del nostro portafoglio. In alcune regioni, dove lo zerro è pescato intensamente, vengono impiegate particolari reti a strascico. Lo zerro è molto diffuso anche in Liguria, dove prende il nome di zerlo o pignuetto. La ricetta: Ingredienti per 4 persone: kg 1 di zerri piuttosto grossi, un litro e mezzo d’acqua, 2 foglie di alloro, 1 cipolla bianca, sei spicchi d’aglio, peperoncino, prezzemolo, fette di pane raffermo, olio evo, sale. Squamate e pulite per bene gli zerri. In un tegame dal bordo alto fate rosolare in mezzo bicchiere di olio, la cipolla tritata, gli spicchi d’aglio schiacciati e un peperoncino. Appena si saranno ben dorati, aggiungetevi l’acqua fredda e portatela a ebollizione. Unite il prezzemolo tritato a mano, salate e fate bollire per qualche minuto. Allontanate la padella dal fuoco e unite quindi gli zerri. Quindi, rimettete la padella sul fuoco, per qualche minuto, e finite di cuocere i pesci a fuoco leggero senza farli sfaldare. Fate tostare le fette del pane in forno e disponetelo in un piatto di portata. Poggiatevi delicatamente i pesci e coprite con il brodo di cottura. Servire con un filo di olio evo.