Pescatori provenienti da Cetara
Altavilla Giuseppe “Peppiniello”, nasce a Sorrento; si dice che fosse un figlio della Madonna (così venivano chiamati i bambini adottati da famiglie che avevano perso un loro figlio). Si dice che il padre fosse figlio di un notabile del paese mentre sua madre era una giovane domestica.
Appena nato viene adottato dalla famiglia cetarese dei Romano. Il giovane verrà indirizzato verso il mondo della pesca fin da la più giovane età, e ha vissuto nel mare per il mare. Abile nel realizzare le coffe, egli sapeva armarle e innescarle con una velocità da stupire chi lo guardava. Peppino pur vivendo in mare da molti anni aveva paura del mare; lo temeva, doveva essere calmo per poter andare senza timore. Qualche volta veniva costretto dal capobarca che quasi lo legava al timone. Molto probabilmente come molti dei vecchi pescatori, non sapeva nuotare.
È il 17 Novembre del 1939, data tragica per la marineria maddalenina: 5 pescatori, i fratelli Pietro e Vincenzo Romano, Gennaro Troise, Gennaro Conti e Gioacchino Ferrigno, trovano la morte mentre cercano disperatamente di raccogliere i mestieri.
Quel giorno tragico su quella barca doveva esserci anche lui, ma avendo riportato un infezione ad una mano a causa di un amo conficcato in un dito, decidono di lasciarlo a terra salvandogli così la vita. La vita di Peppino è piena di avventure. Imbarcato su un veliero chiamato aragostiera, perché raccoglieva tutto il pescato di diverse barche che si trovavano in zona per poi portarlo in porto e venderlo, dando così la possibilità alle barche di continuare a pescare, stava per mare per diversi giorni. Nel dopoguerra incontra Cesare Esposito (sono quasi compaesani; uno di Minori l’altro di Sorrento), incontro che sfocerà in un’amicizia duratura nel tempo. Cesare e Peppino coppia indissolubile. L’abilità di Peppino nel realizzare e innescare le coffe era notoria a tutti. Il sodalizio tra Cesare e Peppino si interrompe quando Cesare intraprende la più redditizia delle attività, quella del trasporto turisti. Peppiniello troverà posto nella barca di un’altra leggenda della marineria isolana Zi Ciccillo (Francesco D’Oriano), cambiando il suo modo di pescare: tirare la sciabica.
Esposito Cesarino. Nasce a Minori piccolo paese vicino Cetara sulla costiera Amalfitana nel 1922, i suoi genitori gestiscono un forno dove Cesare aiuta. Arriva il momento del servizio militare e il giovane viene destinato a La Maddalena, presso il Commissariato con la qualifica di panettiere e pasticciere. Bravissimo nel suo mestiere riesce a farsi voler dai maddalenini. I giorni passano al giovane Cesare piace anche la pesca così quando è libero ne approfitta.
Nell’immediato dopoguerra vi era grande crisi e nel nostro paese mancavano i generi alimentari. Cesarino per aiutare la gente aveva escogitato un originale sistema: nascondeva il pane nelle sue numerose tasche ed usciva dal Commissariato. Fuori c’erano già le persone in attesa del buon Cesare che distribuiva loro quello che riusciva a prendere; non solo pane ma anche altri viveri. Cesare nel periodo maddalenino va a pescare con alcuni amici. Dopo un po’ di tempo alcuni nativi di Cetara, paese vicino a quello dove era nato Cesare, venuti a conoscenza della sua presenza, fanno di tutto per incontrarlo e stringere amicizia. Cesare ogni tanto ritorna a casa per vedere i suoi e in quelle occasioni gli amici di Cetara gli chiedono se può portare della roba ad alcuni dei loro parenti. Cesare lo fa con gran piacere ma non sa che il destino gli sta preparando una sorpresa bellissima: avrebbe trovato l’amore. Era appena arrivato a Cetara con un pacco da consegnare e viene ricevuto a casa di alcune persone, quando entrando incrocia lo sguardo di una splendida giovane. Resta così colpito dalla sua bellezza, tanto che da quel momento non vede che lei e decide che quella ragazza sarà sua moglie. Così dopo due anni di fidanzamento si sposeranno. Ma il richiamo del mare si fa sempre più forte. Ritorna con la moglie a La Maddalena dove si stabilisce definitivamente e dove nascono i figli Teresa e Lino. La vita trascorre tranquilla a casa Esposito: Cesare dopo poco lascerà la Marina per dedicarsi alla pesca che ama tanto. E’ il primo pescatore a praticare la pesca alle sardine nel nostro mare, abile nella pesca con i palamiti, bravo nella pesca ai canusi (pescicani), quando arrivava in porto vi era sempre gente per vedere tutto il pescato; a bordo c’era sempre ogni tipo di pesce: orate, dentici, cernie, gronchi, murene, etc.
Un giorno Cesare, con l’Andrea, la barca acquistata con i primi guadagni, parte con il suo fidato equipaggio per calare i palamiti e si dirige verso Razzoli. Mentre sono intenti al loro lavoro, nuvole nere cariche di pioggia si addensano all’orizzonte, un temporale di forza inaudita si scatena tanto da non dare tempo ai pescatori di ritirare i mestieri e far ritorno a casa. Intanto cala la sera, non vedendo arrivare la piccola barca la gente si mobilita alla ricerca degli uomini dell’Andrea. I famigliari dell’equipaggio si riversano in banchina, scrutano il mare per vedere se la barca con i loro cari fa ritorno, ma passano le ore e non succede niente. La paura comincia a introdursi nelle persone, “dove saranno?”, “avranno trovato riparo?” L’attesa si fa sempre più pesante. Si fa notte, arriva l’alba e della barca con i suoi uomini ancora nulla. La Capitaneria di Porto allertata si prodiga nella ricerca, ma la barca sembra svanita nel nulla. Passa così un altro giorno ed un’altra notte.
Arriva così il terzo giorno senza notizie, mentre il vento inizia lentamente a calmarsi. Lo sguardo di famigliari e amici è rivolto verso il mare alla ricerca di qualcosa che calmi le loro paure. Ad un tratto un rumore, una sagoma è l’Andrea che fa ritorno. Urla di gioia si levano al cielo; son tornati sani e salvi; sono a casa finalmente. Abbracci, lacrime di gioia, baci e carezze a quegli uomini che avevano sconfitto il mare.
A Cesare viene chiesto come fossero riusciti a resistere per tanto tempo in mare la risposta fu semplice: Abbiamo trovato riparo in una cala, abbiamo mangiato i pesci pescati, e ci siamo riparati dal freddo accendendo dei fuochi a terra. Dopo questa avventura conclusasi felicemente Cesare continuerà a solcare il mare. Nel frattempo a La Maddalena stava nascendo il turismo. I primi turisti spesso chiedevano di essere trasportati nelle belle spiagge sparse per tutte le nostre isole. Nella mente di Cesare cominciò a balenare l’idea che si poteva guadagnare anche con il turista. Inizia così una nuova avventura che lui chiamerà pesca turismo. Consisteva nel portare in giro il turista, far vedere le bellezze nascoste, portarlo nelle spiagge dove poter fare il bagno, mangiare e quindi nel pomeriggio far ritorno al porto. Gli affari a Cesare cominciano ad andar bene tanto che decide di lasciare la sua prima barca Andrea per prenderne una più grande e più capace, che chiamerà Palinuro.
Comprerà ancora un’altra barca Spiaggia rosa che diventerà famosissima grazie al figlio Lino, un tipo simpaticissimo che sapeva intrattenere i turisti con gag, e canzoni:
Lino seguirà le orme del padre Cesare, ingrandirà la flotta con l’acquisto di una nuova barca a cui darà il nome Elena, in onore della sua adorata mamma. Il suo modo di fare aveva contagiato tutti ormai nell’isola e quando si parlava di lui era per lodarne le doti di persona brava, simpatica ma anche stravagante.
Non era difficile vedere Lino con al gunzaglio un piccolo cane di plastica gonfiabile, con al collo qualche banconota, cosa che suscitava ilarità specialmente nei turisti che lo incrociavano.
Ferraiolo Giacomo, per molti anni, all’inizio del Novecento, presente durante la stagione di pesca.
Ferrigno Antonio
Ferrigno Gioacchino, morto all’età di 29 anni, nel 1939, nel naufragio della barca di Pietro Romano.
Romano Andrea, abituale frequentatore del nostro arcipelago nella stagione di pesca, si fermò definitivamente con la famiglia nel 1910; morì per un attacco di appendicite, avuto mentre era a mare, che non fu possibile curare in tempo.
Romano Pietro “Pidrulla”, morì nel tragico incidente del 1939, lasciando moglie e quattro figli (il più piccolo dei quali aveva sei mesi) e il debito di due rate per l’acquisto del motore, da pagare a Nando Toso: la vedova ricevette da Benito Mussolini 4.000 lire e dal Partito l’estinzione del debito.
Romano Vincenzo “Tidì”, venuto in licenza presso il fratello Pietro per qualche settimana, ne aveva approfittato per andare con lui a pescare: rimase così vittima del naufragio del 17 novembre 1939.
Salese Ignazio “Gnazù”, appartenente ad una famiglia che già da molti decenni veniva a Maddalena per la stagione, esercitò per anni la pesca ai pescecani. Nasce a Cetara, ma all’età di sei anni il padre Ignazio, lo porta con sé a La Maddalena, anche lui fa parte di quella colonia di cetaresi Altavilla (Peppiniello), Ferraiolo, Ferrigno (Gioacchino morto quando aveva 29 anni in un naufragio) e i Romano lui prima con suo padre e poi da solo si dedicherà alla pesca dei pescicani (i canusi) un tipo di pesca importato che era quello dei coffoni (altro non erano che grossi palangari o coffe). La Coffa per verdesche è simile a quella per pesci spada, cioè è una Coffa a galla provvista di pedagni e particolarmente robusta. I pedagni sono realizzati con un galleggiante costituito da una tanica in plastica della capacità intorno a 15 lt, provvisto di luce da segnalazione in quanto anche la coffa per verdesche pesca di notte. Le mazzere (pesi di ancoraggio) sono sostituite da due rampini o da ancore (8/ 10 Kg). Lungo la lenza madre sono montati, tramite un cappio, 20/30 moschettoni distanti tra loro 10/ 20 mt per il collegamento dei braccioli (generalmente sono utilizzati al massimo 30 braccioli). I braccioli, della lunghezza di circa 1,5 mt, sono realizzati con cavo in acciaio o, meglio, con catena. Tra un bracciolo e l’altro è inserito un galleggiante della capacità intorno a 2 Lt e comunque proporzionata al peso del terminale, normalmente costituito da un galleggiante verniciato di giallo (per la visibilità). La coffa deve essere calata all’imbrunire e lasciata in pesca tutta la notte. Le esche possono essere: totani, calamari, seppie, con preferenza per i totani che sembrano più appetiti, in ogni caso l’esca deve essere di buone dimensioni sia per invogliare le verdesche che per consentirne l’innesco su un terminale particolarmente ingombrante. Il Palamito viene trasportato senza terminali che sono agganciati ai moschettoni montati sulla lenza madre durante la cala.
Salese Giuseppe “Peppino”, così chiamato dagli amici era un abilissimo nel pescare, molti canusi che abbondavano nei nostri mari. Le zone dove poter catturare i canusi erano Barrettini, Arpaia e Cala Lunga. Ignazio Salese, il padre di Peppino è stato tra i primi assieme a Cesare Esposito a praticare questo tipo di pesca. I pesci così catturati venivano privati dalle interiora e dalla testa quindi portati al grossista che procedeva ad inviarli in Continente per essere venduti come palombi o pesce spada. Del pescecane veniva utile anche la pelle che una volta essiccata veniva venduta agli ebanisti per lavorare il legno avendo la porosità adatta per i lavori. Peppino lascerà il mestiere di cacciatori di squali per dedicarsi sempre con le coffe ad altro tipo di cattura che rendesse di più, dentici, orate, gronchi, murene cernie. Lo farà ancora per molto tempo fino a quando verrà colpito da una malattia che lo rende inabile con problemi motori. La sua passione per il mare continuerà tanto che ogni mattina lui era seduto su una panchina a guardare il mare, il suo mare, a vedere i giovani pescatori che rientravano a Cal Gavetta e che a lui chiedevano consigli che con piacere dava. Ora riposa nel nostro cimitero anche lui come tanti altri pescatori.
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Parzialmente tratto da “Il mondo della pesca” – Co.Ri.S.Ma – Giovanna Sotgiu