Pescatori provenienti da Ponza
Ponza è una piccola isola di poco più di 10 Kmq, facente parte dell’arcipelago Pontino, con oltre 3.000 abitanti nel 1861. Spopolata per via delle incursioni barbaresche, venne ripopolata da ischitani e campani che si dedicarono alla pesca. L’immigrazione dall’Isola di Ponza alla Sardegna nasce a seguito dell’interesse dei pescatori ponzesi per l’Isola e la pescosità del suo mare. Dalla metà del 1800 molti pescatori partivano da Ponza per andare a pescare al nord. Agli inizi erano 3-4 barche ma col tempo aumentarono fino ad essere oltre una ventina nel periodo dal 1940 al 1960.
Alcuni pescatori partivano da Ponza navigando verso nord con l’intenzione di proseguire verso la Sardegna (La Maddalena, Santa Teresa di Gallura, Porto Torres, Isola Rossa), altri facevano lo stesso percorso ma si fermavano a Montecristo attirati anche loro dalla pescosità del suo mare. Fra i primi ad arrivare nella nostra isola troviamo Iodice, Romano, Vitiello, Calisi, Mazzella, Avellino e successivamente Aversano, De Martino, Di Meglio, Pagano, Balzano, Rivieccio, Scotto, Morlé, tutti con barche ponzesi simili alle feluche nordafricane. Le barche da pesca venivano costruite, con criteri e tecniche particolari, a Terracina come pure a Ponza nei cantieri di Sant’Antonio e Santa Maria.
I pescatori, per andare in Sardegna, percorrevano altre rotte verso ovest (Arbatax, Siniscola) e sud (Carloforte) con navigazione diretta e portando le loro barche su bastimenti aragostai (mbrucchielle) che le sbarcavano appena giunti a dest inazione. Quando le barche facevano scarsa pesca in Sardegna risalivano verso nord in direzione dell’Elba pescando poi nel mare di Montecristo e ritornando a Ponza, a fine stagione, con rotta verso sud.
Le barche rimaste a pescare in Sardegna, per il ritorno a Ponza utilizzavano sempre i bastimenti facendo navigazione con direzione inversa. Almeno agli inizi, la maggior parte dei pescatori ritornavano all’isola di provenienza e pochi passavano l’inverno nell’Isola d’Elba, a Montecristo o in Sardegna. Negli anni successivi molti pescatori spostarono le loro famiglie da Ponza nei porti dove usualmente stavano nella stagione est iva.
All’interno del bacino del Mediterraneo si spostarono anche in Tunisia, nell’isola La Galite (Galitone) posta a 80 Km dalla Tunisia e a 150 dalla Sardegna. Storia iniziata nel 1865, con Giovanni D’Arco e con una comunità che raggiunse i 350 abitanti e una cappella dedicata a San Silverio. Quasi tutti si trasferirono in Francia nel 1956, dopo l’indipendenza della Tunisia.
Ma i ponzesi emigrarono anche oltreoceano: negli Stati Uniti (New York), dando vita a una comunità molto legata alla propria isola e a San Silverio il cui culto diffusero nel paese ospite. Ogni anno, in memoria del santo, i discendenti degli emigrati ponzesi organizzano la Columbus Day Parade. Altra meta di destinazione è stata l’Argentina, nella provincia di Buenos Aires nell’area di Bahía Blanca e Ingeniero White, dove i ponzesi, giunti lì già dalla fine dell’Ottocento (1898), si sono dedicati alla pesca; attività ancora oggi esercitata da molti dei discendenti della piccola isola dell’arcipelago ponziano. A Ingeniero White, su 80 imbarcazioni (pescherecci) di italiani e discendenti di italiani censite nei primi anni del Duemila, 28 sono di ponzesi, 24 di ischitani, 6 di Capresi. (Martos, 2008: 48-51). I ponzesi di Ingenero White, oltre a continuare ad occuparsi della pesca, si sono portati appresso il culto e la venerazione per San Silverio, il loro santo protettore, costituendo il 20 giugno del 1928, nel locale del Circolo Cattolico degli Operai, la Società San Silverio, la cui presidenza fu affidata a Salvatore Di Lorenzo e la direzione spirituale al presbitero Tito Graziani, cappellano della Esaltazione della Santa Croce, all’epoca una cappella in lamiera esistente nel porto, al cui interno venne riposta la statua del santo giunta nel 1929 direttamente dall’Italia.
Ma i ponzesi si spinsero anche nei Carabi, nell’isola di Porto Rico, con molta probabilità seguendo il flusso migratorio corso della metà dell’Ottocento, che coinvolse, come detto, anche le isole italiane di Capraia ed Elba. Anche in quest’isola caraibica, come in Argentina, i ponzesi portarono, mantenendolo vivo, il culto per San Silverio.
Aversano Giuseppe, stabilitosi qui nella seconda metà dell’Ottocento, ebbe sette figli.
Batte Luigi, fu uno dei fondatori della Società dei Pescatori.
Balzano Giovanni, presente a La Maddalena dal 1850.
Balzano Isidoro, morì nel 1881, cadendo a mare dalla barca “il Vulcano”, mentre cercava di andare a prua per manovrare il fiocco.
Balzano Pietro
Caucci Giuseppe, sposatosi a La Maddalena con una Impagliazzo, nativa di Ponza, ebbe 12 figli.
Basso Aniello, morì nel 1890 per il naufragio della “Candida”.
Conti Nicolò, nato nel 1835, si sposò a La Maddalena con una Balzano.
Giudice Giuseppe
D’Arco Antonio
De Luca Giovanni, si trasferì all’inizio del 1900 dall’isola di Ponza a La Maddalena, fresco sposo di Maria Rosalia Tanga, anch’essa ponzese. Stabilitosi, aprì successivamente un’attività commerciale
Demeglio Salvatore “U Punzisiellu”.
Jodice Vincenzo, stabilitosi qui prima del 1900.
Mazzella Silverio, stabilitosi qui prima del 1900.
Migliaccio Silverio, marinaio imbarcato sulla “Candida”, morì nel 1890 nel naufragio della barca.
Orlando Francesco, uno dei primissimi immigrati, abitava in “via della Processione”, dove morì, a 81 anni nel 1866.
Orlando Giosuè, abitante anch’egli in via della Processione, sposò una maddalenina, Maria Culiolo.
Orlano Pietro, abitante in “via del Quartiere”, sposò una Zicavo, dalla quale ebbe 11 figli.
Piras Giuseppe, morì a mare a causa di un naufragio nel 1883.
Rivieccio Giovanni “Giovannuzzu o Jannuzzu”, padre di “Squarciò”, morì a mare nel golfo di Arzachena, nel tentativo di salvare un nipote.
Scotto Lorenzo, morì nel 1890, in un naufragio, presso Capo Ferro.
Vitiello Angelo, nato nel 1854, ebbe 8 figli.
Vitiello Gaetano, stabilitosi a La Maddalena all’inizio del Novecento, noto come “o Ponzesu“.
Vitiello Vincenzo, stabilitosi, come altri della sua famiglia, nel rione di “Due Strade”.
Emiliano Vitiello (Zì Emiliano o Zì Miliano) nato a Ponza, figlio di una numerosa famiglia di pescatori, da giovane decide di emigrare in Australia ma dopo pochi anni ritorna nella sua isola e inizia a pescare con gli altri suoi fratelli. La vita trascorre tranquilla. Emiliano e i suoi fratelli si dedicano alla pesca con le nasse, pesca che era comune a Ponza. Ma una grande tragedia stava per abbattersi sulla famiglia Vitiello. In una giornata di pesca, siamo nel 1928, Emiliano, i suoi fratelli ed un cugino si dirigono con la loro barca verso l’isola di Palmarola, isola facente parte dell’arcipelago delle Isole Ponziane, nel Mar Tirreno. Si trova a circa 10 km ad ovest di Ponza ed è la terza isola per grandezza di detto arcipelago, dopo Ponza e Ventotene. Chiamata anche “la Forcina” per la sua forma, prende in realtà il nome dalla palma nana, unica palma originaria dell’Europa, che cresce selvatica sulla sua superficie. L’isola era nota in antichità col nome Palmaria. Conosciuta dai ponzesi per le sue acque pescose e per le sue rocce lisce levigate dal vento e dal mare. Arrivati a dest inazione calano in mare la prima partita di nasse (partita si intende un numero di nasse che vanno da un minimo di dieci ad un massimo di 15), ma mentre sono intenti a calare la seconda partita alle loro spalle comincia a soffiare un forte vento di ponente. Il mare inizia ad incresparsi, onde altissime avanzano verso di loro, vedono la loro vita in pericolo. Issano le vele e si dirigono verso casa, ma il mare diventa sempre più minaccioso. Lottano disperatamente contro al furia del mare, ma è una lotta impari. La forza del vento rompe l’albero, e un’onda anomala si abbatte sulla barca capovolgendola. Tutto l’equipaggio viene scaraventato in mare. Cercano con la forza della disperazione di nuotare verso terra, verso la salvezza, ma il mare vuole le sue vittime, saranno quattro, ultimi a soccombere i due fratelli di Emiliano, tra questi Francesco. Emiliano li vede scomparire tra le onde; piange, urla e con la forza della disperazione arriva a toccare degli scogli, ma è una parete liscia senza alcun appiglio. Qualcuno però viene in suo aiuto. In seguito Emiliano dirà che mentre pregava e piangeva come per incanto ha trovato qualcosa a cui aggrapparsi, riuscendo a mettersi in salvo e ad accendere un fuoco per dare l’allarme. Questa immane tragedia, che getta nel lutto una intera isola, suscita grande commozione. Da ogni parte d’Italia arrivano fotografi e giornalisti per commentare il fatto. Passati alcuni anni viene chiesto al giovane Emiliano se poteva dimostrare ai giornali ed al Sindaco come avesse fatto a porsi in salvo dato l’asperità della roccia ma egli dirà candidamente che qualcuno dall’alto gli ha dato una mano e che il mare aveva avuto già le sue vittime. Emiliano colpito dalla disgrazia non riesce a dimenticare. Decide così di emigrare verso un’altra isola: La Maddalena. Arrivato a La Maddalena Emiliano va a vivere in una casa nel rione Due St rade. I suoi figli maschi Augusto, Osvaldo ed il piccolo Benito intraprendono anch’essi il mestiere del padre quello del pescatore. Emiliano continuerà a pescare fino ad una decina di anni prima della sua morte avvenuta nel 1978.
Emiliano con la sue abili mani realizzava per se prima e dopo per i suoi figli le nasse; questo mestiere l’aveva imparato da bambino nella sua Ponza. Era sua abitudine quando realizzava una grande nassa far mettere uno dei suoi nipoti all’interno di essa per poi passargli la cucella per legare, cosa che ai piccoli piaceva tanto. Le tre figlie femmine, Amalia, Lucetta ed Esterina lo accudivano amorevolmente. Proprio il figlio di quest’’ultima, Patrizio, racconta di quanto grande fosse suo nonno. Persona dotata di fervida memoria, ricorda cose vissute lontanissime nel tempo ma, raccontate da lui sembrano accadute pochi attimi fa, perché munite di ogni minimo particolare.
Silverio Vitiello “u Surdu”.
Parzialmente tratto da “Il mondo della pesca” – Co.Ri.S.Ma – Giovanna Sotgiu e dal libro “Storie di mare” di Vincenzo Del Giudice, per acquistarlo contattare delgiudicevince@libero.it
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