I piani di fortificazione prima e dopo l’occupazione delle isole
Il sistema di difesa costiera trovato dai Savoia nella Sardegna, scambiata con la Sicilia nell’agosto 1720, risultò da subito particolarmente carente sia sotto il profilo quantitativo che qualitativo. Già il primo viceré, il barone Pallavicino di S. Remy, avviò una capillare ricognizione di tutte le strutture esistenti, a partire dalle piazze militari di Cagliari, Alghero e Castellaragonese, a finire con l’ultima delle 67 torri litoranee di difesa o di avvistamento. L’incarico fu affidato ad un pool di ingegneri militari tra cui Felice De Vincenti, che in particolare rilevò la situazione della Gallura, ed il loro lavoro si impreziosì di una parte propositiva per l’integrazione del sistema di torregiamento esistente con nuove torri. Il “Manoscritto 125” della Biblioteca universitaria cagliaritana, pubblicato integralmente per la parte che riguarda la Gallura nel primo numero di questo “Almanacco” a cura di Antonio Frau, appare quasi il verbale della spedizione. In esso si rileva un’organica proposta di nuove torri a difesa di quel litorale che, da S. Lucia di Posada a Longon Sardo, era sprovvisto di qualsiasi struttura militare e quindi aperto a qualsiasi incursione esterna e senza vigilanza contro qualsiasi traffico illecito. L’autore del manoscritto propose l’istituzione di ben 6 nuove torri, da ponente a levante: alla Mormorata, a Porto Pozzo, a Punta Sardegna, a Punta Tegge, a Capo d’Orso ed a Mucchi Bianchi.
La “Visita generale” delle torri effettuata nel 1767 dal cavalier Ripol, capitano comandante delle torri, non rilevò alcuna novità per l’area che ci interessa, che nel frattempo – come si direbbe oggi – era diventata una “area sensibile” per le novità che si preparavano nella vicina Corsica. Nella terza isola del Mediterraneo maturava, infatti, la sostituzione della temibile Francia al debole dominio genovese. Formalmente il cambio di sovranità avvenne nel 1768, ma la presenza militare francese nell’isola era registrata già da molti anni prima, con la consegna delle più importanti piazzeforti dell’isola.
La corte torinese e quella vicereale di Cagliari seguivano con apprensione l’evoluzione della questione corsa, e sembra che non furono indifferenti nel sostegno alle forze paoliste di resistenza, che aprirono una stagione di antagonismo anche militare alla intrusione francese. Contemporaneamente il Ministro per gli Affari di Sardegna, Bogino, recuperò le vecchie memorie a proposito della discussa sovranità sulle isole Intermedie, combinò le sue ipotesi riformatrici attraverso la colonizzazione di aree marginali ed abbandonate con il contrasto al contrabbando, e predispose l’occupazione militare dell’arcipelago. La fase preparatoria fu meditata ed ebbe tempi che oggi ci sembrano lunghi, ma che a quell’epoca erano i più congrui, con il “giro di posta” quindicinale tra Torino e Cagliari. Per tutto il 1766 ed il 1767 fu un intrecciarsi di corrispondenza sull’argomento, e di invio di “pareri”, di “ragionamenti” e di solite relazioni, che si riprendono in questo lavoro soltanto per ciò che riguarda la questione dell’allestimento della torre-casamatta di S. Stefano e dei programmi di fortificazioni che precedettero la sua costruzione.
Alla vigilia della spedizione militare di occupazione delle Intermedie (14 ottobre 1767), della vecchia previsione dell’ingegnere De Vincenti per il litorale della Gallura era in via di definizione solo la torre di Arzachena. Se ne fecero più disegni, se il nuovo Viceré, Des Hayes, informava Bogino, nell’agosto 1767, che il capitano ingegnere Belgrano stava lavorando ad un suo nuovo disegno. L’elaborato, il cui invio a Torino era stato più volte annunciato, non fu comunque mai preso in considerazione, e già ad un mese dall’occupazione delle Intermedie Bogino ne decretò la sospensione, ordinando di mettere in progettazione una torre alla Maddalena in caso di disponibilità di fondi da parte della Real Amministrazione delle Torri. Tutti i documenti preparatori la spedizione militare, compresi gli elaborati più politici sull’assetto istituzionale da dare alla futura colonia militare, indicarono la necessità di una strutturazione per torri della difesa costiera dell’arcipelago. Riferendosi alle sole isole maggiori, il Reggente giubilato, marchese Paliaccio, in un suo “parere” alla corte – poco noto quanto importante – suggeriva l’edificazione di una torre in ciascuna delle isole. Suggeriva anche che ognuna dovesse essere governata da un alcaide con tre soldati da reclutare tra gli abitatori, ed armate con un cannone di ferro ed alcune spingarde. L’Intendente Generale Vacha, nelle sue note “Considerazioni circa i provvedimenti da prendersi per regolare i rapporti con la popolazione delle isole Intermedie in caso si effettui il progetto di occupazione”, fu determinato nel proporre che una volta messa al riparo la truppa con i baracconi si dovessero reperire “i mezzi opportuni per ergere torri proprie, le quali nel servire di difesa a que’ paesani dalle incursione de’ barbari, contenga pure li medesimi ne’ suoi doveri”. Vacha prevedeva più torri ed una di esse, la principale, doveva essere capace di ricoverare il distaccamento. Nella stessa primavera del 1766 il Reggente in carica, Arnaud, era invece più cauto, ed aveva previsto la torre solo nell’isola che doveva essere ancora valutata più idonea a ricevere stabilmente il distaccamento militare di occupazione.
Fu il viceré Des Hayes ad ordinare il 6 giugno del 1767 al vassallo Allione di Brondel, comandante del pinco armato in corso che crociava in quelle acque, di fare una ispezione meticolosa dell’arcipelago. Brondel conosceva già le isole ed i suoi abitanti. Li aveva contattati con il comandante del filucone, De Nobili, nel marzo precedente, ed insieme ne avevano raccolto il desiderio di sottomettersi alla sovranità del re Carlo Emanuele III. Brondel successivamente aveva redatto ed inviato a Cagliari il famoso “Stato degli abitatori delle isole La Maddalena e Caprera”, con cui aveva censito le 21 famiglie maddalenine per 114 unità e 15 famiglie caprerine per 71 unità, ed un totale complessivo di 185 abitanti. Le istruzioni del viceré richiedevano anche la individuazione del sito in cui “costrurre una qualche torre per la più ferma e stabile tutela di que’ litorali, capace di albergarvi, bisognando, la truppa”. Si conoscono due relazioni conclusive della ricognizione, e la proposta sulle torri la si trova più precisamente formulata nella prima, datata 28 giugno e richiamata nella seconda con data 30 agosto. Il vassallo propose una torre nella Punta Rossa di Caprera a copertura del passo tra Caprera e La Maddalena e tra S. Stefano e la Sardegna. Una seconda torre la propose nella Punta Marginetto di Maddalena, a difesa del passaggio tra Maddalena e Caprera e Maddalena e le isole foranee di S. Maria e Budelli. “Per poter poi assicurare intieramente gli ingressi delli Caruggi resta indispensabilmente necessario – si legge nel documento – ergere altra torre sopra la ponta detta Capo della Sardegna, e con queste tre torri sarebbero ben custoditi tanto gli isolani che li pastori di quella porzione di litorale, e non si commetterebbe più verun contrabbando”.
Le indicazioni sulla dislocazione delle strutture di difesa del vassallo Brondel si ritrovano solo in parte nelle istruzioni che il viceré predispose per il maggiore del reggimento Sprecher, La Rocchetta, che chiamava a comandare la spedizione per l’occupazione delle Intermedie. Per la Maddalena veniva disposto il trinceramento presso la Guardia e non si faceva più cenno a Punta Marginetto. Per S. Stefano si comandava un trinceramento per dominare l’entrata del porto di Villamarina e per Caprera nella Punta Rossa. Ricompariva anche la collocazione di una trincea a Punta Sardegna, con la previsione di trasformare le opere temporanee in torri. La collocazione di una installazione militare a Villamarina di S. Stefano risultò essere sempre più necessaria man mano che si prendeva atto che l’azione di occupazione delle armi sardo-piemontesi non suscitava reazione alcuna da parte di Genova e da parte francese. La nota di protesta consegnata al maggiore La Rocchetta subito dopo lo sbarco del contingente, fu giudicata “informe ed insussistente” e non fu presa in considerazione, anche perché la si ritenne un’espressione non condivisa dagli abitatori, ma predisposta dal Cancelliere di Bonifacio. D’altronde, i timori sorti a proposito di movimenti di galere genovesi nelle Bocche si dissolsero subito, e l’intelligence torinese registrò le debolissime reazioni del governo genovese anche a livello diplomatico presso le corti francese e spagnola.
Bogino, con un suo dispaccio del 16 dicembre 1767, diede a Des Hayes un giudizio sbrigativo sull’interesse di Genova, che avrebbe “altro a pensare che a prendere nuovi impegni senza fondamento, non fece in sin d’ora altro passo che di significare per mezzo del suo incaricato d’affari alla corte di Francia all’ambasciatore di S. M. ivi residente”. “Le soggiungerò essere indispensabile – scriveva Bogino poche righe dopo – di far porre la mano alla costruzione della torre, la quale in ogni caso possa servire di difesa anche all’invasione de’ turchi, poiché la real amministrazione trovasi ad averne il fondo e S. M. ha già approvata”.Il viceré, a sua volta, un mese dopo replicava di convenire sul fatto che la torre di Villamarina fosse la più necessaria, ma evidenziava che mancava una carta topografica adeguata e che in loco mancavano i materiali necessari per la edificazione ed un “sovrastante” che ne dirigesse i lavori. Nello stesso testo si legge, inoltre, una riflessione dello stesso Des Hayes sull’inerzia di Genova determinata, a suo dire, dallo zampino di Parigi.
Salvatore Sanna – Co.Ri.S.Ma
La torre di Villamarina a Santo Stefano pubblicato in ALMANACCO MADDALENINO n° 5 – 2007 – Paolo Sorba Editore