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Pietro Azara e la “sua” cappella

Articolo della ricercatrice e  scrittrice maddalenina Giovanna Sotgiu

Quando scoppiò il caso Biancareddu era assente. Siamo nel mese di maggio del 1819. La chiesa era terminata nella sua struttura, ma rimanevano ancora tanti lavori da fare, fondamentali come il pavimento, gli altari e le cappelle laterali, nelle quali le nicchie predisposte aspettavano le statue dei santi. Lo sforzo per la costruzione era stato notevole e non era possibile chiedere altro agli abitanti. Solo i più facoltosi potevano permettersi altre spese e a questi si era rivolto il vice parroco Ferrandico invitandoli a intervenire. Piena disponibilità veniva dichiarata, come abbiamo visto da parte di Gerolamo Semeria, della famiglia Martinetti, dei Millelire-Brandi e di Pietro Azara. Quest’ultimo proveniva da Tempio e già questo non deponeva a suo favore agli occhi dei maddalenini; per di più, grazie alla protezione di Desgeneys e di quei tempiesi che a Cagliari occupavano posti di responsabilità nel governo viceregio, era riuscito ad ottenere incarichi che lo avevano reso facoltoso. Aveva costruito la sua bella casa a Cala Gavetta e si era impadronito di altri beni immobili di alcuni debitori che non erano riusciti a restituire le somme da lui ricevute in prestito: si trattava di azioni del tutto legittime, ma che lasciavano strascichi di malumori.

Nella chiesa appena terminata aveva realizzato un altare in una cappella del lato destro ornandolo con un quadro della Vergine Assunta con la Trinità; ma sotto il quadro, col permesso del viceparroco Ferrandico che non aveva valutato le conseguenze, aveva posto una iscrizione (Propris expensis prò se suisquefecit Petrus Azara Bucheri, A sue spese, per sé e per i suoi fece Pietro Azara Bucheri) che suscitò la reazione indignata del Consiglio Comunitativo. (1) Iniziava un contenzioso acceso, a tratti durissimo, in cui il Consiglio pretese che si coprisse la scritta fintanto che non veniva presa una decisione a più alto livello di curia o di governo. Il primo ordine in tal senso, arrivato da Tempio, venne subito smentito dal Vicario Capitolare Azara (2) (parente di Pietro) che, sentita la Segreteria di Stato, ordinò al parroco Biancareddu di affermare pubblicamente, durante una omelia, che la dedica sarebbe rimasta in evidenza. Così Biancareddu, che non aveva responsabilità nella primitiva scelta e in questo caso ubbidiva agli ordini superiori, si trovò nella condizione antipatica di essere accusato di fronte all’arcivescovo di Sassari, al quale il Consiglio ricorreva visto che dal Vicario tempiese non poteva aspettarsi nulla di buono, di essere “un padre di anime contro il suo popolo”, popolo che si sarebbe allontanato dalla fede fino a perderla. Ancor più grave, perché scritta nel ricorso presentato al Re, l’accusa di sostenere le pretese di Azara “facendola da padrone e da proprietario non essendo che un mero amministratore e dispensatore dei sagri sacramenti”. Colpito da tanta ingenerosità Biancareddu si ritirò in silenzio, ma rifiutò di celebrare la messa solenne per il Corpus Domini e non fece niente per impedire che Azara facesse dire una messa nella sua cappella di fronte al quadro con la dedica bene in evidenza. L’unica consolazione veniva dal fatto che, malgrado l’ufficialità delle proteste contro il Parroco, queste erano firmate dal Consiglio, ma non dai probi uomini, come normalmente avveniva per le questioni di una certa importanza per la comunità: segno che non tutti i notabili erano d’accordo con l’azione del sindaco.

La situazione era preoccupante: Azara affermava che il sindaco non era stato eletto legittimamente, questi lo accusava di aver affermato di fronte a testimoni che avrebbe tolto la scritta solo quando fosse stata tolta la lapide di Desgeneys e la dedica di Nelson sotto gli argenti donati nel 1804. Il Barone, interessato dal Consiglio, dapprima si limitò a raccomandare prudenza, poi, avendo saputo che si voleva pagare un procuratore per portare la causa al tribunale ecclesiastico, sgridò malamente gli amministratori comunali, ricordando che se c’erano soldi disponibili, dovevano essere spesi per gli impegni assunti di rifare le case dei Ferracciolo e per pavimentare la chiesa; li rimproverava di avergli nascosto la presenza di 400 scudi sardi provenienti dalla vendita di grano, somma con qualche dubbio di liceità, risultante da un guadagno “non troppo legittimo”, che avrebbe dovuto essere impiegata per rifinire il tempio. Di fronte alle rivendicazioni degli amministratori, che con una buona dose di presunzione avevano affermato di essere i soli proprietari della chiesa, Desgeneys ricordava, con una certa durezza, che questa era stata edificata per un terzo dal pubblico, e per due terzi “coll’opera e sovvenzione del servizio della marina e di estranei benefattori” e che, quindi, il titolo più adatto alla chiesa sarebbe stato quello di “Regia Parrocchia del presidio marittimo di Maddalena con tutte le dipendenze e i vantaggi che ne sarebbero le necessarie conseguenze”. E a chi, malignamente, sospettava che l’iscrizione da lui voluta sul portale potesse precostituire un diritto di proprietà, rispondeva rassicurando che si trattava solo di una normale dedica corredata di dati cronologici e storici e, non sappiamo se con più ironia o più irritazione, mandava la traduzione dal testo latino!

La cosa andò avanti per qualche mese fino a che si trovò un accordo su una nuova dedica: “Ad gloriam Dei fecit benefactor Petrus Azara Bucheri- Per la gloria di Dio fece il benefattore Pietro Azara Bucheri“.

Rimase il quadro, rimase la cappella e rimase pure, accresciuta, l’antipatia per Azara. Nel suo testamento, redatto nel 1849, le prescrizioni relative alla cappella sono quelle di un proprietario: lasciava una somma ben specificata per la sua cura, per tre messe solenni con i vespri da celebrare nelle ricorrenze della SS Trinità, di San Pietro e dell’Assunta: prescriveva, in maniera quasi maniacale, che ogni anno bisognava comprare venti candele, da accendersi per la prima volta per la festa della Trinità, poi bisognava conservarle in una cassetta in sacrestia, della quale lui, e in seguito un suo erede, aveva la chiave e rimetterle sull’altare per la seconda ricorrenza e così via. Infine le stesse candele, o quello che ne rimaneva, sarebbero state usate per delle messe basse da dire prima della fine dell’anno, sempre nella sua cappella. Sintomatica l’affermazione che il prete per le celebrazioni sarebbe stato quello “più benvisto dalli curatori ed eredi”, quindi scelto dalla famiglia, non dalla Chiesa; infine lasciava una piccola offerta al sacrista per la pulizia e all’organista per l’accompagnamento delle messe, anche se, aggiungeva, la Chiesa stessa sarebbe stata obbligata a farlo vista la solennità delle feste in questione.

Azara morì nel 1851. Da allora, in un momento che non possiamo identificare, tutto quello che aveva fatto in vita e stabilito per dopo la morte scomparve. La cappella assunse un altro nome (è probabile che si tratti di quella delle Anime del Purgatorio), il quadro venne spostato alla Trinità, qualunque riferimento a San Pietro svanì.

Biancareddu fu a fianco della amministrazione comunale quando si trattò di istituire la Scuola Normale secondo il Regio Editto del 24 giugno 1823. La scuola doveva essere a carico del Comune che doveva pagare anche il precettore e il Comune non aveva soldi. La soluzione proposta, che recava come primo firmatario proprio Biancareddu, era quella di mandare a La Maddalena un cappellano, col compito di “accudire alla truppa” e di insegnare ai bambini: avrebbe ricevuto la sola paga dal governo di 75 scudi e una razione di pane così come si faceva con il defunto Luca Demuro. Come era prevedibile, la proposta venne bocciata e l’intendente provinciale inviò un sacerdote-precettore, Francesco Bidali, che il Comune doveva regolarmente pagare dal suo bilancio.

Giovanni Battista Biancareddu è stato parroco per 16 anni. Nel 1824, richiamato a Tempio, prima di andar via, compilò un interessante inventario dei beni e degli oggetti presenti nella chiesa.

Anche dopo la partenza seguì da vicino il suo gregge, rispondendo alla comunità che lo interpellava per le sue necessità spirituali. Diverse lettere da La Maddalena confermano l’affetto di cui seppe circondarsi; nel 1829, alla morte del parroco Ferrandico, il Consiglio Comunitativo chiedeva al Vicario capitolare di riaverlo all’isola e lui, commosso, ringraziava dicendo che, malgrado la lontananza avrebbe sempre cercato di “favorire quella popolazione in tutto ciò che sarebbe stato di sua spettanza”.

Tratto dal libro “Santa Maria Maddalena faro di fede tra Corsica e Sardegna” – Paolo Sorba Editore – La Maddalena

1. II sindaco era Domenico Variano, i consiglieri Gio Giacomo Gambarella, Giuseppe Tosto, Domenico Culiolo e Giacomo Polverino. Sia Variano che Gambarella erano imparentati con i Millelire, ma questo fatto non costituiva un ostacolo alle loro prese di posizione nei confronti di Azara Bucheri (che aveva sposato una figlia di Agostino Millelire).

2. Ancora una volta la sede vescovile era vacante essendo stato trasferito ad Ales il vescovo Paradiso. Solo nel 1823 arriverà il sostituto Stanislao Mossa.