Queimada e la svolta internazionale
L’eco di questi temi e certamente in particolare della contestazione alla guerra in Vietnam, nonché anche in questo caso, e forse soprattutto in questo caso delle teorie fanoniane riferite al terzo mondo, permea la vicenda di Queimada (1969) film che Solinas scrive, insieme a Giorgio Arlorio, per la regia di Gillo Pontecorvo, e che rappresenta l’ultimo momento di collaborazione portata a buon fine tra il regista pisano e lo sceneggiatore sardo. Il soggetto del film, come già anticipato, è lontano parente degli western scritti da Solinas e in particolar modo di Quien Sabe? e Il Mercenario. In entrambi i film, così come in Queimada, si mette in scena il confronto-scontro tra civiltà occidentale e terzo mondo, personificato dai due personaggi principali che vanno a formare un bipolarismo parallelo inconciliabile, se non apparentemente. Le due logiche, come vedremo nel capitolo sul terzomondismo, differiscono in tutto, dal più piccolo particolare riguardante gusti nel bere e nel mangiare, all’atteggiamento verso la vicenda storica nel quale operano (da una parte la logica dell’impiego, del lavoro; dall’altra la passione, la volontà di azione non finalizzata al guadagno ma bensì alla conquista di libertà e dignità) fino alla opposta concezione dell’uomo e della società.
La genesi di Queimada è piuttosto curiosa, calcolando appunto che il film ricalca la struttura di Quien sabe? e del soggetto Il mercenario. L’idea era quella di non perdere, annacquato nelle necessità spettacolarizzanti e di semplificazione del western, un tipo di narrazione, una vicenda che a Solinas piaceva molto e che voleva inserire in un contesto più adatto. Ciò detto, Queimada risulta comunque essere un film d’avventura con un respiro spettacolare ma, col pieno controllo del copione, Solinas riuscì ad esprimere completamente il tema e a svilupparlo in modo consono alle sue esigenze di autore che crede fermamente nel messaggio che dal film scaturisce verso il pubblico. Così facendo la sceneggiatura affronta problemi di scottante attualità politica, con la speranza degli autori di contribuire a formare una coscienza nello spettatore all’indomani del tumultuoso .68, la cui eco si fa ancora sentire piuttosto da vicino. Il punto di partenza di Queimada fu una ricerca condotta da Giorgio Arlorio e Franco Solinas nella biblioteca di Fernando Morandi. In una vecchia enciclopedia si narravano le storie degli agenti segreti che operarono nella prima metà dell’ottocento per conto della corona inglese, col fine di sgretolare l’impero coloniale spagnolo. La tattica che questi usavano era quella di provocare focolai di ribellione nelle colonie spagnole per poi inserirsi nei nuovi mercati (questa la “nuova” logica capitalistico industriale delle compagnie inglesi) e dare atto ad un rinnovato sistema coloniale, questa volta di carattere commerciale, ampliando così il giro d’affari della corona inglese e reclutando manodopera malamente salariata (i nuovi schiavi). La pellicola si realizzò non senza difficoltà: Pontecorvo, che già aveva rifiutato Il mercenario per lo stesso motivo, vedeva in Queimada, in effetti un film d’avventura, ricco di esotismo, e dalla forte potenzialità commerciale, il pericolo di un eccessivo allontanamento dal suo credo neorealista. A ciò si aggiunsero comunque le perplessità della United Artist, che, al contrario, considerava Queimada un film eccessivamente sovversivo. Infatti, in un periodo in cui il Vietnam faceva molto parlare di sé, la storia di Walker sembrava scritta apposta per denunciare le ingerenze americane in campo militare e di politica internazionale (con L’amerikano Franco Solinas completerà il concetto che è già in Queimada e Quien sabe?, rapportandolo finalmente, fuor di metafora, al presente). Il produttore Grimaldi si vide dunque dimezzare i finanziamenti, e di conseguenza si pensò di fare un film pasoliniano, molto povero, al limite del simbolismo. La successiva adesione al progetto della star Marlon Brando garantì nuovi introiti consentendo l’avvio delle riprese. La critica, come per La battaglia di Algeri, reagì in modo contraddittorio al film che venne attaccato sia da destra che da sinistra, procurando ai due sceneggiatori (Arlorio e Solinas firmano insieme il copione) l’accusa di essere vicini alle idee imperialiste da una parte, mentre, proprio per i motivi opposti, dall’altra furono costretti a cambiare il titolo del film da Quemada (termine spagnolo per che significa “bruciata”, titolo della sceneggiatura) in Queimada (il termine portoghese) per le forti lamentele da parte del governo spagnolo. La pellicola, inoltre, impiegò dieci anni per trovare il suo sbocco distributivo negli Stati Uniti, attraverso la diffusione nei campus universitari, proprio perché considerata una parabola antimilitarista e di denuncia degli orrori del Vietnam.
Non molto tempo dopo, Solinas e Arlorio, restano legati al tema degli Stati Uniti, scrivendo una sceneggiatura che, nella sua interezza e complessità, virtualmente racchiude in sé, superandolo, il momento del western politico e della parabola avventurosa, spingendo lo sguardo verso le radici dell’eroismo nord americano. La vita è come un treno, come un treno, sceneggiatura scritta nel 1971, rappresenta non solo un film che, proprio come suggerisce il titolo, racconta del continuo peregrinare del protagonista Jeremia Mc Guire, ma si propone come un vero e proprio viaggio tra i generi che hanno fatto parte della filmografia di Solinas, dal western delle prime scene, dense di ampi spazi, alla miniera, per finire negli interni delle case nelle quali intere famiglie di immigrati e sottoproletari venivano stipati, fino alla descrizione dell’oscenità del gioco politico, colluso con la mafia che vede vincitori i violenti e i “venditori di fumo”. Si noti anche il riferimento alla Bibbia nel nome del protagonista, che è infatti molto religioso, oltre a condividere, con il profeta biblico Geremia, anche l’aspetto, almeno da quanto si può ricavare dalla rappresentazione che Michelangelo fa del profeta raffigurato sulla volta della Cappella Sistina, appunto in tutto simile al protagonista del copione: un uomo massiccio con lunga barba e lunghi capelli grigi.
Tuttavia il viaggio di La vita è come un treno si fermò sulla pagina scritta. Grimaldi propose la sceneggiatura ad Arthur Penn e a Sam Peckinpah, ma come lo stesso Penn previde, fu impossibile ottenere i finanziamenti dagli americani che, all’epoca, non accettavano una critica tanto dura alle basi della società americana, per di più fatta da un autore straniero.
Tra Queimada e La vita è come un treno, si inserisce un’altra esplorazione, un viaggio reale in Vietnam e Cambogia, dal quale scaturì il soggetto per Rien de Rien, altro progetto rimasto irrealizzato, del quale Fernando Morandi trasse sia una sceneggiatura per un lungometraggio (con la collaborazione laterale di Solinas) che un altro copione per un’eventuale serie in sei puntate.
Nel 1972-73 inizia la collaborazione tra Franco Solinas e Constantin Costa-Gavras, che durerà per ben undici anni. Solinas riesce a lavorare splendidamente con Gavras, pur non condividendone le idee politiche, come avverrà ancora in seguito con Losey, e dimostrando il valore di quella dialettica che informava tutti i suoi film. Ricevuta la proposta da Gavras, per scrivere un film ambientato in Sud America e ispirato alla storia di Anthony Dan Mitrione, i due si incontrano per poi recarsi in Sud America e compiere un viaggio investigativo al limite dello spionaggio. Il viaggio si rivelò naturalmente decisivo nella realizzazione della sceneggiatura di Etat de Siege (1973, titolo italiano L’amerikano), e del film conseguente. La pellicola ricostruisce, a partire dalla sua morte, la vicenda del rapimento di Philip Mike Santore e, in un delicato gioco di scatole cinesi, portando ancora a ritroso lo spettatore, smaschera lo statunitense Santore che da semplice tecnico di traffico e comunicazioni, si rivela come esperto di tortura e consigliere dei corpi di polizia nelle dittature in Sud America per conto della CIA.
Ancora una ricostruzione storica sarà Il sospetto di Francesco Maselli, in verità quasi una libera interpretazione della sceneggiatura Missione nell’Italia fascista che Solinas scrisse a partire da un soggetto dello stesso Maselli. Attraverso la drammatica vicenda di un militante in missione clandestina, si ripercorre un periodo tra i più tormentati del partito Comunista italiano, alle prese da un lato col consenso del fascismo, sia pure coatto ai tempi dei “trionfi” in Abissinia negli anni 30, e dall’altro con i pesantissimi problemi di riorganizzazione di un apparato e di una strategia più efficaci contro la dilagante azione persecutoria del regime mussoliniano. La vicenda è ambientata nel 1934, quando un operaio italiano comunista, fuoriuscito in Francia, viene inviato dal Partito, da cui era stato radiato per deviazionismo, nell’Italia fascista per prendere contatti con i compagni . In realtà Enrico, questo il nome del militante, viene usato come esca per stanare un infiltrato, e parallelamente preparare l’arrivo in Italia di un dirigente del partito.
La collaborazione tra Maselli e Solinas conobbe degli alti e bassi, proprio causati dal fatto che, come si accenna in precedenza, Maselli non intendesse rispettare pedissequamente il testo scritto da Solinas (per la stesura del quale occorsero ben 15 mesi), ma offrirne una rilettura per immagini. Così il regista ricorda quelle dure giornate di lavoro, nel quale egli, che rivendicava un assoluta libertà espressiva anche di fronte a sceneggiature “di ferro” come quella dello scrittore sardo, esprime il rammarico per il fatto che Solinas non fosse mai passato dietro la macchina da presa come regista, sottolineando così, la sua regia silenziosa, caratteristica fondamentale per un grande sceneggiatore. Maselli e Solinas lavorano nella casa di Solinas a Fregene: […] stavamo pomeriggi, su quel tavolo splendido, davanti a quella finestrona, sul fatto se c’era una pausa prima che il personaggio si alzasse, e per me già il fatto di dover prevedere in quel momento se l’attore si doveva alzare era fuori dal mondo, perché io credo molto nel rapporto partecipativo, collaborativo con l’attore. A volte c’era il problema della luce, cioè se una scena avesse una luce plumbea per cui, alzandosi, il personaggio entrava in ombra. Era molto faticoso e strano. La coscienza reciproca [era] che in quel senso era un lavoro inutile, perché entrambi sapevamo che io avrei rivissuto il film girandolo, e tuttavia gli era proprio impossibile, (almeno con me) non visualizzare nel ritmo, nei tempi, nelle immagini, nei colori, nella recitazione, ciò che lui poteva scrivere solo facendo la regia, il montaggio, il mixage, il doppiaggio, gli effetti sonori. La realizzazione del film, come si può intuire dalle dichiarazioni di Maselli, segnò di fatto la fine del breve sodalizio tra Solinas e il regista. Tuttavia il risultato della pellicola è di pregevole fattura, restando certamente uno dei migliori esiti, se non il migliore, di Maselli.
Proprio in quel periodo, alcuni giovani produttori, interpellarono Pontecorvo per la realizzazione di un film sulla grande retata contro gli ebrei a Parigi nel 1942, e il regista pensò ancora di scrivere il film col suo fedele collaboratore, Solinas. L’idea dello scrittore sardo, in accordo col regista, era quella di evitare il semplice racconto storico, lasciando invece la cronaca sullo sfondo per costruire una sorta di giallo che coinvolgesse un individuo, un singolo. Pontecorvo abbandonò presto il progetto, in disaccordo con la presenza di Alain Delon come protagonista, nonostante proprio la presenza dell’attore transalpino fosse determinante per il finanziamento del film. Il copione di Mr. Klein passò dunque per le mani di Costa-Gavras, e di seguito in quelle di Joseph Losey, che già aveva lavorato con Delon e si dimostrò entusiasta di una nuova collaborazione. La storia descritta nella sceneggiatura è quella di Robert Klein, ricco mercante d’arte scambiato per il suo omonimo ebreo (forse non troppo casualmente) durante l’occupazione tedesca. Siamo infatti nel 1942 a Parigi, l.uomo, una volta innescata la molla degli avvenimenti, impiega tutte le sue energie nel ritrovamento del suo ignoto omonimo, finendo per restare intrappolato nella tela che lui stesso sembra essersi costruito con la sua testardaggine. Il film ha due temi di fondo, uno è l’antisemitismo, l’altro è l’indifferenza, che maschera in realtà l’opportunismo politico e sociale del protagonista. Il primo è il tema evidente, l’altro quello latente ma realmente decisivo nel costruire il significato della pellicola: la sua vera dimensione drammatica è esistenziale più che storica. Per Solinas, Klein è il più significativo di una lunga schiera di indifferenti-opportunisti (indifferenti alla sofferenza, opportunisti rispetto al contesto storico) che popolano le sue sceneggiature a confermare la coerenza del discorso artistico dello sceneggiatore; a voler invece entrare nella filmografia del regista, per Losey il film rappresenta il successivo passo del discorso riguardante lo sdoppiamento della coscienza borghese, già iniziato con Il servo (The servant, 1963), e la sua estremizzazione.
Costa-Gavras e Losey sono gli ultimi registi con i quali Solinas realizza dei film, o comunque lavora fino alla completa stesura del copione. Nel 1977 scrive proprio per Gavras Il cormorano, sceneggiatura che ripropone, seppur con variazioni importanti, il dualismo tra due figure praticamente opposte seppur appartenenti allo stesso sistema culturale che si ritrova spesso nei copioni terzomondisti (Parà e Rien de Rien) quantunque questo copione sia ambientato in Portogallo. Le nuove dinamiche dell.economia mondiale e le strategie delle multinazionali, sono temi centrali del copione, ma lo è anche il passaggio del tempo, sempre presente nelle sceneggiature dello scrittore sardo, attraverso salti ellittici che da Kapò, passando per Parà e Algeri, fino a La Battaglia, suo ultimo copione, hanno sempre rappresentato, oltre al mero salto temporale, anche un forte cambiamento nei personaggi interessati. Il passaggio di tempo in questo caso è accentuato dal trionfo della “Rivoluzione dei garofani” in Portogallo. Per Charles, il protagonista, un uomo di cinquant’anni, non ci sono più le certezze di cui godeva al tempo di Salazar, e la fabbrica che gestisce per conto di una multinazionale statunitense si trova in difficoltà, tra scarsa produzione e scioperi degli operai che giustamente reclamano a gran voce il diritto a beneficiare di un salario e orari equi. Arriva in Portogallo Steve Morrison (si noti, oltre al topos dell’arrivo, l’aspetto di Steve: biondo, giovane, indolente e sorridente, come sono già stati tanti occidentali e statunitensi di Solinas). Il compito di Morrison è quello di monitorare il lavoro di Charles e stilare un rapporto dal quale dipende il futuro dell’uomo, decidendo per una dislocazione della fabbrica. Non più l’intervento diretto, duro, a mano armata, come poteva essere quello di Bill Tate in Quien Sabe?, ma il foglio scritto, le strategie che si affinano e operano in sottotraccia: se un luogo pare inadatto allo sfruttamento, non si tenta di piegarlo al proprio volere, ma semplicemente si cerca un altro paese, in questo caso la Corea del Sud. Il copione non trovò i finanziamenti e così il film restò sulla carta.
Stesso destino ebbe La battaglia, che rappresenta una sorta di punta estrema della scrittura di Solinas, un romanzo visivo nel quale lo stile raggiunge una rarefazione e una poeticità assolute, che fanno di questa sceneggiatura un testo che va molto al di là del cinema e della necessità traspositiva dello scenotesto. Il progetto impegnò l’autore per due anni e mezzo, dal gennaio .77 al giugno .79 (se ci si attiene alla data che il testo reca in calce: 8 giugno 1979), anche se il progetto di un film di ambientazione araba nacque ancora prima, ovvero tra il 1974 e il 1975, quando Losey fu contattato per realizzare una pellicola sulla vita di Ibn Seoud, e pensò in seguito a Mr. Klein di collaborare ancora con Solinas. Lo stesso Solinas, dopo aver terminato il copione, continuo a lavorarci, apportando ulteriori modifiche, nell’attesa, delusa, che Losey potesse partire con le riprese. Il fallimento del progetto costituì una grossa delusione per l’autore sardo, che pur nutrendo alcune esitazioni iniziali per le difficoltà a narrare nello spazio di un film, l’epopea di un eroe, la storia di un uomo e il nascere dell’Arabia moderna, si gettò sul progetto con enorme entusiasmo. Nonostante non si fece mai il viaggio in Arabia promesso dalla produzione, Solinas iniziò lo studio del Corano e altri testi arabi, dai quali ricavò le sue suggestioni, riuscendo a condensare in poche cartelle la vita di Seoud, unificatore dell’Arabia Saudita, e gli aspetti fondamentali del mondo arabo arcaico. Nel momento in cui la sceneggiatura venne portata a termine, per uno strano gioco di cessione dei diritti, il film finì in mano a Naim Atallah (scrittore e uomo d.affari di origine palestinese), il quale decise di escludere Losey dal film. A quel punto Solinas scrisse una accorata lettera proprio ad Atallah, che però non cambiò parere, confermando tuttavia la prosecuzione del progetto affidato questa volta nelle mani del regista statunitense Michael Darlow. Nonostante sulle pagine di “Variety” si annunciasse, nel 1981, l’inizio delle riprese del film The Desert King, scritto da Franco Solinas in collaborazione con Barbara Ray (che da collaboratrice consigliata da Losey era diventata invece persona di fiducia della produzione), il film non si fece, per problemi che probabilmente esulano dalla mancanza di fondi, e vanno ricercati invece nella volontà della famiglia reale saudita di affossare il progetto non gradito. Tuttavia questo per Franco Solinas, orfano di Losey e preoccupato per eventuali distorsioni del suo copione di cui aveva totalmente perso il controllo, fu un vero sollievo.
L’ultima sceneggiatura e fatalmente anche l’ultimo film per Franco Solinas fu Hanna K. diretto ancora da Costa-Gavras, regista che, insieme a Pontecorvo, è quello che più a lungo a lavorato con l’autore sardo. Già dopo La battaglia di Algeri, a Franco Solinas fu proposto più volte di occuparsi della questione palestinese, argomento centrale della pellicola, ma solo l’incontro con Gavras, anch’egli spesso impegnato sui fronti caldi della politica e della storia contemporanea, diede a entrambi l’occasione giusta di realizzare il progetto. La vicenda narrata è quella di Hanna Kaufman, avvocata alle prime armi, con dei trascorsi coniugali e sentimentali più o meno fallimentari. Immigrata in Israele, terra delle sue origini, Hanna si vede affidare la difesa del palestinese Selim, catturato dai soldati israeliani durante una retata. Il film, sullo sfondo dello scontro israelo-palestinese, racconta, con lo stile classico della commedia, un quadrato amoroso, nel quale si intrecciano le incertezze di Hanna, tra i suoi due uomini “occidentali” Victor il suo ex e Joshua attuale compagno dal quale attende inaspettatamente un figlio, e la presenza di Selim con il quale nasce una nuova relazione. Le vicende ci raccontano di una donna in forte crisi d’identità, di due occidentali indifferenti a quanto gli accade attorno e solo interessati l’uno a manifestare la propria gelosia verso il palestinese e l’altro a riconquistare la compagna e di Selim che non vedrà mai soddisfatto il desiderio di riavere la casa di famiglia, espropriata e ormai in territorio israeliano. Il finale, con Hanna che resta sola, ancora una volta, e “sceglie di non scegliere” nessuno dei tre uomini e Selim che va via per sfuggire a una nuova cattura, è l’amaro epilogo della storia narrata da Franco Solinas. Stesso amaro epilogo che toccò alla vicenda distributiva del film che in generale ebbe scarsa fortuna: accolto con freddezza e non poche critiche alla 40ª edizione della Mostra del Cinema di Venezia, la pellicola addirittura non fu mai distribuita in Italia, per cadere progressivamente nel dimenticatoio.
Alla luce di quanto riassunto fin’ora, è paradossale notare come gli anni di maggior successo e maggiore attività per Franco Solinas, ovvero quelli tra il .70 e l.80, sono anche quelli delle maggiori delusioni dal punto di vista professionale, visto che tre sue sceneggiature, La vita è come un treno, come un treno…, Il cormorano e La battaglia (ma sarebbe il caso di inserire anche il soggetto di Rien de Rien del 1969), non trovano la trasposizione cinematografica e restano nel cassetto. A questo si aggiunge il fatto che delle tre sceneggiature, sicuramente Il cormorano e La Battaglia restano tra le opere in assoluto più significativa dell’autore sardo, per un connubio di qualità che se da una parte vedono la perfetta costruzione della vicenda, il vivace uso delle ellissi spazio temporali, dall’altra si distinguono per il coraggio nell’eleggere il tema e nell’assoluta particolarità dello stile che pare elevare la sceneggiatura ad un opera letteraria tout court, discorso questo che trova consonanza soprattutto in riferimento a La battaglia. Resta per cui il rammarico di raccontare un autore del quale non si sono potute vedere alcune delle sue più brillanti intuizioni, e tanto meno si è potuto seguire una crescita che dalla qualità della scrittura si riporta facilmente anche all’ambito professionale, che lo vedeva prossimo ad una collaborazione con Martin Scorsese. Infatti Franco Solinas morì nel 1982, proprio alla vigilia di un viaggio negli Stati Uniti, nel quale avrebbe dovuto incontrare il regista americano per discutere di un nuovo film sul gioco, un’altra idea non sviluppata.
Gianni Tetti