Racconti e altri scritti
Ottenuta la tessera del Partito Comunista Italiano e dopo un breve periodo di prova, Franco Solinas inizia dunque a collaborare con L’Unità in qualità di vice-critico cinematografico: la scrittura diventa per il giovane intellettuale una professione, seppur molto precaria. Contemporaneamente alle recensioni cinematografiche scrive anche una decina di racconti databili negli anni che vanno dal 1946 al 1950. I racconti constano di due blocchi, e un primo blocco è rimasto inedito fino al 2001, anno della pubblicazione da parte di Ilisso. I testi del primo blocco, sono certamente precedenti rispetto agli altri. A testimoniarcelo è innanzitutto il maggiore legame con l’attività poetica, soprattutto per quel che riguarda l’ambientazione, principalmente mutuata da ricordi evidentemente legati a luoghi e personaggi del contesto sardo, e più precisamente maddalenino che è ancora il più congeniale allo scrittore: Stornelli all’osteria, Per un barile di vino, Ritorno in motozattera, Cacaspiagge e Quattro piani di scale, costituiscono, dunque, un punto di incontro tra l’esigenza scrittoria del giovane Solinas e la sempre presente immagine della Sardegna, elemento ormai idealizzato e legato ad un tempo che non c’è più. Questo corpus di racconti, confluisce infatti in misura non sempre identica (a volte restano le suggestioni) all’interno di Squarciò, se si eccettua Ritorno in motozattera, un resoconto fortemente autobiografico di uno dei tanti ritorni a casa da Roma. Tra tutti i racconti, è certamente Cacaspiagge, il più legato al romanzo del 1956. Nel racconto si narra la storia di un maresciallo della Guardia di Finanza, chiamato appunto con disprezzo Cacaspiagge dai pescatori di frodo maddalenini, tra i quali si distingue proprio Squarciò, suo amico di infanzia. In nuce il nucleo del romanzo Squarciò (1956) a partire dalla presenza della stesso pescatore e dei suoi sodali, è tutto presente nel racconto. Cacaspiagge non è dunque soltanto il più elaborato tra i racconti maddalenini, ma anche il primo abbozzo per Squarciò, che resterà il primo e unico romanzo di Franco Solinas e il cui adattamento segnerà l’esordio su lungometraggio per Gillo Pontecorvo.
Altri racconti brevi, ascrivibili ad un secondo corpus, ben distinto dal primo per stile ambientazione e caratterizzazione dei personaggi vengono pubblicati nel 1950 su Paese Sera (Con quelle mani, La chiromante e il destino, La finestra di Felicina) mentre il racconto Uno di loro trova spazio tra le pagine di Vie Nuove sempre nello stesso anno. I quattro racconti sono accomunati da una struttura narrativa comune che fa leva sulla descrizione realistica di un’umanità sottoproletaria e certamente vicina ai personaggi tanto cari alla poetica neorealista che in quegli anni si andava consolidando. Inoltre, la struttura dei racconti risente in ogni scritto di una standardizzazione, al pari della cifra stilistica, dovuta in parte o completamente alla necessità di pubblicazione su rivista, che costringeva uno scrittore ancora giovane e non affermato come Franco Solinas, ad uniformare il proprio stile e le proprie storie su esempi di comprovato successo.
Su Paese Sera saranno pubblicati anche due interventi giornalistici, due commenti, che hanno certamente il merito di mostrarci, farci conoscere le idee e la verve politica di Franco Solinas: per ciò che riguarda il primo, “I dieci” di Hollywood, si tratta di un pezzo di stretta attualità, dal taglio prettamente giornalistico, nel quale lo scrittore sardo racconta, o per meglio dire informa del destino di dieci tra registi, sceneggiatori e scrittori, accusati, processati e condannati negli Stati Uniti a seguito della “caccia alle streghe” da parte del senatore Mc Carthy e della commissione da lui presieduta. Lo spunto cronachistico diventa un’occasione per interrogarsi sulla libertà di espressione, sulla superficialità dei messaggi dell.Hollywood system e sulle ripercussioni che una tale mancanza di rispetto per l’arte e la libertà di espressione potesse avere in Italia. Oltre a ciò, il testo è certamente interessante per comprendere il concetto di cinema e di arte di Franco Solinas: […] rendere vivi sugli schermi uomini veri, ispirandosi alla realtà quotidiana, battendosi per la libertà, la comprensione, la pace tra i popoli che dovrebbe essere l’aspirazione più degna di un artista. («I dieci di Hollywood», Paese Sera, 29/04/1950.) Ma, non sempre l’artista può esprimere ciò che pensa, scrive lo sceneggiatore, riferendosi al maccartismo ma conservandosi per il finale un rimando alla situazione italiana: […] chi vuol dire altro, chi combatte la guerra, chi denuncia la miseria, o il razzismo contro negri ed ebrei, questi è sovversivo pericoloso, antiamericano, da trascinarsi avanti un tribunale, da cacciare in galera. Niente è più inequivocabile di queste parole per intendere il Solinas che sarà, la sua idea di cinema, la sua scelta politica e professionale. Anche in Vergogna dei ricordi il racconto unisce l’esperienza umana, il ricordo quasi nostalgico, toccante, con la coscienza politica, che è appunto causa di quella “vergogna”. Lo scrittore sardo racconta, in prima persona, i suoi ricordi di bambino e di ragazzo che ha passato tutta la fanciullezza in epoca fascista. Vergogna dei ricordi assomiglia più ad un racconto, personale e sentito, che ad un commento di tratto giornalistico. Il forte autobiografismo del pezzo lo rende quasi una confessione che il giovane scrittore sardo sentiva evidentemente la necessità di fare, ammettendo ora di vergognarsi di quell’infanzia in cui anche lui, come gli altri, era fascista. «La nostra fanciullezza venne su male» ricorda Solinas, che parla con amarezza di anni tutti uguali, passati a cantare le canzoni del fronte, anni in cui nessuno spiegò ai giovani delle brutalità della guerra, anni nei quali quei fanciulli, alla fine, videro direttamente la guerra in faccia e nascosti nei rifugi, sperando che tutto passasse presto, sentirono chiaro l’amaro sapore della realtà: «fu là per la prima volta che udii maledire la guerra», scrive Solinas. La conclusione dell’intervento sembra anche la sottolineatura del momento in cui un’intera generazione prende coscienza riguardo alla guerra e al fascismo.
Gianni Tetti