Squarciò – Capitolo I
Squarciò, romanzo di Franco Solinas
È il tempo migliore per pescare. Di settembre i pesci abbandonano i grandi fondali e si avvicinano alla costa.
Laggiù, poi, dove l’ultima isola dell’arcipelago si allunga con una striscia di scogli verso ponente, c’è sempre stato un passo d’eccezione. Le spigole arrivano a centinaia e giocano e saltano sotto gli scogli perché l’acqua è ancora tiepida e l’erba è tenera e dolce. Un posto straordinario davvero, soltanto è difficile raggiungerlo perché laggiù il mare è sempre in burrasca. Per questo è una giornata da ricordare. Una giornata di bonaccia. Il mare, denso come piombo fuso, è immobile. Eppure il cielo è coperto da nuvole così basse che tagliano a metà la luce del sole appena sospeso sull’orizzonte. Ma il mare è calmo, e finché dura non importa nient’altro.
Dei pescatori dell’isola, Squarciò è l’unico che conosce quel posto. La notte prima, alle undici, era rimasto per un po’ in cima al molo, a guardare il cielo tutto intorno e la direzione delle nuvole. Alle tre, ha svegliato Bore e Antonino, e sono partiti subito.
Ora è là, steso su un quadrato di sabbia. La sabbia è morbida e rossa. Anche la roccia di granito, dove Squarciò si appoggia con la schiena, è rossa di sangue. Lui se ne sta fermo, con le gambe maciullate, con due buchi larghi e neri al posto delle ginocchia. Ma non sente dolore, basta che non guardi le gambe per non sentire dolore. E Squarciò guarda verso il mare, che è piatto e immobile come mai l’aveva visto laggiù in tanti anni.
«Ecco, – pensa Squarciò – è l’ora migliore. Ora le spigole vengono a terra per mangiare, e vanno a branchi. Basta star fermi, basta stare attenti che l’ombra non le disturbi. Sì e no mezzo chilo di polvere e due centimetri di miccia. Non occorrono più di due centimetri perché a quest’ora le spigole nuotano in pochi palmi d’acqua. Un giochetto da niente, ma non basta conoscerne il meccanismo».
A tutti quelli che gli dicevano che era un mestiere facile, Squarciò aveva sempre detto di provare. Credete che basti saper combinare una bomba? Non ci vuole neanche coraggio, perché sembra tanto facile, semplice, tanto impossibile che vada male. Anche Squarciò diceva così: – Chi ci rimane non ne capisce proprio di queste cose. Peggio per lui.
Ma bisogna essere pescatori, pescatori sul serio. Conoscere mare, venti, stagioni. Conoscere i fondali palmo palmo: bene come la strada di casa, come la piazza, come il pavimento dell’osteria. Sapere i posti più pescosi, che ormai non sono più tanti. E navigare notte e giorno, il più lontano possibile, perché i finanzieri sono pagati a posta per cercarvi. E poi guardate: il mare sembra tutto uguale.
Credete che sia buono dovunque, credete che basti gettare bombe dove capita solo che l’orizzonte sia libero e l’acqua calma? Non c’entra la fortuna. Per questo Squarciò, che pure sta finendo in quel modo, è stato il più grande pescatore.
Lo sarebbe stato dovunque, anche con le reti. Soltanto che queste non bastano per far vivere un uomo e la sua famiglia.