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Squarciò – Capitolo II

Squarciò, romanzo di Franco Solinas

– Dobbiamo sbrigarci! – diceva un pescatore. Il padre di Squarciò diceva di aspettare, perché pensava a casa dove non si vedevano più soldi da troppo tempo. C’erano altri due pescatori, e c’era Squarciò, che a quel tempo aveva dodici anni. Era settembre anche allora, e anche allora le spigole venivano a branchi sotto gli scogli. Ma il mare non era così. Si gonfiava in larghe onde senza cresta.

Tutto nero era il mare, come se non ce la facesse più a trattenere quella grande forza che gli covava di dentro.

Avevano calate le reti a ridosso della punta, e aspettavano intorno al fuoco con la barca ormeggiata sottovento.
Squarciò si divertiva a cercare i grandi granchi fra gli spacchi di roccia. Li attirava con uno straccio bianco, e poi di colpo allungava una mano badando di stringerli per le tenaglie.

Suo padre diceva ancora di aspettare. Sapeva che  rischiavano tutto, ma pensava a casa e diceva di aspettare.

Finché il mare sembrò scoprirsi d’un tratto, come se una mano invisibile gli avesse strappato via di dosso quel nero mantello pesante. E fiorì il bianco e il verde chiaro, e le onde si alzarono d’un metro. Cavalli bianchi sfrenati galoppavano sulla linea dell’orizzonte.

Ormai non si vedevano più i galleggianti delle reti. Le maglie delle reti si strappavano sugli scogli del fondo. Le spigole prigioniere guizzavano via con un colpo di pinne.

Per due ore essi vogarono cercando di tenere ferma la barca con la prua al vento. I pochi pezzi di rete che riuscirono a ricuperare neanche le dita esperte delle loro donne avrebbero mai più potuto rimagliarli.

Squarciò non ha dimenticato quel giorno e gli altri che seguirono. Non ha dimenticato la faccia di suo padre e di sua madre, e i fratelli che avevano fame. Ma lui aveva dodici anni. Poteva essere triste quando se ne stava a casa, e fuori era come sempre.

Andava dall’altra parte dell’isola a caccia di gabbiani che poi vendeva per una lira l’uno ai turisti dei panfili.

Per venderli doveva sempre giurare che era possibile ammaestrarli e che portavano fortuna. Lo sapeva che i gabbiani non si addomesticano: ma pur di venderli giurava sempre, accavallando però l’indice e il medio della sinistra dietro la schiena così da poter giurare anche sulla Madonna senza commettere peccato.

Ci sono due ore buone di strada per raggiungere l’altro versante dell’isola. Squarciò si tirava dietro un carretto fatto di tavole su quattro cuscinetti a sfere. Sopra ci teneva legata una grande nassa da aragoste, che serviva da gabbia per i due uccelli di richiamo. Il posto era sempre una breve striscia di spiaggia tutta circondata da rocce. Legava i due gabbiani, uno distante dall’altro, con due pezzi di spago così che nell’inutile tentativo di volare via sbattessero sempre le ali come se stessero invece per posarsi. Poi nascondeva nella sabbia tante lenze di filo di Spagna, lasciando scoperti gli ami innescati con pesce. Allora era pronto, e poteva attendere nascosto dietro una roccia.

Arrivavano i gabbiani, che avevano visto di lontano i loro compagni sbattere le ali come per posarsi. Arrivavano e volavano lenti in larghi giri, si alzavano e si abbassavano finché vedevano le sardine sparse sulla sabbia. Esitavano un attimo prima di lanciarsi, un attimo soltanto perché sono abituati con i pesci, che nuotano in superficie, ma possono immergersi all’improvviso e sparire per sempre.

Così Squarciò ne prese due di quei bianchi uccelli dalle ali larghe e dal becco giallo e duro come quarzo. Gli ami si conficcarono nei palati, e i gabbiani lanciarono dei gridi rauchi e irritati come se a provocarli non fosse stato tanto il dolore quanto la rabbia di essere caduti nell’inganno.

Squarciò liberò i due gabbiani dagli ami e li rinchiuse nella nassa. Attese ancora, e ne giunsero altri a volare in cerchi sempre più stretti. Quando risuonò un’esplosione così forte che tremò tutta l’aria, essi volarono via.

Poi un’altra esplosione sempre dalla stessa parte al di là delle rocce.

Mentre era tornato silenzio, Squarciò si mosse incuriosito.

Intanto il cielo si andava popolando di gabbiani, che in quella direzione volavano bassi con gridi acuti e improvvisi.

Squarciò raggiunse le rocce, si affacciò a piombo sull’acqua.

L’acqua era immobile e trasparente. Una barca navigava intorno, e due uomini ora si chinavano sul mare ora agitavano i remi in alto per cacciare via i gabbiani affamati.

Squarciò se ne stava nascosto, e vedeva galleggiare in superficie decine e decine di pesci appena morti. Venivano su dal fondo con le pance bianche, e alla fine quel pezzo di mare era bianco e grigio, era a scaglie scintillanti.

C’erano spigole e dentici, c’erano cefali di scoglio dal muso tondo e nero, c’erano i larghi saraghi. C’era tanto pesce che mai Squarciò ne aveva visto insieme dopo un giorno di pesca con le reti.

Quando la barca fu piena, sembrava che trasportasse argento e oro sotto il sole al tramonto. E quei due uomini sembravano ladri, così silenziosamente si allontanarono, vogando sottocosta, chini in avanti e a tempo su tutta quella ricchezza.

Allora Squarciò vide che ancora il fondo del mare restava bianco, e si tuffò. Sul fondo restano i pesci cui la bomba esplode troppo vicino e fa scoppiare la vescica.

Ce n’erano di piccolissimi e di grandi. C’era una cernia enorme, incastrata fra due rocce, e Squarciò la prese e la portò a galla pensando che pesava più di dieci chili.

L’avrebbe venduta al grossista, ma immaginò che si conoscono i pesci morti per bomba. La diede al padre, e il padre la portò al grossista perché i finanzieri non possono farti niente se non sei preso in flagrante.

Pesava dodici chili. Squarciò disse anche a suo padre di quella barca piena e di quel mare e di quel fondo bianco di pesce. Suo padre disse che quelli che pescano così impoveriscono il mare e non pensano come potranno vivere i loro figli. Era troppo vecchio suo padre per farsi convincere che c’era un’altra scelta. Era tanto vecchio e tanto stanco che morì prima di riuscire a comprarsi una rete nuova.

Squarciò vide allora i suoi fratelli partire. Chi andò in Cina su di una nave regia, chi in America, chi clandestino in Francia. Squarciò era ancora un ragazzo, e dovette restare con sua madre. Ma i soldi che guadagnava andando a remare a giornata sulle barche degli altri non potevano bastare neanche per lui. E spesso Squarciò udiva ancora giungere di lontano l’eco di altre esplosioni, e allora arrestava per un attimo il ritmo della voga.

Quando sua madre morì, Squarciò aveva vent’anni. Sua madre morì di anemia, e ci volle quasi un giorno prima che Squarciò si accorgesse che era morta. Perché la morte rende freddi e bianchi, ma la pelle di quella donna era da tanto tempo bianca e fredda come se lei non avesse più sangue. Se ne stava per ore immobile sul letto, senza ascoltare né rispondere anche se era sveglia. Per questo, Squarciò non si accorse subito che era morta. Il medico aveva ordinato carne e medicine, cose che nell’isola nessuno comprava mai e perciò costavano tanto. Squarciò, alla fine, era andato di notte nei magazzini della cava a rubare micce e detonatori.

Quando sua madre era già morta, Squarciò cucinava una enorme fetta di filetto, e aspettava il medico per le iniezioni. Il medico venne e disse che sua madre era morta da almeno dieci ore. Squarciò dovette mangiarsi lui tutta quella carne, e riportò le iniezioni al farmacista.

Così iniziò la sua storia di bombardiere. La fine della sua storia è là, a ridosso di quel granito, in riva a un mare in bonaccia.