Squarciò e il mare
La letteratura di mare riscuote in questo momento un grande successo di vendite tanto che sono comparse, negli scaffali delle librerie, diverse novità editoriali – prima fra tutte l’autobiografia di Giovanni Soldini Nel blu (Longanesi Editore), ma vogliamo ricordare altri romanzi d’avventura quali La carta sferica di Arturo Pérez Reverte (Tropea Editore) oppure Atlantide di Clive Cussler (Longanesi Editore) – dove la barca, il viaggio e la sfida con gli elementi della natura rappresentano i principali ingredienti di una trama narrativa che trova le sue origini nella “grande tradizione” letteraria di Joseph Conrad (Nostromo, Lord Jim e Lo specchio del mare), di Jack London (Racconti del Pacifico e Il lupo di mare), di Herman Melville (Moby Dick) o di Robert Louis Stevenson (L’isola del tesoro).
Nel panorama della letteratura in Sardegna, nonostante il rapporto strettissimo con il mare, non pare vi siano tracce frequenti di racconti di ambientazione marinara. Il titolo che più di tutti si avvicina al romanzo di mare è Squarciò di Franco Solinas (Feltrinelli, Milano 1956), lo sceneggiatore maddalenino che ha collaborato con i più grandi registi europei, prematuramente scomparso nel 1982.
Ambientato nel mondo dei pescatori dell’arcipelago della Maddalena, il libro narra le vicende di un pescatore di frodo soprannominato Squarciò. Alla vita stentata del pescatore che impiega le reti Squarciò ha preferito quella più rischiosa ma redditizia della pesca con gli esplosivi. Una scelta, la sua, che lo mette in conflitto non solo con la guardia di Finanza, con la quale ingaggia un vivace duello fatto di appostamenti e di fughe per non essere colto sul fatto, ma anche con la comunità dei pescatori che rimane sempre in bilico tra l’ammirazione per chi sfida rischi maggiori e supera i limiti comuni e il senso di riscatto che deriva, comunque, dall’assistere alla sconfitta del nemico.
Il romanzo appassiona chi lo legge perché propone una serie di valori simbolici, quali quelli, come accennato, della vittoria e della sconfitta, che caratterizzano non solo la lotta di Squarciò contro il mare, ma anche i profondi conflitti di coscienza tra i codici non scritti della comunità in cui vive e le leggi dello Stato, e, soprattutto, la sfida con se stesso e con la sorte.
Ma più che da questo plot il lettore è avvinto dalle vicende del pescatore che vive intensamente il rapporto con il suo mare, ne conosce le coste e i fondali pescosi.
Solinas descrive, infatti, pur senza nominarlo, l’arcipelago della Maddalena con le sue isole, le diverse insenature, il colore del mare, i luoghi dove era solito veleggiare nei lunghi periodi di villeggiatura.
Con Squarciò scopriamo, quindi, il tempo più propizio per pescare le varie specie di pesci, come le spigole che saltano o imbiancano il fondale col balenio latteo del ventre che riflette la luce del sole, i saraghi, i dentici, oppure i muggini che vengono alla superficie in un pullulare di musi e di guizzi nello specchio calmo del mare. Entriamo nelle rade dei vari calanchi, vediamo l’infrangersi della schiuma delle onde sugli scogli, la furia della burrasca e la calma silenziosa della bonaccia in cui il mare ha il colore e la densità del piombo fuso.
“Di settembre i pesci abbandonano i grandi fondali e si avvicinano alla costa. Laggiù, poi, l’ultima isola dell’arcipelago si allunga con una striscia di scogli verso ponente, c’è sempre stato un passo d’eccezione. Le spigole arrivano a centinaia e giocano e saltano sotto gli scogli perché l’acqua è ancora tiepida e l’erba è tenera e dolce. Un posto straordinario davvero, soltanto è difficile raggiungerlo perché laggiù il mare è sempre in burrasca. Per questo è una giornata da ricordare. Una giornata di bonaccia. Il mare, denso come piombo fuso, è immobile. Eppure il cielo è coperto da nuvole così basse che tagliano a metà la luce del sole appena sospeso sull’orizzonte. Ma il mare è calmo, e finché dura non importa nient’altro.”
Riconosciamo l’orgoglio della sfida per primeggiare, le emozioni forti dell’andare per mare. Una passione che è fatta di pazienza, di continua ricerca per migliorare la propria attrezzatura.“Comprò un motore di un vecchio camion, pagandolo a peso. Un mese intero con carta vetrata e petrolio per levargli la ruggine. Squarciò voleva dare un motore alla sua vecchia barca. Quando si mise in moto la prima volta, fu come se lo avesse inventato lui. …… Finalmente nacque quel suono meraviglioso ….. Il motore prese a cantare, e la poppa si abbassava a pelo d’acqua. Il mare schiumava rapido, sempre più rapido, per poi distendersi al ritmo giusto, senza scosse, domato da una miracolosa potenza.”
Prendiamo atto che quando la vita viene vissuta come una sfida l’imponderabile è sempre in agguato, proprio quando si ha la sensazione di essere giunti al termine dell’impresa.
Così accade anche a Squarciò. Un piccolo errore, lo scarto di un millimetro appena, può rovinare tutto.
“Lo scalpello slittò d’un millimetro mentre Antonino abbassava la mazza. Squarciò non se ne accorse neppure. Neanche Antonino fece a tempo ad accorgersi di quel che succedeva. Bore sentì l’esplosione, e si voltò soltanto meravigliato perché non era ancora tempo. Ma allora vide Squarciò per terra e Antonino riverso da una parte…. Squarciò sapeva così, sapeva che non era stato un incidente. Gli uomini non muoiono mai per caso, mai per destino o per una giustizia sconosciuta. Lo scalpello aveva slittato di un millimetro, e c’erano tante ragioni perché questo era accaduto. Le ragioni che valevano per Squarciò erano costate anche a suo figlio. Ma non si trattava di un incidente”.
Il congedo di Squarciò dalla moglie e dai figli, dalla casa, dal mare, dalla vita è raccontato con una intensità lirica che tende a smorzare l’effetto tragico del finale.
“Il sole è a piombo, ma il caldo è diminuito. E’ nato il vento fresco dell’est, e la sabbia si solleva intorno a Squarciò turbinando, si impasta sulla sua faccia sudata, gli penetra fra le labbra, negli occhi. I gabbiani volano gridando in cerchio sulle rocce. I grandi gabbiani e i piccoli col grigio delle piume che va stingendosi. Un magrone passa rasente sulle onde col collo teso e il frullo d’ali rapido e intenso. Lo incontra lo sguardo di Squarciò mentre percorre ansioso la linea dell’orizzonte, e lo segue fino a vederlo sparire”.
Squarciò, dopo aver ordinato al figlio Bore di salvare il fratello, rimane solo con il mare ad aspettare la morte.
“Squarciò non ha più niente da pensare. Sa che è ormai inutile spingere gli occhi fino all’orizzonte, perché sa quante ore ci vogliono per raggiungere l’isola da quel posto e quante altre per ritornare. Squarciò ora guarda il mare e non sente dolore. Il mare, che adesso non è più calmo per pescare come pescava lui. Eppure all’alba era così piatto, così trasparente. Ed è settembre, il tempo migliore per la pesca”.
Gianni Tetti