La Maddalena AnticaStorie e Memorie

In un gomitolo di strade

Poi il vento poco a poco si alza, tesa le vele, le gonfia, e schiocca il pavese.
Leviamo le ancore, si salpa.
Fuori alla cala il veliero, prua al vento, prende il largo, il mare è increspato, assai.
Intorno un colore celeste confonde il cielo col mare, partiti!, ogni uomo al pezzo!.
Il cortile di casa mia, all’Ospedale Vecchio adesso scivola, salpa, va via, le vele del bucato di mia madre, profumano turchinetto, lenzuola, federe, portate dal vento, e qualche sdrucita canotta a pavese.
Pirati su quanti navigli! arrembaggio miei prodi, arrembaggio! e rum a fiumi per tutti.
Improvviso l’allarme dalla tolda: tutti gli uomini in coperta, cacicco all’orizzonte!
Invece è mia mamma.
Ma com’è che c’è sempre uno “grande” che ci attraversa i sogni con gli scarponi chiodati, com’è?
Proprio adesso che ero comandando al mio equipaggio? io, il Commodoromulasandrea, quattro anni appena fatti, gioco finito: perché?
“Andrea, v’a vedere se sono quelli del DDT, ché se sono loro non gli apro.
Eh, no, questa volta non gli apro!”.
Vado vedo: sono loro, quelli del DDT.
“Chiudiamo, chiudiamo!”
ma come “chiudiamo” ‘o ma’, che qui ci sono tutte le finestre aperte, lo capiscono che non vogliamo aprirgli.
“Capiscono quello che gli piace! Io non gli apro, non ce la faccio a resistere a quella puzza, non è possibile! Meglio me ne vado, gua’! non gli aprire, eh! non gli aprire!”.
Invece gli abbiamo sempre aperto, anche perché dice che se no se lo segnano che non gli avevi aperto, e c’era una multa in aggiunta. Salata, pure.
Certo che quelli del DDT, poveracci, i primi che se lo respiravano erano loro, erano tremendi.
Non tanto loro quanto il DDT, voglio dire.
Arrivavano in due: uno ci aveva sulle spalle uno “zaino”, un bidone come quello per dare lo zolfo alle vigne, a tracolla, in una mano teneva la leva della pompa, nell’altra la lancia per spruzzare.
Non si salvava un angolo, un buco, niente, arrivavano dappertutto, fino al chiusino della fogna in cortile (lì però c’erano tamante pontiche!), sempre spruzzando con quella maledetta pompa questa cosa lattiginosa, che pareva il bario delle lastre, ma più liquida però.
La puzza prendeva alla gola.
Aprivamo tutte le porte, tutte le finestre, niente, fino a che ce ne dovevamo uscire fuori, aspettando che passava.
Ma ci voleva tempo ci voleva, e intanto ti si seccava il naso, ti pigliava il fiato.
In terra, sul cemento grigio, scarafaggi morti da ogni parte, con la pancia al sopra, stichiriddhiti, ancora mollando calci all’aria.
Poi com’erano venuti, da fuori, non li conoscevamo proprio, se n’andavano, quelli del DDT.
Prima però, quello senza la pompa in spalla, e che aveva una boatta di vernice nera nella sinistra e un normografo di latta zincata nella destra, l’appoggiava allo stipite destro della porta, fuori, e spennellava 9 DDT 1954, per dire, ogni anno cambiava la data.
E se ne tornavano da dov’è ch’erano venuti, tu v’a sape’ da undi.
Mai che gli abbiamo offerto un bicchierino, una cosa: prima se n’andavano e meglio stavamo, poveracci pure loro però, cumpagn’a noi, a pensarci adesso.
Che DDT fosse l’acronimo di

Dicloro
Difenil
Tricoloetano

ci sono voluti anni per saperlo.
Adesso apprendo pure che è stato “il primo insetticida moderno (e l’antichi, cumi erini?, “ndr”), usato dal 1939 per debellare la malaria. In Italia si ricorda in particolare il suo uso a questo scopo in Sardegna dove la malattia era endemica, che ne consentì l’eradicazione”.
Roba bona, si vidi.
Dice che “il rischio di tumore dovuto al DDT può passare in secondo piano davanti alla riduzione dell’elevato tasso di mortalità dovuto alla malaria”.
In una sua nota del 1950 il “Food and Droog Administration”, già allora, attestava che “con tutta probabilità i rischi potenziali del DDT erano stati sottovalutati”.
Adesso però, a parte ogni diatriba scientifica o politica, cosa ce ne resta a noi, in fondo in fondo, di tutta questa vicenda, tanto liminare?
Che poi sarebbe come a dire: “cosa ci n’affutti a noi?”
Bah, a parte che ogni indifferenza resta pur sempre una manifestazione di ignoranza, voglio dire solo che in un carrugio dell’isola c’è una scritta che qui vedete, forse la sola che si sia salvata, ad opera di un benemerito che vorrei tanto conoscere e salutare con affetto.
Storia triste quella delle vicende di quel tempo, ma pur sempre storia, la nostra.
Temo che, chi non sappia dove sia questa scritta, di Maddalena conosca solo il percorso Piazza Comando – Cala gavetta, poi basta.
E invece no, bisogna perdersi “in un gomitolo di strade”.
“Und’un ghiumméddhu di carrùgghj”, se ghi piaci di più, feti voi avali.
Sì, “in un gomitolo di strade”.

Andrea Mulas