La Maddalena AnticaStorie e Memorie

1861, intervista a un maddalenino di 98 anni

Siamo nel 1861 e a Cala dei Gavetti abbiamo intervistato un simpatico vecchio, Domenico Maria Cogliolo: I fatti da lui narrati sono comprovati in documenti e in pubblicazioni.

Lei è maddalenino? Mi racconta la sua vita?

“Io sono nato a Caprera, 98 anni fa (1763 ndr), e sono nato Genovese, suddito della Serenissima Repubblica di Genova, amata dalla mia famiglia che era della colonia genovese di Bonifacio. Sono stato battezzato in questa colonia bonifacina del possedimento Genovese dell’isola di Corsica, poi, quattro anni dopo, la mia famiglia scelse e accettò di divenire suddita del re di Sardegna: io sono quindi cittadino del Regno di Sardegna: da 94 anni, Regno che oggi è diventato Regno d’Italia, di cui fa parte dal 1851 anche il territorio della Serenissima Repubblica, a riprova della scelta giusta della mia famiglia. Il Regno d’Italia non ha aggiunto un metro quadro rispetto al precedente, per la maggior parte conquistato dal nostro Giuseppe Garibaldi. La Spedizione militare del Re sardo aveva occupato militarmente Caprera, nel 1767 ponendo un cannone sulla sommità di Caprera, in teoria contro i Corsi e in pratica minaccioso sopra le nostre teste. Noi eravamo 15 famiglie e 71 abitanti in tutto, e le nostre capanne stavano sotto Tejalone, nascoste alla vista del mare, per paura dei pirati Saraceni. Tutte le famiglie allevavano pecore e capre e mettevano da parte il formaggio per venderlo a Bonifacio, insieme al grano che coltivavano: ci andavamo una volta l’anno, a Luglio, rimanendovi due mesi, per essere presenti alla festa di Santa Maria Maddalena, nella chiesa di San Domenico e alle cerimonie dell’8 Settembre alla chiesa della Trinità (sempre a Bonifacio ndr). Arrivavano quattro bastimenti da Bonifacio e partivamo tutti insieme, per difesa dai Saraceni, dopo aver nascosto nelle grotte le sementi per l’anno dopo: di passaggio, sbarcavamo a Santa Maria i capretti e gli agnelli ultimi nati, perché lì c’era una pozza d’acqua e noi dovevamo stare fuori due mesi; così ci era più facile andare a Santa Maria ogni tanto per controllarli. Questa vita durava da secoli, uguale a quella dei nostri concittadini e parenti che stavano nell’isola della Maddalena, nella piana della Guardia”.

C’erano quindi altri Corsi alla Maddalena e in Sardegna?

“I Corsi stavano in Sardegna, noi genovesi di Bonifacio siamo sempre stati nelle Isole, sicuramente almeno dal 1200. Noi soli avevamo il diritto di avere casa a Bonifacio, il diritto di porto d’armi, il diritto di erbaggio nelle Isole e il diritto di commerciare senza pagare dazi doganali. I Cori invece erano sudditi, senza questi diritti e senza il nostro linguaggio: emigrarono in Sardegna per povertà e lì entrarono in rapporto con i banditi della Gallura, in particolare di Aggius, che avevano il loro stesso linguaggio. Rubavano e facevano il contrabbando insieme a loro; due Corsi fuggiti si ripararono a Spargi e a Budelli, partecipando al contrabbando. Questi nascondevano il bestiame rubato nelle Isole e poi lo portavano in Corsica, con la complicità di due sciagurati bonifacini, come allevato qui. Per questo motivo ogni tanto arrivavano le mezze-galere Sarde per arrestarli, ma da Budelli a Bonifacio era facile fuggire, mentre gli arresti erano frequenti a Cala Sarraina, sulla costa (sarda nrd). Per questi sciagurati, siamo stati accusati anche noi e non abbiamo avuto rapporti con i Sardi, nemmeno adesso che è passato un secolo”.

Domenico Cogliolo, sa che la Sardegna dal 1720 faceva parte del Regno?

“Tutta. Tutti i nostri anziani ci hanno insegnato che quella storia non ci riguardava. Vero è che la Sardegna era compresa in quell’accordo, ma le Isole non erano descritte, perché erano giurisdizione della Serenissima Repubblica di Genova. Vi posso raccontare alcuni fatti, così come me li hanno raccontati i nostri anziani. Nel 1711, un corsaro francese, il capitano Brunon, che ruba del bestiame alla Maddalena è perseguito a Bonifacio, e la Francia non protesta. Nel 1718, a Caprera sorge una rissa tra dei Bonifacini e dei marinai napoletani; la questione viene giudicata a Bonifacio: il governo di Napoli dapprima protesta, con il pretesto che i suoi tribunali dovevano esserne portati a conoscenza, poi desiste e non prosegue con le sue osservazioni. Nel 1731, la polacca del padrone provenzale Gioja si arena a Santo Stefano e le sue mercanzie vengono derubate da dei pastori: è al commissario genovese Spinola che Gioja porta la sua denuncia ed è questo commissario che gli fa restituire i beni rubati. Nel 1749, il capitano Rubiano e il capitano Porcile, che comandavano degli sciabecchi armati del Re di Sardegna, sequestrano alla Maddalena due gondole bonifacine, che a torto o a ragione essi accusano di contrabbando; in seguito Rubiano si avventura nel porto di Bonifacio: il commissario lo fa arrestare sul suo sciabecco r lo fa processare, senza che pervenga alcub reclamo. Nel 1752, lo stesso Rubiano viene ucciso sulle coste della Sardegna da tre pastori di Caprera: non è in Sardegna ma a Bonifacio che vengono perseguiti questi pastori, ed è qui che vengono castigati; la Corte di Torino non ha nemmeno l’idea di ordinare delle ricerche. Nel 1744, un’imbarcazione tunisina fece naufragio tra le isole della Sardegna: ventiquattro Mussulmani poterono rifugiarsi a nuoto nella costa sarda, furono presi dai pastori della Gallura, ridotti in schiavitù, venduti a del Corsi e da costoro portati a Bonifacio. La Corte di Torino li reclamò, pretendendone la restituzione, perché si erano arenati sulla costa sarda e non su quella della Maddalena, e, perché, di conseguenza, gli appartenevano in qualità di schiavi; la Corte poté dimostrare la fondatezza del suo reclamo e gli schiavi le furono resi. Nel 1766, il padrone bonifacino Malimberti, accusato di aver un carico di pecore preso in contrabbando, fu arrestato in Sardegna; il console genovese ne chiese la restituzione e, essendo stata portata la prova che lui aveva operato il suo carico nelle isole, fu subito liberato”.

In tutti questi anni il Re di Sardegna ha inviato qualche suo incaricato a rivendicare il possesso delle Isole?

“Ci ha provato, senza successo: i nostri erano armati e non l’hanno consentito. Nell’anno 1729 il Delegato di Tempio essendosi voluto trasferire alle Isole gli fu negato l’imbarco da due legni. Corso uno e Napolitano l’altro, sul pretesto che era vietato dal Governatore di Bonifacio il trasportare dei Sardi nelle Isole. Si portò pure di suo tempo il Sig. Commendatore della Chiusa per fare qualche intimata a quegli abitatori, ma i medesimi vi fecero fuoco”.

Come siete divenuti sudditi del Re di Sardegna?

“Siamo divenuti sudditi del Re per necessità: ora siamo legati a questo Regno, ne facciamo parte, e possiamo parlarne con serenità, ma nei primi anni c’era reciproca diffidenza. Mio padre mi ha raccontato che i bonifacini conducevano la loro vita tranquilla, senza alcun disturbo da parte dei Sardi, essendo la costa antistante quasi disabitata e colpita dalla malaria. I Sardi stavano bene all’interno, sulle alture e non navigavano, mentre noi siamo di razza marinar e il centro abitato più vicino a Bonifacio. Nel 1766 cominciarono ad arrivare degli emissari del Re: molto gentili, chiedevano notizie e poi se ne andavano senza problemi. Anche nel 1767 vennero gli emissari e cominciarono a blandire, parlando dei vantaggi a divenire sudditi del Re, da lui protetti contro i Barbareschi; aggiungevano anche minacce di occupazione militare e di nostro esilio. In quell’anno, essendoci recati a Bonifacio per l’estate, i nostri ne parlarono con i padroni del bestiame, a costo di fare accordi con i Sardi. Venne poi alle Isole un Delegato della Comune di Bonifacio e ci lasciò una protesta scritta in caso di occupazione, non potendola scrivere noi tutti analfabeti. Bonifacio era allora l’unica città in mano alla Serenissima Repubblica, mentre il resto della Corsica era in mano ai Francesi, a sostegno della Repubblica, e ai rivoltosi di Pasquale Paoli: per noi non c’erano buone prospettive, saremmo comunque caduti in mani straniere ostili. Il 14 ottobre 1767 si presentarono gli invasori militari, ormeggiando a Villamarina con navi a 150 fanti, soldati mercenari e Corsi mezzi-banditi di Aggius, paese da bruciare e radere al suolo, secondo il governatore di Sassari. Con pioggia e vento di tempesta, sbarcarono in due punti, a Cala Francese e a Cala Chiesa, salendo a occupare la Guardia. Il giorno 16 vennero a occupare Caprera: il nostro capo, Domenico Moriani, mio zio, presentò la protesta e lo stendardo, ma loro erano 50 soldati armati e i nostri erano solo 29 uomini senza armi. Dovemmo arrenderci, mantenendo però tutti i privilegi di Bonifacio, l’erbaggio delle Isole e il commercio senza gabelle”.

Che cosa successe dopo l’occupazione?

“Noi continuavamo il nostro lavoro e i Sardi iniziarono a fortificare le Isole, cominciando dal forte della Guardia: avevano bisogno dei nostri prodotti e delle nostre braccia, e pagavano bene. I rapporti divennero molto buoni e i nostri giovani cominciarono ad arruolarsi nelle navi Regie. Quando rientravamo a Bonifacio ci accorgevamo che lì la condizione era peggiorata. Anche i Bonifacini non erano più Genovesi, ma sudditi del Re di Francia: noi eravamo Sardi e loro erano Francesi, ma noi stavamo bene e loro avevano perso tutti i privilegi. I delegati del Re di Sardegna si comportavano bene con noi; insieme ai Sardi avemmo un cappellano, una cappella sotto la Guardia, un medico, un bolangere, e dipendevamo direttamente dal Viceré, non da un Barone esoso come nella Sardegna. Più passavano gli anni e più stavamo bene”.

Siete diventati subito fedeli sudditi?

Si, abbiamo migliorato la nostra condizione e abbiamo avuto nuove possibilità. Siamo stati un paese ricco: qui c’era lavoro per tutti, chi si arruolava, chi coltivava, chi commerciava. Persino da Genova scendevano i bastimenti dei più ricchi padroni, i Bertorino, i Grondona, per portare le loro merci: l’unico porto tra Cagliari e Genova era il nostro, sempre trafficato. Il villaggio più vicino, Terranova, era povero al nostro confronto: non ci siamo arricchiti, tanto avevamo bisogno e tanto guadagnavamo, ma il tanto c’era sempre, tutti gli anni. Prima della Spedizione eravamo 185 abitanti, oggi siamo 1901.

Non avete mai avuto ripensamenti, voglia di Corsica?

Come cittadini no, come legame di sentimenti non abbiamo mai dimenticato Bonifacio: i nostri legami sono rimasti per i parenti, per gli incontri annuali che non ci sono stati mai impediti. Io stesso, quando il Signore lo vorrà, sarò sepolto nella tomba di famiglia a Bonifacio, ma nel frattempo sono stato un suddito fedele del Re di Sardegna, ora Re d’Italia, e i miei figli hanno fatto carriera nella Regia Marina.

Però i Corsi e i Francesi hanno tentato di riconquistare le Isole

Ha detto bene, i Francesi e i Corsi, non i Bonifacini, gli unici a poterlo desiderar. Un anno dopo la Spedizione Sarda nelle Isole, era successo che la Francia aveva comprato il possesso della Corsica e non riusciva a controllarla: il capo dei rivoluzionari era Pasquale Paoli, u babbu, molto amato dai Corsi. Qualche anno dopo, il 14 luglio 1789, in Francia scoppiò una grande rivoluzione: al termine, dopo migliaia di ghigliottinati, la Francia si trovò più povera di prima. Cattivi consiglieri andavano dicendo che la Sardegna, ricca di cavalli e di grano, era pronta a ribellarsi. I Francesi organizzarono una spedizione contro Cagliari e a fine dicembre 1792 si presentarono a bombardarla: i Sardi li respinsero e i Marsigliesi si ammutinarono costringendo la flotta Francese alla ritirata. Era stata organizzata anche una spedizione sulla Maddalena, con ottocento volontari còrsi. Pasquale Paoli, generalissimo delle milizie, aveva dato a malincuore questi uomini, preponendovi il Colonna suo nipote e ammonendolo che il sovrano del Piemonte si era in ogni tempo chiarito amico della loro nazione; non se ne dimenticasse. Il 22 febbraio, discesero sopra Santo Stefano. Il giovane uffiziale di artiglieria che la dirigeva, Napoleone, traeva a man salva sulla Maddalena, dove scaricò 1050 palle arroventate e 60 esplosive. Domenico Millelire, marinaio sardo della Maddalena, presi alcuni animosi compaesani e una ventina di soldati, giunse non visto alla punta meridionale di Santo Stefano, e di là cominciò a far fuoco sui cannonieri francesi e sulle navi. I bonifacini imbarcati non vollero far fuoco sui fratelli della Maddalena e costrinsero la flotta a ritirarsi. Io stesso feci parte di un battaglione di trenta uomini che da Caprera impediva alle navi Francesi di aggirare Santo Stefano. Lo stesso Domenico Millelire proveniva da famiglia Corsa di Sorbolla, distretto di Sartè. Tutti i bonifacini di Maddalena e di Caprera parteciparono alla difesa: queste erano le nostre Isole, non dei Francesi.

I pirati Saraceni hanno più fatto prigionieri?

Nei primi anni si, ma poi il Barone Des Geneys, insieme agli inglesi, a cannonate, ha costretto il loro Bej a firmare un trattato e hanno smesso. Io ero tra gli invitati al matrimonio della figlia di mio cugino; Michele Zicavo, e lascio a lui la parola. Dice lo Zicavo: “La città che oggi si estende su questa riva, un tempo coronava un’altura che porta il nome di Santa Trìnita, dove noi ci eravamo stabiliti per paura dei Turchi. Ancora oggi a momenti, io credo di sentire il suono argentino della campana della nostra chiesa che suona all’alba del giorno per chiamare all’opera tutti gli abitanti dell’isola, poiché tutti dovevano lavorare per erigere il forte della Camicia, nostro unico baluardo per preservare i nostri beni e per salvare l’onore delle nostre spose, delle nostre figlie e delle nostre sorelle. Tutti gli isolani, non solamente gli uomini giovani e forti, ma anche i ragazzi e gli anziani, le donne stesse, misero mano a quest’opera difensiva dalla quale dipendeva la nostra salvezza. Una degna compagna divideva la mia felicità in mezzo ad un gruppo di figli che prosperava con noi. Santa Vergine! Non dimenticherò mai il giorno terribile che cambiò in lutto tutte le mie felicità! Era una bella mattinata di primavera; noi ritornavamo dalla chiesa dove la mia primogenita aveva ricevuto la benedizione nuziale e per completare la festa, secondo l’usanza della maggior parte degli isolani, noi scendevamo verso la spiaggia, dove ci attendeva un pranzo di nozze e di convitati gioiosi. Ma, improvvisamente, nel momento in cui stavamo oltrepassando un burrone, venimmo accerchiati da una banda di pirati che erano appena sbarcati. Dopo una vana ed inutile resistenza, giacché il nemico era più forte e ben armato, fui rovesciato con violenza tale che persi i sensi e non potei essere testimone dell’odioso crimine che quei barbari osarono commettere. Quando invenni in me, delle grida di rabbia e di disperazione mi trafissero il cuore. Compresi tutto ciò che era accaduto: i miei sventurati compagni erano in piedi di fronte al mare nell’attitudine della disperazione: mi mostrarono in lontananza una galera turca carica di donne e di bottino, che filava a vele piene. Queste donne erano le nostre spose e le nostre figlie che fuggivano da noi, trascinate dai loro rapitori!”.

Domenico Cogliolo, chi era questo Barone Des Geneys?

Nell’Aprile del 1773, il Barone Giorgio Andrea Agnes-Des Geneys apparve nelle acque dello Stretto di Bonifacio, alla sua prima uscita in mare, imbarcato sulla fregata San Carlo della Regia Marina: aveva appena dodici anni e successivamente avrebbe fatto una grande carriera. Quando Napoleone nel 1799 cacciò il Re da Torino, questi venne in esilio a Cagliari. Il Barone, che pure poteva scegliere di stare con Napoleone, seguì il Re, ma anziché andare alla Corte di Cagliari preferì stare alla Maddalena, che ben conosceva. Qui mise la base della Redi stare con Napoleone, seguì il Re, ma anziché andare alla Corte di Cagliari preferì stare alla Maddalena, che ben conosceva. Qui mise la base della Regia Marina. Abitava in questa Cala dei Gavetti, dove fece costruire uno scalo e gli attracchi per le navi della Marina. Era ben voluto da tutti, stimato e riverito.

Il Barone non sta più alla Maddalena?

No, dopo la sconfitta di Napoleone, il Re rientrò a Torino e il Barone rientrò in terraferma, Governatore a Genova, ma i maddalenini hanno continuato a rivolgersi a lui per le loro necessità. Anche nella costruzione della chiesa c’è il suo apporto generoso, per l’altare e la prima cappella di San Giorgio. Era accaduto che molti abitanti si erano trasferiti a Cala dei Gavetti, dalle capanne della Piana della Guardia, e qui non avevano la chiesa. Il 28 novembre 1779, si fece un accordo tra i popolatori e il Bailo dell’Isola, per il quale gli abitanti, potendo metterci poca moneta, ci avrebbero messo il proprio lavoro, e così fu realizzato il progetto del Capitano ingegnere Cochis del Genio Marina di Cagliari. Il buon ricordo che abbiamo del Barone è dovuto anche a quanto lui ha fatto per tutti noi: nella Regia Marina sono imbarcati i miei due figli, come tanti altri maddalenini, e lui in queste acque delle Bocche ha sconfitto i barbareschi, insieme a noi. Siamo l’unica città sula mare che non ha mura, mentre in Sardegna anche la capitale ha le mura, per paura dei Turchi. Noi abbiamo sfidato i Saraceni a viso aperto: quando vennero avvistati salimmo sulle scialuppe della Marina e li catturammo. Da allora il nostro paese è cresciuto sul mare.

Domenico Cogliolo, ha conosciuto altre persone importanti oltre il Barone?

Si, l’Ammiraglio Nelson, Vincenzo Sulis, il Generale Garibaldi e due Inglesi. Ho conosciuto personalmente l’Ammiraglio, perché ero divenuto fornitore di bestiame della flotta, che per cinque volte venne a ormeggiarsi alla baia di Mezzoschifo, in agguato alla flotta francese di Tolone: era persona squisitissima, elegante. Qui, in chiesa, sono custoditi un bel crocefisso e due candelabri in argento, doni dell’Ammiraglio durante una sua sosta nell’ottobre del 1804; la sosta più importante fu l’ultima, nel 1805, perché l’Ammiraglio era in attesa di sferrare l’attacco alla flotta francese, e appena questa uscì da Tolone la inseguì per mesi fino a sconfiggerla a Trafalgar, perdendo la vita. Tutti qui si ricordano la partenza dei dodici vascelli della Royal Navy che salparono in fila ordinata, di notte, con ponente forte, riuscendo a sfilare nel passetto di Capo Ferro, guidati solo dal lampione di poppa dell’ammiraglia Victory: uno spettacolo di potenza e di arte marinara! Anche l’Ammiraglio Nelson si innamorò di una maddalenese chiamata Emma Lioni, bellissima su tutte le belle: Nelson per far piacere alla sua bella, o a meglio dire per adempiere ai voti che l’amante faceva per la salvezza nei pericoli del mare del suo amato, fece appunto vari doni alla chiesa parrocchiale. Ma queste notizie sono smentite dai miei amici inglesi della Maddalena: loro dicono che la vera Emma amane di Lord Nelson era Hemma Lyon, moglie dell’ambasciatore inglese alla Corte Napoletana, sir William Hamilton, di cui si innamorò perdutamente e dalla quale ebbe una figlia, Horatia. Mio cugino, Michele Zicavo, ha sicuramente qualcosa da aggiungere.

Parzialmente estratto dal racconto di Gian Carlo Fastame pubblicato sul settimanale maddalenino Il Vento nel 2011. Lasciamo ai lettori di questa piacevole e romanzata lettura, il dubbio sulle affermazioni di Domenico Maria Cogliolo a voi il giudizio e li piacere della lettura.