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Acetosella

Acetosella (nome scientifico Oxalis pes-caprae, nome locale agretta)

Questa piantina erbacea perenne dall’aspetto gentile è nota in realtà soprattutto per essere una delle peggiori infestanti delle coltivazioni e dei giardini, contro la quale è difficile trovare rimedio.

Originaria della regione del Capo, nell’Africa meridionale, è stata introdotta alla fine del Settecento o agli inizi del secolo successivo nelle nostre regioni insulari e in altre regioni mediterranee ed è oggi presente in tutta la parte centromeridionale del nostro Paese.

Invasiva di ampie zone della Sardegna, occupa dal mare fino alla bassa collina campi coltivati o incolti e le aree e litorali, che si ammantano di un bellissimo giallo in inverno e all’inizio della primavera. Più recentemente ha invaso ampie zone delle coste nordamericane e australiane, da sola o insieme ad altre specie esotiche.

La pianta ha un carnoso rizoma sotterraneo, con bulbilli che si moltiplicano annualmente in modo esorbitante e che consentono una rapida diffusione della specie. Le foglie bilobe tipiche delle acetoselle, lievemente pelose e screziate di scuro, sono portate in cima a piccioli lunghi una quindicina di centimetri. Il lungo scapo pendulo porta fiori imbutiformi con cinque petali di un bel colore giallo citrino, disposti in una sorta di ombrella. I frutti, probabilmente sterili, raramente arrivano a maturità.

La pianta può formare densi tappeti per terra, causando anche problemi al pascolo laddove gli animali se ne cibano in modo consistente, per via del suo alto contenuto di ossalati.

Proprio questa caratteristica ne sconsiglierebbe l’uso medicinale e culinario, ma la pianta ha le sue (pur giovani) tradizioni in questi due campi, seguendo per affinità quelle più remote delle acetoselle. Queste infatti (Rumex spp. e Oxalis spp.) sono state impiegate nell’alimentazione umana per rendere il sapore acidulo fin dalle antiche culture mediterranee. Sembra che Greci e Romani le usassero anche per favorire la digestione dopo gli eccessi alimentari.

Le foglie sono ritenute diuretiche e depurative, ma non mancano le segnalazioni di usi rinfrescanti o come astringenti, per combattere la febbre e per disinfettare le piccole ulcere del cavo orale. Per l’elevato contenuto di ossalati è ovviamente sconsigliato l’uso delle parti crude a coloro che soffrono di calcoli renali, gotta, reumatismi articolari o artrite. La lessatura fa tuttavia perdere gran parte degli ossalati. Negli usi più popolari si utilizzavano sulla pelle arrossata impacchi di questa erba, ma l’uso più frequente e immediato è quello di utilizzarne gli steli per togliere l’arsura durante escursioni o lavori in campagna.

Il caratteristico comportamento dei fiori e delle foglie di chiudersi e ripiegare al ridursi della luce solare indica ancora oggi ai contadini la possibilità di piogge imminenti.

Gli scapi della pianta, dal caratteristico sapore asprigno, venivano masticati dai ragazzini maddalenini. Un tempo i bambini mangiavano anche, dopo averli tostati, i piccoli bulbi bianchi che crescono intervallati sulla lunga radice (rizoma): e proprio i bulbilli (grazie al loro numero e alle loro dimensioni che sfuggono a qualunque tentativo di estirpazione) assicurano la propagazione rapida e incontrastabile della pianta che diviene infestante e poco gradita nei giardini e negli orti.