CronologiaMillesettecento

Correva l’anno 1735

Correva l'anno 1735Tutti i luoghi della Corsica sono controllati dai genovesi.

Da tempo i francesi seguono con grande attenzione l’evolversi della situazione politica, istituzionale ed economico-sociale in Sardegna. Ciò è possibile grazie da un corpo consolare professionale e attento, che fin dal primo Settecento segnala a Parigi la necessità di tenere sotto controllo un’isola di grande importanza strategica, in termini non solo militari, ma anche commerciali. La Sardegna – scrive console francese a Cagliari Paget – è una terra ricca: esporta legumi, formaggio, tonno salato, vino, olio, sale, sego, cuoio di bue, pelle di pecora, di capra e di altre bestie. Il formaggio è la seconda merce più venduta, in grado di garantire profitti molto alti. Lo si spedisce – scrive il console – a Napoli, Livorno, Genova e Marsiglia. Non meno profittevole è il tonno salato: quando la pesca è buona lo si rivende in Spagna e in Italia. Il pescato appartiene di diritto ad alcuni particolari e rende alle casse regie il 5 %. È però il grano a formare la voce più consistente nel quadro delle esportazioni sarde. Nelle annate di buon raccolto se ne esportano grandi quantità. La tassa imposta dal re di Sardegna – prosegue il console – è gravosa e costringe i sardi a venderlo con forti ribassi pur di non perdere gli acquirenti, soprattutto quando il prodotto è poco ricercato. Ai francesi preme capire se e quando la Sardegna è capace di produrre grano per il mercato oltre che per se stessa. Attraverso resoconti trimestrali, i consoli tengono il governo aggiornato circa la disponibilità di grano e sul prezzo al quale questo può essere acquistato. Prezzo che varia di anno in anno, assecondando molteplici fattori. Nell’aprile del 1737, ad esempio, la quotazione del cereale sembra destinata a crescere sensibilmente a causa della siccità che minaccia di compromettere l’intero raccolto. Ma il 5 giugno, Paget rassicura il ministro degli esteri francese: le piogge dei primi di maggio, cadute in grande abbondanza, hanno ridato vita ai campi. Ora gli osservatori stimano un raccolto «dal quale si crede si possa imbarcare qualcosa». Il grano preso al magazzino – scrive ancora il console – costa 12 reali per starello. All’imbarco si paga un diritto di sacca di altri 23 soldi, 6 danari sardi «il che fa in tutto 16 danari, 3 soldi e 6 danari ogni starello che ridotto in danaro francese diventa 7 lire, 10 soldi e 6 danari”. Il peso di uno starello varia da 85 fino a 100 libbre (peso di Marsiglia), ma si può arrivare anche a starelli che pesano fino a 104 libbre. Il prezzo del grano non è fisso, variando a seconda della quantità prodotta e della domanda estera. Il raccolto deve innanzitutto soddisfare le esigenze alimentari delle città sarde (prima tra tutte Cagliari, con un fabbisogno annuo che all’epoca si aggirava intorno ai 28500 starelli). Il restante può essere venduto all’estero. All’inizio dell’estate 1737, gli osservatori sono ancora convinti che il prezzo non subirà variazioni: il raccolto sarà di media entità, tale da garantire un surplus contenuto, facile da smaltire, dal momento che la Spagna ha già manifestato l’intenzione di acquistarlo. Una Consulta presieduta da Luigi Giafferi di Talasani, Giacinto Paoli (padre di Pasquale Paoli) di Morosaglia e da Andrea Ceccaldi di Vescovato proclamò l’8 dicembre l’Immacolata Concezione protettrice dell’isola, questa decisione venne confermata dalla Consulta di Corte il 30 gennaio proclamò l’8 dicembre Festa di a Nazione, ponendo l’isola sotto la protezione dell’Immacolata Concezione. Infatti questa data coincide con la festa cristiana dell’Immacolata concezione di Maria. Eccone il primo articolo: “In nome della Santissima Trinità, il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, dell’Immacolata concezione della Vergine Maria, sotto la protezione della Santa Madre Avvocata, noi eleggiamo, per la protezione della patria nostra e di tutto il regno, l’immacolata concezione della Vergine Maria, e inoltre decidiamo che tutte le armi e le bandiere nel suddetto regno, siano marchiate con l’immagine dell’Immacolata concezione, che la vigilia e il giorno della sua festa siano celebrati in tutto il regno con la più perfetta devozione e le dimostrazioni più grandi, salve di moschetti e di cannoni, che saranno ordinate dal Consiglio supremo del regno.”  Il Convento di San Francesco venne costruito nel 1485 da osservanti. In seguito passò nelle mani dei francescani che costruirono una chiesa (33 metri per 11 metri) con sei cappelle probabilmente nel diciassettesimo secolo. Divenne uno dei luoghi chiave della lotta della Corsica contro la Repubblica di Genova. Diverse consulte (assemblee consultive, cunsulte in lingua corsa) si sono svolte nel convento di Orezza e ne hanno fatto uno dei più importanti luoghi di indipendenza della Corsica. Nel marzo e nell’aprile del 1731, il canonico Orticoni e altri teologi si incontrarono per discutere della legittimità della rivolta contro Genova. Il 20 aprile 1731, decretarono all’unanimità che la causa dei corsi era “santa e giusta”. Nel 1735 si riunì la Consulta d’Orezza, poi nel giugno 1751, una consulta elesse Gian Pietro Gaffori come generale della nazione. Dal 9 al 27 settembre 1790, un console istituì la nuova amministrazione dipartimentale, dopo la fine come possesso reale del Re di Francia dal 1769 e dalla fine dell’indipendenza della Corsica. Diede a Pasquale Paoli tutti i poteri alla presenza di Napoleone Bonaparte e della famiglia Bonaparte. Fu dal 1832 che il convento cominciò a perdere importanza, quando lo Stato francese iniziò a incamerare o a vendere parte dei beni ecclesiastici. Il convento ospitò la gendarmeria fino al 1934 quando crollò il tetto. Durante la Seconda guerra mondiale, gli italiani allestirono un deposito di cibo e munizioni, poi fu bombardato e quasi distrutto dai tedeschi nel 1943. Da allora è in stato d’abbandono.

Da quel momento l’isola è passata attraverso il Regno di Corsica, la Repubblica Còrsa, la conquista francese, il breve Regno Anglo-Corso e il ritorno definitivo della Francia, cui l’isola è unita da ormai 250 anni. Ma il sentimento d’identità della Festa di a Nazione è vivo e sentito ancora oggi. Viene adottato “Dio vi Salvi Regina” come inno nazionale della Corsica dalla consulta tenuta a Corte il 30 gennaio 1735 dove venne proclamata l’indipendenza della nazione corsa sotto la protezione della Vergine Maria e l’8 dicembre come Festa di a Nazione. Il Dio vi Salvi Regina (in còrso: Diu vi Salvi Regina) è un canto religioso dedicato alla Vergine Maria derivato dal Salve Regina. Fu scritto in italiano nel 1676 da Francesco di Geronimo, gesuita italiano che visse tra la Puglia e Napoli. In seguito all’adozione come inno, due cambiamenti sono stati fatti in confronto al canto originale: “disperati” fu sostituito da “tribolati”, e “nemici vostri” da “nemici nostri”. Esso divenne molto popolare in tutta l’isola, e veniva usato come canto di saluto ai defunti e alle loro famiglie provate dal dolore. Tutt’oggi il canto è sentito in tutta l’isola come uno dei simboli della propria identità locale, assieme alla bandiera con la testa di moro e alla celebrazione della Festa di a Nazione, che ricorre proprio oggi. Il Dio vi salvi Regina viene spesso adattato alla lingua còrsa come Diu vi salvi Regina. E fuori dalla Corsica? Anche in Italia il canto è ancora conosciuto. Il 25 maggio del 2012 è stato riadattata dal parroco di Lari, Armando Deri, e cantato al Santuario della Madonna de’ Monti di Casciana Terme (Pisa), durante una manifestazione in ricordo delle vittime della violenza nazifascista e della liberazione della Toscana dalla dittatura e dall’occupazione. Il 22 novembre 2015 il Diu fu suonato allo stadio Armand Cesari di Furiani subito dopo la Marsigliese, come omaggio alle vittime degli attentati di Parigi del 13 novembre in occasione del derby còrso di calcio in Ligue 1, tra Sporting Bastia e GFC Ajaccio.

aprile

A partire dal 1735 alle unità armate dalla Deputazione di Corsica e dalla Giunta di Marina si unirono quelle allestite dalla Deputazione alla Armamento contro i corsari barbareschi, la cui presenza nelle acque di Corsica fu un elemento di rilevanza non trascurabile nel quadro delle operazioni navali connesse all’insurrezione isolana, in quanto permise alle galee dello stuolo e ai bastimenti degli armamenti straordinari di disimpegnarsi, almeno parzialmente, dalla contro corsa anti barbaresca e di dedicare ancora maggiore attenzione alla lotta al contrabbando e, in seguito, alla contro corsa anti paolista. Abbiamo già citato il caso della galeotta della Deputazione presente nelle acque corse, al comando del capitano Tommaso Scerni, durante la guerra di Successione austriaca. Prima di questa unità, fra il 1741 e il 1743, erano entrate in servizio due barche armate, La Vittoriosa Virgo Potens e la Nostra Signora del Soccorso, mentre alla fine del conflitto, nel 1749, erano presenti nelle acque isolane due unità armate dalla Deputazione: uno sciabecco, al comando del capitano Stefano Villa, e una barca, affidata nuovamente a Scerni49. Questi due battelli, tra l’altro, presero parte alla spedizione guidata da Franco Grimaldi, che nell’aprile di quell’anno affrontò presso l’isola della Maddalena una flottiglia tunisina, catturando quattro galeotte. Alla spedizione presero parte, oltre alle due unità della Deputazione, tre galee, un pinco di Laigueglia e una barca di Lavagna.

21 maggio

Il Consiglio delle finanze di Torino approva l’appalto delle saline di Cagliari, che dal 1720 erano amministrate in economia diretta.

1 ottobre

Viceré è Carlo Amedeo Battista, marchese di S. Martino d’Agliè e di Rivarolo.
La Gallura e il Logudoro sono infestati da bande di fuorilegge, fra i quali molti benestanti e cavalieri. Il governo manda il conte di Rivarolo per mettere ordine, e molti di loro trovano rifugio in Corsica.

30 ottobre

Francia e Austria definiscono i preliminari di pace: i ritagli territoriali previsti per il re di Sardegna sono assai modesti.

Il viceré, marchese di Rivarolo, inaugura la serie delle grandi spedizioni militari disposte per la repressione del banditismo nell’isola.