CronologiaMillesettecento

Correva l’anno 1767

Correva l'anno 1767

Lo “Stato degli abitatori delle isole La Maddalena e Caprera”, desunto da indagini effettuate poco prima dell’occupazione militare piemontese, registra un totale di 185 ab. a La Maddalena (Pasquale Fiorino; Domenico Cugliolo; Giovanni Battista Cugliolo; Antonio Cugliolo; Giuseppe Cugliolo; Domenico Capopiano; Giovanni Battista Ornano; Francesco Ornano; Maria Noncia Ornano; Pietro di Millelire; Giovanni Domenico Giambarella; Silvestro Pausino; Nicola Pausino; Francesco Colonello; Giuseppe Colonello vedovo; Giovanni Batta Colonello; Antonio Colonello; Marco Pelissa; Pasquale d’Avigliale; Andrea Colonello.) e 71 ab. a Caprera. (Ignazio Sareddo; Giulio Pelissa; Giovanni Computo; pietro Cicavase; Angela Maria Cicavase vedova; Matteo Cogliolo; Andrea Cogliolo; Domenico Maria Cogliolo; Mastro Ferraro con compagni; Natale Cicavase; Angela Cicavase vedova; Giovanni Battista Colonello; Domenico Orzone; Giò Batta Orzone; Francesco Antonio Orzone sposo) I capifamiglia erano 36, compresi due vedovi, che vivevano isolati e un gruppo di “Mastro Ferraro con compagni” non meglio qualificabili; la composizione media per famiglia risulta pari a 5,1. La popolazione distinta per sesso fornisce i seguenti valori complessivi: maschi 106 (57%), femmine 79 (43%), che manifestano una incidenza con prospettive demografiche instabili e con evidenti necessari legami, presenti e futuri, interregionali. Il quadro statistico riflette e conferma le notizie desunte per quel tempo dalle relazioni dei militari, definendo meglio un semi-nomadismo marittimo caratteristico, col quale partecipava tutto il gruppo famigliare o parte del medesimo con prevalenza dei maschi; il caso di Mastro Ferraro con compagni, è unico. Anche se ancora scarsamente abitata, l’importanza strategica dell’arcipelago e la sicurezza dei suoi approdi è palese a tutti. Il Regno Sardo si appresta a risolvere a proprio vantaggio la corsa contro Genova per occupare le isole. Il Ministro Bogino invia due ufficiali Allione di Brondel e De Nobili, a sondare quali siano i sentimenti degli abitanti. Alla fine dell’ispezione rispondono che, secondo loro, chiunque sarà in grado di assicurarne una protezione armata contro le incursioni barbaresche sarà il benvenuto. Come si vedrà avevano ragione. Vedi anche: I due elenchi dei presenti alle isole del 1765 e del 1767

1 febbraio

Un grande ostacolo al commercio del grano era rappresentato dal contrabbando. Per fronteggiarlo, appena giunto in Sardegna, Des Hayes pensò al potenziamento dei controlli del litorale cagliaritano, ma non tardò ad appurare che la vera emergenza riguardava il Capo di Sopra. Ogni anno, marinai corsi e pastori galluresi, stretti da vincoli d’amicizia e di parentela, andavano e venivano da un’isola all’altra praticando un illecito commercio di grano e di carne, spesso con la complicità degli stessi ufficiali “destinati a vegliare, ed impedire gli sfrosi”. Per avere un’idea dell’entità del problema, si consideri che a Bonifacio vi era addirittura un macello pubblico che vendeva carne rubata, denominato “dei sardi”. I danni alle finanze regie e al mercato interno erano incalcolabili, e, nonostante una serie di provvedimenti presi in passato, quei traffici non sembrarono arrestarsi. Il fenomeno si era riacutizzato nella seconda metà del Settecento, quando una serie di eventi rafforzò i legami tra la Sardegna e la Corsica, a partire dalla rivoluzione corsa e dall’occupazione piemontese dell’arcipelago della Maddalena. Per porvi riparo, il sovrano aveva emanato un editto che prescriveva sanzioni per chi, nazionale o straniero, fosse stato colto in flagranza di contrabbando dalla flottiglia guardacoste che sorvegliava le acque dello stretto di Bonifacio. In ogni caso, come si legge nelle successive Istruzioni a Des Hayes, la lotta al contrabbando non doveva in alcun modo alterare i rapporti tra le due isole, per quanto di “piena indifferenza”, così come il commercio con i corsi doveva restare “sempre libero, ed aperto”. Alla forza di espansione dell’ economia pastorale si contrapponeva la debolezza degli apparati fiscali e giudiziari dello Stato, in un territorio come quello gallurese privo di consistenti centri abitati e con una forte dispersione della popolazione. A poco servirono le proibizioni contenute nel regio editto del febbraio 1767 per eliminare i contrabbandi nel regno di Sardegna. La “malizia di alcuni abitanti di Bonifacio” – come si legge nello stesso editto – riusciva a superare qualsiasi ostacolo, nonostante quell’anno le truppe sabaude avessero preso possesso delle isole intermedie, La Maddalena, Caprera e le altre minori, tra la Sardegna e la Corsica. Rimasero in gran parte lettera morta le parole impresse nella stamperia reale di Torino che proibivano ad ogni qualunque persona di qualsivoglia grado, stato, e condizione, così suddita, come forestiera, [ … ] di estrarre, e far imbarcare per fuori Regno oltre al grano (come aveva previsto un editto del 29 luglio 1764) anche carni salate, lardo, vino, cavalli, [ … ] ochette, bovi, castrati, caprioli, ed ogni sorta di quadrupedi, acquavite, sevo, manteca, amido e crusca, se prima non si fosse ottenuta la relativa licenza, dopo aver pagato i diritti di esportazione. L’editto proibiva ai legni Bonifacini, Capraiesi e di qualunque altra nazione di fermarsi nelle spiagge, rade, o porti spopolati de’ territori di Sorso, Coquinas, Gallura, Terranuova, e Posada. Il tragitto da Bonifacio verso la Sardegna e viceversa veniva interdetto a qualunque imbarcazione che non partisse dai, o arrivasse nei porti autorizzati di Torres, Castell’Aragonese, Longonsardo, Terranova e Posada. Per i trasgressori era previsto il sequestro dell’imbarcazione, delle merci di contrabbando e la pena di due anni di catena….. Ma nel corso del 1768 si dovette assistere quasi con impotenza a una nuova recrudescenza del fenomeno col passaggio della Corsica alla Francia. Un abbondante flusso migratorio in direzione della Sardegna fu alimentato tanto dai patrioti paolisti che non si erano arresi, e che nell’isola facevano incetta di generi alimentari e armi, quanto dai cittadini comuni che sfuggivano alla coscrizione obbligatoria appena introdotta dal nuovo governo. (“È bene rimarcare che la Sardegna, comunque pur svolgendo un ruolo importante come base d’appoggio, non diventa in questo frangente centro di immigrazione e di organizzazione politica. L’isola, per la gran parte dei fuoriusciti, svolge un ruolo di incontro e di passaggio verso altri luoghi d’esilio, come la Toscana, l’Inghilterra e le Baleari”). Quando in primavera la Francia di Luigi XV, nonostante l’imminente scadenza del contratto quadriennale firmato con Genova, stava per inviare in Corsica una nuova truppa di ben 10 mila uomini, Carlo Emanuele aveva raccomandato a Des Hayes che governatori e comandanti del Capo di Sopra restassero vigili: come disposto dall’editto dell’anno prima, le imbarcazioni bonifacine non dovevano approdare né fermarsi nei porti, spiagge o rade non autorizzate. Quel cambio di regime aveva reso i bonifacini più temerari, e il ministro guardava con spavento a quanto accadeva in Sardegna. Nell’autunno del ‘68, per esempio, un pastore aggiese era stato barbaramente assassinato dopo essere salito su una gondola bonifacina che portava bandiera francese: la riscossione del costo della carne e degli altri viveri di contrabbando caricati sull’imbarcazione si era chiusa con un atroce omicidio che andava denunciato al governo corso. La presenza dei francesi induceva dunque il viceré a stare sempre più in allerta e, nello stesso tempo, a mantenere il suo solito atteggiamento prudente. Suggerì infatti a Bogino di mantenere la cautela nei rapporti con i corsi onde evitare sconvenienti incidenti diplomatici con la Francia. Per quanto le disposizioni del ‘67 si fossero rese necessarie in quei tempi, ora che “l’affare” si era reso “più spinoso”, a Cagliari sembrò opportuno eseguirle solo in caso di certezza di “frode”. In effetti, l’anno successivo, col fermo di due gondole bonifacine a Vignola, nei pressi di Castelsardo, e con l’arresto dell’equipaggio accusato di aver preso formaggi di contrabbando, il comandante della feluca regia, De Nobili, causò dei problemi col console francese che lamentò l’iniquità di quell’azione. Solo dopo alcuni mesi di suppliche e dietro pagamento di una ricompensa, Des Hayes acconsentì al rilascio del battello col suo equipaggio. Quell’incidente aveva avuto un risvolto positivo: era stata richiamata l’attenzione del governo corso sul problema del contrabbando e, qualche tempo dopo, De Nobili informò il viceré che, grazie a una serie di misure prese in Corsica, in Sardegna non si erano più avvistati battelli corsi. A luglio del ‘68 lo stesso viceré aveva elaborato un piano per frenare il contrabbando in Gallura, terra “di nuovo infestata di malviventi”. Erano due i punti centrali: potenziare il distaccamento di soldati di stanza in quei territori, e ordinare ai comandanti di alcune ville di effettuare le ronde tanto di notte quanto di giorno, oltreché collaborare tra loro alla cattura dei delinquenti. Nel suo realismo scoraggiante però, il viceré non tardò a constatare che qualunque iniziativa era destinata a infrangersi di fronte a un fenomeno così ben radicato in quella terra di confine. Erano state le notizie raccolte durante il sopralluogo, ad aprile del ‘70, a prospettargli un quadro estremamente sconfortante. “Potrei dire che si tratta dell’impossibile l’impedire li contrabbandi – annotava Des Hayes – ed io stesso vi perdo il mio latino”: quel “tratto di paese” era troppo esteso, e le sue 52 cale chiuse dalle montagne erano “possedute da’ pastori, che vi si riguardano siccome proprietari”. Con “fumate”, questi avvertivano i bonifacini che si precipitavano in quelle baie per caricare i loro battelli. Gli sembrò opportuno dotare Tempio di “un forte distaccamento” e far presidiare da una truppa di terra tutta l’area compresa tra il fiume Coghinas, nei pressi di Castelsardo, e il golfo di Orosei. Ancor più efficace sarebbe stato il controllo, anche temporaneo, di quelle acque con una flotta maggiore di quella esistente, che perlustrasse quotidianamente tutta la costa da quel golfo ad Alghero. Nell’editto pubblicato il 2 aprile 1771, però, non si fece alcun riferimento a queste iniziative. Nella sezione relativa al contrabbando vi era solo il richiamo alle misure prese in passato: nuove misure sarebbero state troppo dispendiose per le casse regie.

26 marzo

Nella sala del Palazzo pubblico è comparso Matteo Culiolo figlio di Pietro, di Bonifacio, abitante nelle isole adiacenti a questo territorio nello stato della nostra Serenissima Repubblica, il quale a seguito del giuramento prestato sulle Scritture nelle mie mani di cancelliere ha di tutto punto deposto quanto segue. La scorsa domenica 22 del corrente mese di marzo, ho visto nel porto di S. Stefano una galeotta e un pinco con la bandiera di Savoia, e qualcuno di coloro che sono con me alla dette isole occupati alla coltivazione dei terreni ed alla custodia del bestiame sono andati presso quel porto a guardare i grani e nello stesso tempo a controllare le bestie. Al loro arrivo fu ordinato dal capitano del suddetto pinco, che dice di essere il cavaliere Brondelli, di far sapere a tutti quelli che stavano nelle dette isole che andassero da lui per conoscere quanto aveva loro da dire. Su questa intimazione siamo partiti, io e tutti gli altri in numero di quaranta, e ci siamo recati al porto di S. Stefano. Colà il comandante il comandante del pinco, che afferma essere il cavalier Brondelli al servizi di sua maestà il re di Sardegna, ci dichiara a tutti quanti che noi siamo che i terreni nei quali seminiamo erano di proprietà del re suo sovrano; che noi siamo suoi sudditi, che dobbiamo riconoscerci per tali e sottoscriverlo; così parlando il detto comandante tirò fuori uno scritto, facendo pressione perché noi sottoscrivessimo in basso e di dichiararci sudditi del suo re. A questo discorso io e tutti gli altri abbiamo risposto che il terreno apparteneva al nostro serenissimo principe da molti secoli, e che non riconoscevamo nient’altro che la serenissima repubblica di Genova, per la quale saremmo morti mille volte piuttosto che riconoscerci sudditi di un altro. Allora il detto comandante, dopo averci ripetuto che lui era il cavalier Brondelli al servizio di sua maestà il re di Sardegna, ci ha rivolto le seguenti parole <<Il re invierà delle truppe e dei bastimenti e voi vedrete se siete suoi sudditi o della repubblica di Genova”. A ciò abbiamo risposto che non credevamo per niente che quelle fossero le intenzioni del re di Sardegna, ma qualora fossimo obbligati ad abbandonare ciò che possediamo, che ci è costato tanto sudore e fatica, a ciò avrebbe provveduto il nostro principe di Genova. Allora noi ce ne andammo via e alla nostra partenza il detto comandante ripeté <<Ricordatevi che siete sudditi del mio re>>. Lo stesso documento nel prosieguo ha dato atto che alla deposizione di Matteo Culiolo seguirono subito dopo, nella stessa giornata, le dichiarazioni rilasciate al medesimo cancelliere da altri 4 pastori isolani, Pietro Millelire, Francesco Ornano, Domenico Mariano e Gio’ Andrea Ornani. “Queste deposizioni – si legge – vanno sullo stesso oggetto, contengono gli stessi fatti e usano le stesse parole della precedente”. Il “Giornale straordinario” proseguiva, inoltre, riportando la deposizione rilasciata da Marco Maria Zicavese, figlio di Marco, rilasciata il due maggio 1767. Era stato convocato con un’apposita ordinanza del commissario per relazionare cosa stesse accadendo alle isole. “Questa settimana santa ero nell’isola chiamata Caprera – dichiarò Marco Maria – Essendosi ancorato il pinco di sua maestà il re di Sardegna, lo scrivano di quel bastimento è sceso a terra e ci ha detto che è stato inviato dal cavalier Brondelli, comandante di detto pinco. Questo scrivano è venuto nel luogo dove stavo, ha scritto i nomi di tutte le famiglie, compresi uomini e femmine che sono nelle dette isole, e ha dichiarato che dopo poco sarebbe stata costruita una parrocchia e che noi saremo sudditi del re di Sardegna. A ciò io e tutti gli altri abbiamo risposto che siamo sudditi della nostra serenissima repubblica di Genova, e che non vogliamo per nulla riconoscere altro sovrano, e quindi se ne andò. Richiesto ha risposto: ho 23 anni circa“.

aprile

Il delegato di Tempio aveva riferito già da un mese che molti bonifacini si erano rifugiati nei litorali galluresi per sfuggire all’attacco del partito dei paolisti. Lo stesso funzionario paventava, inoltre, che ne sarebbero arrivati molti altri e forse anche intere famiglie. Il riferimento appare particolarmente importante anche per il fatto che il viceré suggeriva alla corte torinese la possibilità di collocarli nelle isole, piuttosto che averli “errabondi e pericolosi” nell’interno del regno. L’operazione non fu attuata e le isole evitarono una immissione dagli esiti imprevedibili. Alla colonia di pastori corsi insediata da Bonifacio da quasi un secolo, ormai consolidata nelle relazioni e nelle regole organizzative e di vita, si sarebbe aggiunto, infatti, un forte gruppo di corsi fuoriusciti politici insediati dal regno sardo-piemontese, rompendo la omogeneità preesistente nelle isole.

24 aprile

Allion di Brondel, che all’epoca comandava il regio pinco corsale sardo, su mandato del viceré, aveva avviato dei contatti con i pastori maddalenini e caprerini nel marzo 1767, per verificare le loro intenzioni rispetto a una possibile iniziativa sardo-piemontese sulle isole. In occasione di una ennesima visita rilevò lo “Stato degli abitatori delle isole la Maddalena e Cabrera”, che trasmise al viceré in allegato ad una nota spedita da Porto Pozzo il 24 aprile 1767. Dispaccio e allegato sono noti perché pubblicati dal Garelli e ritenuti, a giusta ragione, il primo censimento delle isole. Alla Maddalena registrò 21 fuochi, e in essi si contavano un totale di 114 abitanti di cui 52 femmine, tra le quali 1 capo famiglia, 18 mogli e 33 figlie. I maschi erano 62, che si suddividevano in 20 capi famiglia, 14 figli abili alle armi e 28 figli inabili. Lo stesso Brondel propose per la prima volta ai pastori isolani, la convenienza a mettersi sotto il dominio sardo, questi esagerando contrapposero la seguente riserva: “noi possediamo effetti in Bonifacio e li bestiami che abbiamo sono de’ mercanti atteso che li medesimi ci hanno fatto il capitale, e se noi ci ricoveriamo sotto la protezione di S. M. il re di Sardegna potrebbero li suddetti sequestrarci li nostri effetti che possediamo in Bonifacio”. Di fatto era poco probabile che essi avessero a Bonifacio degli effetti di valore irrinunciabile, e per quel che riguarda i bestiami non era credibile che fossero ancora tutti dei mercanti bonifacini. La stessa relazione di Brondel, appunto, nel prosieguo riferiva: “ma ogni qual volta che la M. S. si degnasse di mandare un piccolo distaccamento di soldati per prendere possesso, noi altri non avessimo veruna difficoltà di sottometterci alla sua obbedienza”. Porto Pozzo, 24.4.1767 – Lettera del vassallo Allione di Brondel con cui ragguaglia il viceré del colloquio da lui ottenuto con gli abitanti delle isole Cabrera e Maddalena per indurli ad implorare la protezione di S. M. e della risposta da essi fatta, rendendo pure anche conto dell’antichità del loro domicilio in dette isole e dello stato delle altre alle medesime aggiacenti colla giunta di uno stato della loro popolazione (A.S.T. Sard. Polit. cat. I, mazzo 3, n. 80) “Ho l’onore di trasmettere un distinto stato degli abitanti delle isole Cabrera e Maddalena e benché vi siano altre isole adiacenti alle medesime sono coltivate dagli stessi ed il raccolto che ne proviene lo trasportano in Bonifacio allorquando si ritirano. Ho fatto tutte le diligenze possibili per ricavare la origine di questa abitazione e mi fu risposto da diversi vecchi che si ricordavano d’aver inteso da’ suoi antecessori ch’erano circa duecento anni che abitavano quelle isole, e che loro era stata accordata tal possessione dall’imperatore. Per quanto mi sono potuto rigirare con maniera per indurgli a supplicare la M. S. affine gli ammettesse sotto la di Lei protezione con avergli assicurati di un buon esito, e con l’intercessione dell’E. V. avrebbero ottenuto il loro intento, mi risposero a questo articolo che con sommo piacere l’avrebbero fatto, conoscendo benissimo che avrebbero migliorato il suo stato, ma che dubitavano fortemente che la serenissima repubblica avrebbe loro sequestrato gli effetti che possedevano in Bonifacio, ma per mettersi al coperto di ogni avvenimento stimerebbero molto se S. M. il re di Sardegna inviasse un piccolo distaccamento che quello sarebbe un mezzo per rendersi suoi fedelissimi sudditi e che avrebbero implorato dalla M. S. di volergli mantenere sotto sua protezione”

6 maggio

Torino, Lettera del ministro Bogino al viceré Balio della Trinità (A.S.C. SdS, serie I, vol. 29)
Sono ragionevoli le richieste fatte dai pastori delle isole Intermedie di un distaccamento e di ciò che permetterebbe loro di non dipendere più da Bonifacio anche per lo spirituale. E’ intenzione di S.M. definire il contingente della spedizione da aggregare al distaccamento di Aggius e di impegnare lei e l’Intendente ad individuare l’isola più adatta per fissarvi la truppa. Facendo tutto in economia si deve inviare un perito tra i due misuratori presenti che, con l’assistenza di Brondel e De Nobili, predisponga i progetti. Quando successivamente si farà passare la truppa s’indicherà all’ufficiale, ai bass’ufficiali e soldati che sono stati inviati “per assistere e proteggere quegli abitanti sudditi di S. M., senza giammai si parli ne’ di rivendicare ne’ di rimettersi in possesso della sovranità, la quale s’è sempre ritenuta civilmente di S.M.”. Per lo spirituale si concorderà con Mons. Carta per l’assistenza dalla parrocchia più vicina e per una cappella. Intanto la truppa sarà accompagnata da un cappellano che servirà anche ai popolatori. Inizialmente si fisserà un tenue diritto che dovrà essere pagato come riconoscimento del dominio senza che appaia imposizione. Si controlli se essi paghino la decima a Bonifacio ed in caso positivo si ordinerà di cessare di farlo. A proposito dell’ipotesi di accogliere nell’isola i fuggiaschi di Bonifacio, S. M. non ritiene opportuno che siano accettati neppure nel resto del regno. Porterebbero disordine con la loro pratica di contrabbandi e poi in caso di sistemazione della situazione in Bonifacio se ne rientrerebbero in Corsica, al contrario dei pastori che già vi stanno da tempo.

8 maggio

Castellaragonese cambia nome: d’ora innanzi, in base a un provvedimento regio, si chiamerà Castelsardo.

18 maggio

Viceré di Sardegna è Vittorio Ludovico, conte d’Hallot des Hayes e di Dorzano.

4 giugno

Le truppe di Paoli sbarcano per conquistare Capraia, la presa dell’Isola strappata al controllo genovese nel pieno delle spinte autonomiste della Corsica dalla repubblica ligure. La sconfitta di Paoli contro le truppe del re di Francia l’anno successivo comporta l’occupazione francese anche di Capraia che, successivamente, viene restituita a Genova definitivamente dal trattato di Versailles del 1768. Rimarrà dipendente da Genova per diverso tempo dopo l’unificazione d’Italia e la nascita dello Stato italiano nel 1861, per poi passare alla provincia di Livorno, Toscana, alla quale fa riferimento tutt’oggi.

18 giugno

Cagliari, Relazione del cav. di Brondel concernente la situazione delle isole Intermedie. In seguito alla incombenza statami appoggiata da S.E. il Ballio della Trinità a riguardo delle isole adiacenti nel littorale della Gallura, cioè l’isola Cabrera, S. Stefano Maddalena, Spargi, Santa Maria e Berettini. Avendo attentamente esaminata la loro situazione, e la natura del terreno come anche la maniera con ci si potrebbe rinserrare quelle isole, d’impedire il commercio che fanno i bonifacini ed altri bastimenti esteri, con quei isolani e pastori di quel distretto della Gallura che sogliono prestar mano ai contrabbandi. Descrizione dell’isola di Cabrera. Nella suddetta vi sono circa novanta abitatori. Le sue capanne si ritrovano distanti dal Porto Palma un miglio e mezzo circa di strada, sotto il monte detto La Guardia, ed è di circuito miglia dieci otto, e ci è qualche piccolo terreno fertile, ma non di gran conseguenza che potrebbe mantenere circa centocinquanta persone, e vi si ritrovano certi fonti d’acqua, la medesima è sprovvista di boscami. Nella suddetta isola non ponno pascolare né bovi né cavalli a caggione che vi si ritrova una cert’erba che li fa perire, che per ciò sono costretti di trasportarsi da Bonifacio o Sardegna il nutrimento per li suddetti bestiami. Nella suddetta isola si potrebbe edificare una torre sopra il monte di Figo dove difenderebbe il passo tra la Maddalena e Cabrera e quel di Santo Stefano dalla Sardegna; la distanza tra la torre al punto ove vi è l’abitazione vi sarà una mezz’ora di strada, e il cannone della suddetta torre difenderebbe la popolazione. L’altra popolazione fa sua residenza nell’isola della Maddalena è qualche poco più fertile che quella della Cabrera, e potrebbe mantenere due cento persone circa, e si ritrova parimenti sprovvista di boscame e vi è solamente un fonte d’acqua che ne somministra sino a luglio, eppoi sono obbligati di andarsi a provvedere con battelli a quella di S. Stefano, e per i pascoli dei bestiami è il medesimo di quello della Cabrera. Per rinserrare come dissi quell’isole per la parte di fuori, a difendere gl’ingressi che vi sono tra loro resta necessario edificare altra torre sopra la ponta detta il Magrinetto, che difenderebbe l’ingresso tra la Maddalena e Cabrera per parte di fuori, e tra La Maddalena e S. Maria ed il Budello e Spargi. L’abitazione si ritrova sotto un monte alto che scopre da Capo Comino a l’Asinara, di maniera che non possano approdarvi bastimenti grossi né piccoli senza esser visti dal suddetto monte, e si potrebbe fare un piccolo trinceramento e postarvi un cannone che difenderebbe la popolazione e non lascerebbe accostare verun bastimento. Non si fa menzione dell’altre isole adiacenti per non essere di veruna conseguenza non essendo fertili. Per poter poi assicurare interamente gl’ingressi delli Caruggi resta indispensabilmente necessario ergere altra torre sopra la ponta detta il capo di Sardegna, e con queste tre torri sarebbero ben custoditi tanto gl’isolani che li pastori di quella porzione del littorale, e non si commetterebbe più verun contrabbando, cioè dal suddetto capo di Sardegna sino all’isola delle Biscie, luogo di gran conseguenza da custodirsi e dove si fa la maggior parte del contrabbando e si toglierebbero tutte le invasioni che potrebbero tentare li barbareschi, e se ne ricaverebbe l’utile di gran coltivazione di si grandi campagne che or sono disabitate per tema di detti barbareschi. Circa alli abitatori di dette isole, sono di bella statura e buoni per le armi, ma volubili di sentimento, e questo per non avere veruna amministrazione né di Chiesa né di Giustizia”.

28 luglio

L’atto di transazione fra il fisco regio e la duchessa di Benavente e Gandìa mette fine alla lunga lite giudiziaria che si era instaurata nel 1741 per il problema della successione nei vasti feudi, in seguito sequestrati, degli Stati d’Oliva: l’Anglona (caso unico nel regno) viene eretta in principato, il Monteacuto in ducato, il Marghine in marchesato, il villaggio di Osilo in contea; lo Stato sabaudo indennizza le due eredi e impegna per iniziative a favore dei vassalli di quei feudi la somma di 10 000 lire annue per venticinque anni

30 agosto

Cagliari, Relazione del comandante del regio pinco Brondel e del misuratore Ferreri della visita fatta delle isole S. Stefano, la Cabrera e la Maddalena, con sentimento ragionato sopra la scelta di una di esse per alloggiarvi un corpo di truppa, unitamente a carte topografiche di dette isolette e calcolo dell’importare delle spese per la costruzione di un nuovo quartiere. (A.S.T. Sard. Polit. cat. I, mazzo 3, n. 81) In seguito a lettera di S.E. delli 6 scaduto giugno mi sono io sottoscritto, unitamente al sig. misuratore Ferreri, trasferito li 24 luglio nel porto di Villamarina, donde passammo nelle isole dette di S. Stefano, La Maddalena e la Cabrera ed ivi dopo averle visitate quanto ci fu possibile, avendo attentamente esaminate le ragioni di convenienza proposte nelle istruzioni, abbiamo riconosciuto essere più convenevole quella della Maddalena per alloggiarvi un corpo di truppa per li seguenti motivi:
1° per ritrovarsi nella medesima un bellissimo Piano molto spazioso, all’intorno del quale si ritrovano la maggior parte delle capanne di quegli abitanti, non molto distanti l’una dall’altra, a fronte del quale evvi un sito molto elevato tutto attorniato da rocca viva da’ medesimi denominato La Guardia con un solo ingresso per salirvi, nella sommità del quale praticandovi un corpo di guardia di capacità non più di quattro uomini e circa 20 trabucchi lineari di parapetto con muraglia a secco, d’altezza once 20 e grossezza once 15, con due pezzi di cannone, resta sufficiente a difendere la popolazione, una gran parte delle spiagge di detta isola ed il quartiere della truppa da costruirsi al piede della suddetta rocca, lateralmente all’ingresso. In oltre dal medesimo sito si scoprono tutti gl’ingressi in dette isole e trovansi più a portata la truppa in questa per soccorrere le altre isole in occasione d’attacco o sbarco, che altrove, però per via di barche, non potendosi altrimenti facilitare l’accesso. Verranno bensì maggiormente difese coll’esecuzione delle torri di progetto, per essere queste poste in siti che col mezzo del cannone chiudono li tre ingressi alle medesime.
2° Per essere questa la più vasta fra le altre e potervi capire nel suaccennato Piano più di duecento case, essendo ancora tra le tre la più fertile, col vantaggio che già di presente godono gli abitanti della medesima di quella di S. Stefano per raccogliere biade quella di Spargese, S. Maria pel pascolo de’ loro bestiami. S’avverte però che li terreni tanto di questa come delle altre sono sabbionicci, e che il solo grano di Corsica, come dalli suddetti abitanti ci fu riferito, produce ne’ medesimi, e lasciano riposare quelli da coltivarsi sette in otto anni, e che sono ancora scarsi di boscami.
3° Non trovandosi tra centoquindici anime abitanti nella medesima verun ammalato, non può a meno giudicarsi l’aria salubre, come da loro viene comprovato ed in distanza di mezz’ora circa di cammino dalla popolazione si ritrova una copiosa sorgente d’acqua dolce e chiara, quale non viene mai meno, ed ancora da diversi altri siti possono sufficientemente ricavarne usando le necessarie diligenze.
4° Trovasi bensì questa situata nel centro di tutte le circonvicine isole ed isolotti come da Tipo si può vedere, ma non si fa luogo perciò a comunicazione colle medesime per via di ponti o dighe, se non se per via delle già proposte barche.
5° Vi sono in questa maggior quantità di capanne che in quella della Caprera quale contiene solo settanta cinque anime; non più distanti dal mare per una parte mezz’ora di cammino , e per l’altra un’ora e mezza circa. Costrutte con pietre, ma queste solo sufficienti ad alloggiarvi gli abitanti presentanei, onde si propone il menzionato quartiere tanto più per mettere in sicuro la truppa. Nel caso poi si giudicasse opportuno di mandare una porzione di truppa in quella di Caprera, si propone di servirsi d’una casa di nuovo costrutta non ancora coperta capace di alloggiarvi quindici uomini, quale è situata in mezzo alle capanne di detta isola ed esposta in vista della Guardia della Maddalena e formarvi una garitta sovra la montagna ivi attigua per mettere a coperto la sentinella che dovrebbe restarvi al giorno.
6° Li porti più frequentati da naviganti sono quello di Villamarina sito nell’isola di S. Stefano fra le tre la più piccola disabitata e più facile ad essere invasa, e quello di Palma sito in quella della Caprera, distante un’ora e mezza di cammino dalla popolazione, onde non potendosi in queste così facilmente e con poca spesa mettere in sicuro la truppa, come in quella della Maddalena, si è considerato che per percevere il dritto d’ancoraggio siano necessarie le torri nel tipo divisate, con una barca armata sì per visitare le cale che per esigere il suddetto dritto e trovandosi ancora un attinenza all’ultimo divisato porto altro detto dell’isolotto del Porco capace per navi da guerra, questo verrebbe pure custodito dalla torre che si propone a Punta Rossa.
Dal pinco corsale li 30 agosto 1767 – Allione di Brondel – Giuseppe Maria Ferrery, misuratore di S.M.

settembre

Una galeotta guarda coste sarda sequestrò la gondola del patrone bonifacino, Antonio Mamberti, colta in flagranza a imbarcare montoni alla Maddalena con la complicità di quei pastori, e arrestò lo stesso Mamberti. Il rilascio successivo della nave e la liberazione del patrone non fu interpretata dai bonifacini come segno di benevolenza, ma, al contrario, ritennero che si fosse trattato del riconoscimento da parte sarda dell’errore di aver di aver operato un sequestro di merce corsa imbarcata in un’isola di dominio corso.

settembre

Anche un dispaccio del viceré al vassallo Brondel, del settembre 1767, evidenziava il ruolo di deposito delle isole. Per evitare le estrazioni clandestine di grano e di altri generi che gli isolani facevano depositare nelle isole e poi passavano di sfroso a Bonifacio, il viceré dispose che si dovessero bloccare le navi cariche di merci in contrabbando al momento della partenza dalle coste galluresi o quando ripartono cariche dalle isole. Il testo contiene anche un’importantissima determinazione politica di tolleranza degli sfrosi dei maddalenini, che nell’imminenza della spedizione venivano sollecitati ad accettare il passaggio sotto il dominio del re sardo. Des Hayes, infatti, per accattivarseli ordinava: “Quando anche si sapesse essere trasportati grani e altri generi nelle isole e che li medesimi vi si trovassero pur anco, non si dovrà procedere a veruna perquisizione e ricerca per non irritare avanti tempo e rendere indisposti gli animi degli isolani nelle note viste”.
Per quel che riguarda il contrabbando, le isole erano, quindi, pensate quale polo logistico per l’armamento marittimo, che crociando nelle acque delle Bocche avrebbe dovuto intercettare e battere i traffici clandestini. Probabilmente il contrabbando per i maddalenini fu più lucroso quando parteciparono come marinai del re a combatterlo per mare, facendo prede e ricevendone le quote nella loro divisione, piuttosto che quando lo facevano direttamente, per conto dei bonifacini.
Il caso Rubiano
Il giudizio di temerari che il viceré dava dei pastori maddalenini e caprerini non appariva immeritato. Gli isolani, infatti, avevano una vita non proprio bucolico-pastorale e quieta. Proprio i ritmi e le modalità del governo delle bestie a pascolo brado e le ridotte attività agricole e orticole, l’apporto dei ragazzi in questi lavori, lasciava tempo libero agli adulti per attività anche non lecite. Abbiamo di loro una rappresentazione di uomini armati con armi da fuoco e da taglio. Non potendo più attingere agli atti giudiziari della curia bonifacina e di quella tempiese andati dispersi, si devono utilizzare i riferimenti ad episodi e circostanze presenti nella documentazione reperibile. Proprio nella massa documentaria relativa alla disputa giuridica circa la sovranità sulle isole, si ritrovano informazioni sommarie e non organiche. Da essa si rilevano delitti contro la persona, con uccisioni di pastori dimoranti nelle isole e omicidi da essi attuati. Più numerose sono le notizie di furti, soprattutto di bestiame. Nell’ ambito delle relazioni interne, invece, le cose dovevano essere molto regolate. Non si ha, infatti, notizie di lotte e faide intestine, e la regolazione dell’organizzazione dello sfruttamento delle terre e dell’allevamento che conosciamo depone per un tessuto sociale coeso e solidale.
Si è, invece, conservata la documentazione del cosiddetto “caso Rubiano”, che viene introdotto dal lungo documento sopra riportato. Questo “caso” è stato sinora trattato da altri autori esclusivamente per i suoi risvolti giuridici nella diatriba di diritto internazionale sul dominio sulle isole. Qui invece la vicenda interessa per le informazioni che si ricavano dai relativi materiali archivistici inediti, sul ruolo che in essa hanno avuto i pastori isolani, e sul loro stile di vita e i modelli comportamentali di riferimento. Il caso si articola in due momenti diversi e lontani tra di essi poco più di 2 anni. La prima, nel novembre del 1749, fu l’arresto in Bonifacio del capitano Andrea Rubiano, comandante della galeotta sarda guarda-coste e la sua evasione. La seconda fu la sua uccisione in Gallura il giorno 2 febbraio 1752. Rubiano era un bonifacino al servizio del re sardo, ma non doveva essere un fuoriuscito, giacché si recava spesso a Bonifacio. Aveva il soprannome poco eroico di “fichi molli”, e mentre nei documenti del 1749 relativi all’arresto veniva indicato domiciliato a Carloforte e maritato a una tabarchina, in quelli del 1752 veniva invece detto domiciliato ad Alghero. Comandava la galeotta “armata in corso” che in quegli anni, con lo sciabecco comandato prima da Giovanni Porcile e poi da Gio’ Batta Rossi, faceva la ronda anti contrabbando e anti barbareschi nelle Bocche.
In occasione di una sosta a Bonifacio il 13 novembre del 1749, a conclusione della campagna estiva che aveva visto anche gli episodi raccontati dal documento su riportato, fu tratto in arresto con una cattura rocambolesca. Nei documenti sardi questa vicenda viene raccontata da due testimoni entrambi marinai della galeotta, il sardo Antonio Crobo e il bonifacino Giacomo Maria Fattacci. Inizialmente Rubiano riuscì ad essere sottratto agli sbirri, che lo avevano già preso, dall’intervento del suo equipaggio. Ma il giovane tenente della galeotta sarda, Giovanni Battista Porcile che si trovava a terra, venne per ritorsione arrestato e tenuto come ostaggio. La galeotta che tentava di prendere il largo fu fermata dalla notizia dell’arresto e quindi fu bloccata in porto. Ebbe perfino sequestrati gli attrezzi della navigazione, per impedirne l’allontanamento dal porto, fin quando un folto drappello di militari francesi e genovesi non portò via Rubiano in catene. Secondo i testimoni di parte sarda, l’arresto era dovuto al fatto che i bonifacini volevano mantenerlo lontano dal comando della galeotta per la sua perizia nella lotta al contrabbando, per la conoscenza perfetta dei luoghi e delle persone che gli provenivano dall’essere bonifacino. L’accusa voleva invece che la sua colpa fosse quella di avere arrestato ingiustamente due corsi ritenuti contrabbandieri.
L’epilogo del caso di ebbe in una bruttissima giornata di inizio febbraio del 1752, quando Rubiano fu costretto a portare in secco la sua galeotta nella spiaggia della rada di Mezzo Schifo a causa di un temporale. Il racconto dei testimoni fu rilevato dal podestà di Terranova, don Giovanni Ferdinando Serra Dedoni, assistito dal notaio Francesco Satta, che produssero i relativi atti giudiziari. Secondo loro, lasciati tre uomini a guardia dell’imbarcazione, il capitano e il resto dell’equipaggio, una dozzina di marinai, trovarono rifugio per la notte presso il ribagno, nella cussorgia di Surrau, di Giovanni Maria Cuchari, un pastore originario di Calangianus. Il mattino successivo il gruppo si mise in marcia per il ritorno alla spiaggia, accompagnato dal pastore che ad un certo punto del tragitto rientrò all’ovile. Appena in vista del litorale, nella località che successivamente lo stesso Cuchari indicò come Punta Alta di Mezzo Schifo, probabilmente riconducibile all’odierno Monte Altura, dalla boscaglia e dalle rocce sbucarono 4 uomini armati.
I fucili spianati fecero fuoco però solo sul capitano Rubiano, che cadde al suolo ammazzato da”tres bolassos” (tre colpi “a balla”), mentre il quarto colpo fu esploso in aria in segno di giubilo, ma fors’anche come segnale di conclusione della operazione. Gli altri marinai, temendo per la propria vita fuggirono di gran carriera in più parti, mentre gli sparatori si preoccupavano di urlare loro di non temere. In particolare chiamavano a gran voce un certo Guarino, dicendogli che sia lui che tutti i suoi compagni non avevano niente da temere. Dagli atti si sa che Guarino era il soprannome del marinaio Giovanni Battista Chipolino, un tabarchino di 23 anni, giunto quindi all’isola di S. Pietro nel 1738 all’età di 9/10 anni, con la famiglia registrata come Cipollina. “No temas Guarino que ya hemos encontrado a quien buscavamos, que es Andrea Rubiani”, gli disse un certo Domenico che uscì allo scoperto, insieme agli altri tre sparatori: Matteo, Giovanni e Giovanni Battista. Tutti e quattro furono precisamente individuati dai testimoni: “viven en la misma isla de la Cabrera y todos y quatros los conosciemos por ser ya alto el sol y por havierlos vistos varias veses y hablados”. Successivamente comparvero altri 25 corsi tra cui i testimoni riconobbero il bonifacino Pasqualino Mazzardi, e tutti questi insieme si ritirarono sullo schifo con cui erano arrivati da Capo d’Orso. Prima di andarsene, però, uno dei quattro caprerini, più precisamente quello individuato come Giovanni, fornì allo stesso Chipolino, alias Guarino, il suo movente per l’uccisione del capitano Rubiano. La indicazione del nome Giovanni nelle testimonianze è univoco, non altrettanto la scrittura del cognome attribuitogli. Anche lo scrivano della curia di Terranova, che trascriveva gli interrogatori, dovette metterci del suo, per cui il cognome può essere inteso più verosimilmente come Muceddu o Mureddu. Senza rigettare l’ipotesi che potesse trattarsi di un nomignolo piuttosto che del cognome noto, giacché nelle isole non si conosceva in quel periodo un patronimico simile. Egli affermò che Rubiano “havia pagado el hecizo que havia heco a la hija”, cioè a dire per aver sedotto sua figlia.
Un documento successivo attribuibile al comandante Porcile, e prodotto per le autorità cagliaritane oltre il procedimento giudiziario, fornisce qualche particolare in più, riferendo che la donna offesa era stata la caprerina Anna Maria Culiolo. Dai registri di battesimo bonifacini sappiamo che era nata nel gennaio del 1731 da Matteo fu Pietro e da Angela. Dal documento Porcile sappiamo ancora che il Rubiano, tradendo il giuramento di matrimonio fattole, avrebbe sposato invece una tabarchina. La giovane caprerina, sempre secondo Porcile: “si dice che del dolore ne morì”, e poiché tra i quattro caprerini uccisori del comandante Rubiano è stato riconosciuto un Matteo, secondo il rituale è senz’altro toccato al padre Matteo Culiolo vendicare l’offesa subita dalla figlia. L’uccisione di Rubiano veniva quindi apertamente rivendicata come una “vendetta corsa”, un vero e proprio delitto d’onore. Il rituale previde anche un segno di ulteriore disprezzo del cadavere, che fu spogliato di alcuni pezzi di valore e simbolici: una fascia, la berretta, un anello che portava al dito e un orecchino (“pindinu”) che aveva in un orecchio.
Il gruppo allargato dei corsi fu, inoltre, protagonista sospettato della spoliazione anche della galeotta. Non c’era la certezza che fossero stati loro a depredare l’imbarcazione militare sarda tirata in secco, di una spingarda, una picca, uno schioppo e di tutta la polvere da sparo di una cartucciera, in barba ai tre marinai lasciati di guardia che si addormentarono esausti senza rendersi conto del furto che si perpetrava a loro danno. Non dovevano, però, essere in molti ad aggirarsi nei paraggi in occasione di quel fortunale, oltre chi era in caccia del capitano Rubiano per la soddisfazione che voleva prendersi nei suoi confronti. Il fatto comunque dimostra che i corsi isolani erano sempre pronti a cogliere l’occasione di depredare oltre che di raccogliere i relitti di veri e propri naufragi, avvallando l’iniziativa del patrone provenzale Giacomo Gioja di cui s’è detto.

4 settembre

Un ampio pregone del viceré des Hayes riordina minuziosamente l’attività dei Monti granatici, affidando contemporaneamente la loro amministrazione a un complesso sistema di giunte locali e diocesane, composte da ecclesiastici e secolari, dirette da una giunta generale istituita a Cagliari. In forza del concordato del 1741 anche nel Regno di Napoli i Monti frumentari erano ormai sottoposti a un tribunale misto. L’azione riformatrice del governo Bogino consegue risultati apprezzabili in ambito economico, con l’emanazione di un regolamento di riordino dei Monti frumentari. Si tratta di un istituto per il credito agrario – esercitato attraverso l’anticipazione delle sementi agli agricoltori – creato dagli Spagnoli sin dal Parlamento Vivas del 1624, ma rimasto largamente sulla carta. Nel 1766, secondo un rapporto steso dal dottor Giuseppe Cossu su incarico del viceré Balio della Trinità, i Monti effettivamente funzionanti sono ben pochi. Il nuovo regolamento, in particolare, perfeziona il meccanismo di capitalizzazione del Monte (cioè la costituzione della riserva granaria) rendendo obbligatorie le corvées sul terreno ad esse destinato. Assoggetta, inoltre, tutto il sistema dei Monti ad una struttura amministrativa che è capillare, con una giunta locale che regge ciascun Monte, e insieme centralizzata, con giunte diocesane nelle diverse circoscrizioni ecclesiastiche e una giunta generale, unica per l’isola, insediata a Cagliari. L’ufficio di segretario della Giunta generale, nevralgico per l’agricoltura isolana, sarà a lungo ricoperto da Giuseppe Cossu (1739-1811), l’esponente più colto e preparato di quel funzionario sardo che si è pian piano formato nell’ambito dell’amministrazione piemontese. Le sue relazioni annuali sull’attività dei Monti, oltre che fornire informazioni puntuali e documentate sul trend dell’agricoltura sarda, lo mostrano aggiornato sulle tendenze più moderne del pensiero economico, e specialmente della fisiocrazia francese. Ma il Cossu mostra anche una particolare disposizione a trasporre in termini popolari e divulgativi, valendosi della lingua sarda, tutte le direttive del governo in materia agricola.

18 settembre

Il granduca di Toscana attua la prima parziale liberalizzazione del commercio dei grani.

22 settembre

Mentre Genova è impegnata a combattere la rivoluzione còrsa, con le istruzioni diramate dal viceré alle truppe a Cagliari entra nella fase operativa il piano per l’occupazione militare dell’arcipelago della Maddalena.

6 ottobre

Il cavaliere cagliaritano Antioco Ripoll “capitano delle torri”, a seguito della sua ricognizione per verificare l’efficienza del sistema di difesa dell’isola, dichiara che l’armamento dell’importante torre/vedetta delle Bocche di Bonifacio lascia a desiderare, così come la vigilanza di qualche artigliere. Le scialuppe del vascello “S. Carlo”, il Pinco di Brondel e la feluca di De Nobili si ritrovano a Longonsardo per preparare l’occupazione militare delle isole dell’arcipelago di La Maddalena.

10 ottobre

Il convoglio della spedizione a Longonsardo.

12 ottobre

Sassari, Lettera del governatore al viceré (A.S.T. Sard. Polit. cat. I, mazzo 3, n. 84) “Nel presentarsi ancor a me stamane un commesso venuto per incetta di carni a provvisione de’ Padri Gesuiti trasportati a Bonifacio, mi assicura che sapendosi già in esso presidio da molti mesi la determinazione di S.M. per occuparne le dette isole, vi era la risoluzione di spedirvi in tal caso un soggetto a farne per parte della repubblica le dovute proteste. P.S. Nel momento vengo di ricevere due lettere del mentovato sig, cav. Lascaris degli 11 e 12 andante, e sebbene nella prima mi porga l’avviso di aver saputo che la galera e due pinchi entrati in Bonifacio avevano portato delle provvisioni per quel presidio, e che la galera fosse destinata per garantire i pinchi da corsali corsi ( n.d.a polisti); nell’altra però mi accerta che la sera de’ 10, alle ore 8, è giunto in Longonsardo il pinco portante il sig. maggiore La Rocchetta col suo distaccamento destinato ad occupare le note isole, per le quali partirà il giorno 15 se arriverà in tempo il contingente del distaccamento di Agius stato prontamente avvisato di dover partire subito per Longonsardo. In oltre mi avisa che la galera genovese fosse passata giorni sono alle note isole e che siasi da quelle ritirate. Vedi anche: La preparazione della partenza

Conte Hallot des Hayes

14 ottobre

Si preparano fascine, si fanno esercitazioni militari, si verificano i piani e si mandano in ricognizione le lance. Da Longonsardo salpano le navi che devono occupare l’arcipelago.

Il cavaliere cagliaritano Antioco Ripoll “capitano delle torri”, a seguito della sua ricognizione per verificare l’efficienza del sistema di difesa dell’isola, dichiara che l’armamento dell’importante torre/vedetta delle Bocche di Bonifacio lascia a desiderare, così come la vigilanza di qualche artigliere.
Le scialuppe del vascello “S. Carlo”, il Pinco di Brondel e la feluca di De Nobili si ritrovano a Longonsardo per preparare l’occupazione militare delle isole dell’arcipelago di La Maddalena (6 ottobre); si preparano fascine, si fanno esercitazioni militari, si verificano i piani e si mandano in ricognizione le lance.
Da Longonsardo salpano le navi che devono occupare l’arcipelago.

L’Arcipelago entra finalmente nella storia! Il nuovo Viceré di Carlo Emanuele III, il Conte Hallot des Hayes, rompe gli indugi. Una spedizione militare, composta da 140 uomini agli ordini del maggiore La Rocchetta del Reggimento Sprecher, occupa, senza incontrare alcuna resistenza, l’isola della Maddalena. Partecipano alla spedizione quattro navi militari e un pinco privato che trasporta truppe e rifornimenti. Gli occupanti sbarcano in parte a Cala Francese e in parte a Cala Chiesa e da entrambi i punti di arrivo si dirigono verso il colle della Guardia (attuale Guardia Vecchia). Apprendiamo inoltre, che fu don Michele Demontis, cappellano al seguito della spedizione piemontese, a celebrare, all’aperto, la prima Messa nell’Isola. Provvisoriamente poi si dovette utilizzare una delle baracche militari rapidamente costruite. Vedi anche: Il 14 ottobre 1767 gli sbarchi e l’insediamento

15 ottobre

Maddalena, Lettera del maggiore del reggimento di Sprecher, La Roquette, contenente la relazione del modo con cui il distaccamento da lui comandato aveva preso possesso delle isole Intermedie in nome di S. M., con copia della protesta che alcuni giorni prima il commissario di Bonifacio aveva rimessa agli abitanti di dette isole per farne uso in occasione dello sbarco delle regie truppe. (A.S.T. Sard. Polit. cat. I, mazzo 3, n. 85) “Ho l’onore di partecipare a V.E. che il 14 corrente a mezzogiorno noi abbiamo veleggiato da Longonsardo verso l’isola di la Maddalena, e che alle 6 di sera ero già padrone del sito della Guardia; gli abitanti sono venuti incontro a me, io ho intimato loro di dover riconoscere il nostro Augusto Sovrano quale loro Signore. Essi hanno risposto che sono e saranno sempre sottomessi al vincitore, utilizzando la frase <<viva chi vince>>. Il successivo mattino del 15 corrente gli abitanti di Caprera sono venuti a rendere omaggio. Io ho loro ugualmente intimato l’obbedienza a S. M. Oggi ne faccio prendere possesso con un ufficiale e 40 uomini, che si trincererà al più presto possibile, per stabilire in seguito l’artiglieria. Gli ho dato istruzioni di cui ho l’onore di inviare il contenuto a V.E. Oggi faccio montare alla Guardia i due pezzi di cannone destinati per questa postazione. Noi non abbiamo ancora trincerato niente a causa del tempo e degli utensili che non si sono ancora sbarcati, ciò nonostante postazione essendo per sua natura difendibile, come si conviene in caso di attacco, piazzo i due pezzi e lavoreremo in seguito. Questa postazione appare perfettamente adatta per stabilirvi con una piccola difesa una fortificazione in grado di resistere alla forza.

15 ottobre
Era ormai chiara la volontà del Re Sabaudo d’impossessarsi dell’Arcipelago. Fu per questo che il Commissario di Bonifacio Oldoini, affidò agli abitanti corsi delle isole una lettera di protesta, da presentare ad avvenuta occupazione. Le cose non andarono esattamente così …
Noi tutti abitanti nell’isola di Caprera, Giurisdizione di Bonifacio, dominio della nostra Serenissima Repubblica di Genova, che all’immemorabile, senza alcuna contradizione né ostacolo, è al possesso non solo dell’isola nominata la Caprera, ma di tutte le altre nominate La Maddalena, Spargi, Spargiano, Santo Stefano, Santa Maria, il Budello, la Risuola e le due isolette del Cavallo e Lavezzo, sempre state quietamente e pacificamente possedute dalla S.a nostra Repubblica, e nelle quali, cioè in quelle della Maddalena, Caprera e S. Stefano hanno sempre prima di noi abitato li nostri antenati, come veri e fedeli sudditi di detta S.a Repubblica, verso la quale sino all’ultima stilla di sangue professiamo, dichiariamo la più inviolabile ubbidienza, fedeltà e sommissione. Presentendo, che l’armamento di S.M. il re di Sardegna, possa pretendere tentare lo sbarco in questa o in altre isole di sovra espresse, ancorché senza verun jus, titolo, ragione né azione, per indi impadronirsi contro ogni legge ed urbanità, di dette isole o parte di esse, non potendosi però mai ideare, essere ciò ordine né mente ella Reale M.S., ma bensì mera idea di qualche capriccioso umore che voglia tentare, per turbare un sì antico e pacifico possesso, dominio e tenuta di dette isole alla prefata S-a Repubblica, e non avendo noi al presente forma di ripararci dalle ostilità, che possa usarci, da chi, come si è detto, contro ogni ragione macchina l’ingresso in dette isole senza saputa del nostro S.o Governo; perciò, anche in vista di non peccare verso Iddio, e non acquistarsi una generale taccia d’infedeltà, della quale ci dichiariamo assolutamente involontari e lontani, offrendoci pronti sacrificare non che le sostanze, che le proprie della nostra prole vite per difesa ed immunità della già mentovata nostra S.a Repubblica, della quale di nuovo ci dichiariamo giurati e costanti fedeli sudditi, ci protestiamo d’una irreparabile violenza ed ostilità contro chiunque perturbatore della nostra gente e stato, richiedendo frattanto, che non debba innovarsi cosa alcuna, né tentare lo sbarco prima, che da noi, a tenore del nostro debito, non se ne avanzi l’avviso al nostro S.o Governo, altrimenti ci riprotestiamo in tutto come sopra”. Dall’Isola di Caprera

16 ottobre

Occupazione sardo-piemontese dell’arcipelago. La Maddalena viene dichiarata piazzaforte marittima di rifornimento. Tra le prime richieste degli abitanti isolani vi è quella di una chiesa. La popolazione al momento dell’occupazione è di 185 persone.
Michele Demontis è il cappellano delle truppe d’occupazione sardo piemontesi.
Un altro cappellano al seguito delle truppe è Virgilio Mannu

Caprera, Lettera al Commissario genovese di Bonifacio, Oldoini. (A.N.P., serie Q, 295, n. 6) “Illustrissimo sig. Commissario, non manchino di darli parte siccome alli 14 di ottobre a ore 23 semo stati assaltati della truppa Savoiardi, e ci hanno fatto tre sbarchi e ci hanno misso nel mezzo con 7 lancie grosse e due pinche. Is che noi no eravamo in forza di poterli smontare, ci hanno presi li nostri schiffe perché noi non fossimo venuti a dar l’avviso in Bonifacio a darli avviso perché sanno che in Bonifacio vi è la galera che vi portano gran paura, li detti capi dell’isola della Caprera e della Maddalena con tutti l’isolani li hanno detto che l’isole erano del Prencipe e noi semo figli del Prencipe di Genova. Lui hanno risposto che la isole erano del Re e se noi ni parlavamo ci volevano farci a pezzi, nell’isola della Maddalena vi è sbarcato numero di soldati 300 soldati a bordo a essi non sapemo ciò che vi può esse alli 15 di ottobre e arrivato il filocono sicché adesso sono alla Maddalena anno da venire alla Caprera, noi semo pronti semo fedeli sempre al nostro Prencipe tutti l’ora che ci comanda sempre viva il nostro Prencipe fino all’ultima stilla di sangue noi stiamo sempre allo aspetto a aiuto del Prencipe. Sue bon servitore Matteo Culiolo, Domenico Moriano, Giovan Batista Zicavo, Pietro Millelire, Giovanni Andrea Ornano, Silvestro Panzano e Pietro Culiolo per li detti a nome di tutti li abitanti delle isole della Maddalena e Caprera della nostra Serenissima Repubblica dichiarando altresì essere stata fatta la protesta tanto di quella della Maddalena quanto da me sottoscritto e dalli altri abitanti della Caprera alle arme sarde quando sono sbarcate, et in fede questo giorno 16 ottobre 1767. Pietro Culiolo a nome di tutti gli isolani”.

17 ottobre

Un felucone comandato da Pasquale Paoli, l’autonomista e rivoluzionario corso, passando armato davanti alla cala di Villamarina (Santo Stefano) dove è sistemato un distaccamento sardo, saluta con quattro colpi di cannone. Il gesto viene interpretato come riconoscimento del buon diritto del Re di Sardegna.

18 ottobre

La conquista della Maddalena avvenne a tarda sera e da alcune relazioni si deduce che la giornata fosse piuttosto autunnale, che il tempo fosse ventoso, e fresca la temperatura. Le condizioni climatiche dell’epoca erano ben diverse da quelle attuali. Erano infatti, quelli, i decenni che preparavano alla cosiddetta Piccola Glaciazione, fenomeno che interessò poi l’Europa, e quindi l’Italia e la Sardegna, per parte dell’800, con temperature davvero basse. Per cui è plausibile che la Messa di ringraziamento sia stata celebrata il giorno successivo, cioè giovedì o meglio ancora, la domenica successiva. Certamente una Messa fu celebrata nel giorno di domenica 18 ottobre 1767, e fu in latino, secondo il rito Tridentino.
Ma non c’era solo, da parte di chi occupava, la preoccupazione di dare assistenza spirituale alle truppe e agli isolani. Con la presenza del prete queste isole sarebbero subito appartenute alla diocesi sarda (del Regno di Sardegna) di Ampurias e Civita, togliendo, “manu militari” la giurisdizione ecclesiastica alla parrocchia corsa (della Repubblica di Genova) di Bonifacio, che di fatto fino ad allora l’aveva esercitata.
Dunque possiamo dire che il 14 ottobre 1767 non ci fu soltanto un’occupazione militare delle isole ma ci fu anche un’occupazione “diocesana”. Tant’è vero che appena tre mesi dopo, nel gennaio del 1768, venne istituita la parrocchia di Santa Maria Maddalena, una parrocchia ancora senza chiesa, la cui costruzione inizio qualche mese più tardi. L’esistenza della parrocchia, sebbene ancora senza chiesa, determinò anche l’apertura dei registri parrocchiali, di fatto di stato civile, i primi e più antichi pervenutici. Nati, morti, matrimoni. Registri che, per decenni e decenni, tornarono utili alle stesse autorità militari e civili.
Dunque l’occupazione del 14 ottobre 1767 viaggiò su due linee, quella militare e politica e quella ecclesiastico-diocesana. E da quell’ottobre 1767 i parroci di Bonifacio in nessuna maniera riuscirono più a mettere il naso negli affari, nelle vicende e nelle coscienze dei maddalenini, e neanche delle loro tasche.
La chiesa maddalenina, sorretta da quella diocesana, ebbe un ruolo importante pochi anni dopo, 26 anni dopo, nel 1793, quando si schierò, senza se e senza ma, alla difesa dell’Isola contro l’invasione Franco-Corsa.
I preti che succedettero a don Demontis, i parroci che gli succedettero, furono tempiesi, calangianesi, aggesi, comunque galluresi. Portavano i cognomi di Mannu (furono due, zio e nipote), Mossa (quello dello stendardo), due furono i Biancareddu (di cui uno ai tempi di Nelson), Ferrandicco, Pischedda, Balistreri-Pintus. Due parroci si chiamarono Addis, di cui uno Mamia Addis, fu all’Isola ai tempi di Garibaldi, e poi ci fu il canonico Antonio Vico. Poi ce ne sono stati di Castelsardo (Capula), uno solo è stato maddalenino (Riva), quello che ha fondato la Parrocchia di Moneta.

13 dicembre

La Parrocchia registra il suo primo atto ufficiale: “Il giorno 13 dicembre, anno 1767, La Maddalena, è morto nel Signore Domenico Gambaredda di 56 anni, munito dei sacramenti e fu sepolto. E’ stato sepolto nella chiesa rurale di S. Michele in agro del Liscia” Canonico Virgilio Mannu.

25 dicembre

A meno di due mesi e mezzo dall’occupazione militare, fu un Natale decisamente diverso per i circa 200 corso-maddalenini che abitavano le isole di Maddalena e Caprera. Intanto perché dovettero sentirsi un po’ più sicuri dal rischio delle temute incursioni islamico-barbaresche; e poi perché il nuovo prete, il canonico Mannu, arrivato da pochi giorni in sostituzione del primo (don Demontis se n’era andato quasi subito), dovendo occuparsi non solo dei militari ma anche di loro, è probabile che in quei pochi giorni immediatamente precedenti il 25 dicembre fece loro sapere, che la mattina di Natale “il prossimo venerdì”, alla tal ora e nel tal luogo, sarebbe stata celebrata Messa, invitandoli a parteciparvi.
Nessuno dei preti della parrocchia di Bonifacio era mai giunto alle isole di Maddalena e Caprera per Natale… Quando lo facevano era in altri periodi dell’anno, in condizioni climatiche decisamente migliori, ed era per incassare le decime. Ora invece c’era un prete, addirittura un canonico della collegiata di Civita-Tempio, mandato dal vescovo della Diocesi di Ampurias (Castelsardo), che decime, per il momento, non ne stava chiedendo, anche perché era pagato dalla corte Viceregia di Cagliari. Il 25 dicembre (era un venerdì), appunto, dovette celebrare la Messa di Natale. Se così fu, com’ è assai probabile che sia stato, fu quello il primo momento in cui militari e civili si trovarono insieme, e fu quello il primo momento – l’embrione – dal quale derivò il carattere simbiotico delle due comunità (la prima volta sotto l’egida della chiesa), carattere simbiotico che è poi proseguito per 250 anni successivi, fino ad oggi.
Quel venerdì 25 dicembre del 1767, quel giorno di Natale, una “cicogna” era intanto giunta in una capanna maddalenina, portando la gioia di un figlio a due sposi: Giovanni Battista Ornano e Santa Ferracciolu, del luogo. Anzi si trattava di una bimba.
Poco più di un mese dopo, domenica 31 gennaio 1768 la bimba fu battezzata, non è dato sapere dove, dal parroco Virgilio Mannu. Era di domenica, forse, il battesimo avvenne durante la messa oppure dopo la benedizione finale. Le fu imposto, alla bimba, il nome di Angela Maria. Nomi cristiani, Angela e … Maria. Maria era però anche per il nome della madrina, Maria Anna Beringer, di Cagliari. E il padrino fu Bartolomeo Franco, di Torino. Presumibilmente coniugi. Costoro non risultano ovviamente nell’elenco dei circa 200 abitanti originari. C’è quindi da ritenere che fosse una famiglia di militari.
Il 31 gennaio 1768 il canonico Virgilio Mannu battezzò anche un’altra bambina, Maria Avigià; questa era un po’ più grandicella dell’altra, essendo nata il 5 settembre 1767 (aveva 4 mesi). Era figlia di Pasquale Avigià e Maria Assunta Millelire, del luogo. Padrini furono Stefano Brongia, di Cagliari, e Rosa Sanna, di Alghero. Anche in questo caso, probabilmente, famiglia di militari … e presumibilmente coniugi. E questo significa che, fin dalle prime settimane dalla fondazione di questo paese, i rapporti tra le due comunità, dell’originaria corsa e di quella sopraggiunta militare, si stavano già fortemente saldando. Ma significa anche che i militari presenti vi stavano portando le loro famiglie, come si significa che in queste isole, di pochi chilometri quadrati, cominciavano a convivere persone provenienti da diverse partiti.
Dalla Corsica, appunto, da Cagliari, da Torino, da Alghero. E siamo, a fine gennaio del 1768, a meno di tre mesi dall’occupazione! Avremo poi modo di vedere come le tante ragazze isolane cominciarono ad innamorarsi dei baldi giovani militari … e come qualche “cornetto” dovette crescere su qualche testa locale …