CronologiaMilleottocento

Correva l’anno 1873

Consigli sull’agricoltura dell’eroe… e il curioso riconoscimento di una medaglia “inmeritata” per le patate coltivate a Caprera –
Seconda mostra agricola industriale e artistica sarda, 1873
“Domanda:
– Generale, avete provato a propagare le patate africane, di una dolcezza singolare e molto amidata?
Risposta:
– Il suolo Caprera è molto fertile e capace di raccolti migliori come quello che mi indicate.
A proposito di patate – ho ricevuto questa mattina la visita del Sindaco della Maddalena – che mi ha consegnato la medaglia che mi è stata conferita dal Comitato Esposizioni Regionali Sassarese organizzato quest’anno per le patate che ho inviato a questa mostra – medaglia se volete, immeritata… immeritato. ”
Da “Caprera – visita al generale Garibaldi” del nobile Pietro de Quesada di San Saturnino di Sassari.
Quelle patate dovevano essere fantastiche! Vestiti con un pizzico di olio d’oliva, un pizzico di sale e rosmarino profumato Caprera, erano tra i piatti più comuni sulla tavola del generale.
Per Caprera, questa medaglia è un piccolo tesoro riscoperto. È esposta da qualche anno al Compendio Garibaldi, grazie al dono di Leandro Mais, grande studioso e appassionato di Risorgimento.

Antonio Balata svolge la funzione di sindaco di Santa Teresa fino alla nomina di Anton Paolo Vincentelli.

23 aprile

Nasce a Caprera, Manlio Garibaldi. Ultimogenito di Giuseppe Garibaldi e Francesca Armosino. Il 23 aprile del 1873 Francesca Armosino aveva partorito un figlio maschio, Manlio, che, come afferma Clelia , divenne il prediletto dell’Eroe.
Il Generale fumava il sigaro toscano e fumava anche di notte quando scriveva. A me non aveva mai dato noia, a Manlio, invece, si. Dopo aver preso il latte, quasi sempre lo restituiva. Papà pensò che ciò fosse causato dal fumo troppo forte del suo sigaro, e adorava così immensamente il suo piccolo che decise senz’altro di smettere di fumare. Al mattino seguente distribuì alla gente di Caprera tutti i sigari che aveva in casa, e ne tenne uno solo per sé. Lo spaccò in due e disse a mia madre: ” Francesca, facciamo così: metà conservala e metà me la fumo per l’ultima volta “. Andò fuori per evitare di dar noia a Manlio, e dette l’addio al tabacco“. Solo nel 1880 suo padre riesce ad ottenere l’annullamento del matrimonio con la marchesina Giuseppina Raimondi, riuscendo così a regolarizzare la sua posizione matrimoniale, sposando la piemontese Francesca Armosino, donna di umili origini, sua compagna da 14 anni e dalla quale aveva avuto già una figlia. La sua passione per il mare lo portò presto ad entrare nell’Accademia Navale di Livorno (difatti fu uno dei primi cadetti della neonata Accademia) e per questo motivo, nel 1888, l’ultima moglie di Garibaldi e sua figlia Clelia presero casa all’Ardenza (Villa Donokoe) come il Generale stesso aveva raccomandato loro. Garibaldi scrisse un romanzo “Manlio” dove scrive le gesta che sarebbero dovute essere del suo ultimo figlio. Nel romanzo si racconta il sogno di un Dittatore, il “più onesto degli italiani”, che non assorda di “ciarle il popolo”, ma mette ordine “nell’italico pandemonio” dei burocrati, cacciando preti e sbirri, abolendo pensioni e legioni d’onore. Alla morte del padre, Manlio e la sorella Clelia ereditarono la casa e il terreno di Caprera situato a nord del “muro di Clara Emma Collins”, l’altra proprietaria di una parte dell’isola. Da queste disposizioni testamentarie derivarono tutta una serie di lunghe noie legali, note anche come “beghe di Caprera”, che si risolsero con una sentenza del 25 gennaio 1909, che dava ragione a Francesca Armosino ed a sua figlia Clelia, condannando Ricciotti Garibaldi, alle spese legali, per aver utilizzato cose di cui non era proprietario. Manlio era già morto il 12 gennaio 1900, a Bordighera a causa di una tubercolosi ed a soli 27 anni d’età, e come testimonia lo scrittore Edmondo de Amicis, fu stimato dalla cittadinanza durante il suo breve soggiorno. La vita di Manlio possiede molti punti comuni con Napoleone II di Francia, entrambi figli di generali valenti ed uomini illustri, entrambi morti in giovane età di tubercolosi, entrambi eredi di idee, principi morali e politici assai pesanti da sopportare. Fu Consigliere Comunale a La Maddalena.

16 giugno

Attentato al Vescovo

19 luglio

Nasce a La Maddalena Luigi Piras, figlio di Sebastiano, possidente di Luogosanto, e di Giuseppina Tarantini, maddalenina. All’epoca gli abitanti dell’Arcipelago non superavano 2 mila anime e a Caprera viveva, anziano ed acciaccato, Garibaldi. Sindaco di La Maddalena era Salvatore Culiolo e parroco don Michele Mamia Addis. Luigi Piras frequentò le scuole elementari a La Maddalena. Giovinetto si trasferì a Sassari per studiare presso il Regio Ginnasio Azuni. La morte del padre interruppe gli studi e il suo desiderio di diventare medico. Rientrato a La Maddalena si impiegò presso il notaio Domenico Culiolo finché nel 1897 vinse il concorso per archivista della Regia Marina. Nel 1887 il governo Crispi aveva decretato l’istituzione della piazzaforte militare di La Maddalena e negli organici dello Stato occorrevano, oltre che militari, operai ed impiegati. Luigi sposò nel 1902 Maria Millelire, figlia di Giovanni, discendente diretta del comandante Agostino Millelire, governatore dell’Isola ai tempi della presenza di Nelson. I coniugi Piras ebbero quattro figlie. Divenuto capo archivista e nominato commendatore, Luigi Piras andò in pensione nel 1939. Morì il 16 luglio 1958, all’età di 85 anni. Luigi visse due diverse epoche di La Maddalena. Quella del piccolo villaggio di mare, dove tutti si conoscevano ed i pochi “forestieri” si integravano (anche nell’esprimersi in dialetto), e quello successivo, del prorompente sviluppo economico, demografico (la popolazione quintuplicò in pochi anni) ed urbanistico, legato allo sviluppo della piazzaforte militare. Piras amava la propria isola ed amava il proprio dialetto, appreso dalla voce della madre, dai compagni di gioco, dalla famiglia della moglie, autenticamente isolana. A scrivere versi in dialetto cominciò quando era già in pensione, negli anni 1947-48. Scriveva per sé, cantando la propria Isola e satireggiando (con un sorriso) sugli abitanti, con non rari, nostalgici riferimenti ai tempi lontani e con apprezzabili bozzetti di vita presente. Di supporto alle sue poesie ed alla prosa, Luigi Piras compilava un piccolo vocabolario, scritto a mano, frutto delle sue conoscenze e del confronto con altri anziani maddalenini. Il lavoro di Luigi Piras è apprezzabile ed importante, considerato che fino ad allora nessuno aveva fatto qualcosa del genere, o quantomeno non ci è pervenuta. Il maddalenino del Piras è lingua, parlata: sulle barche, negli orti, nelle vie e nelle case; semplice e non elaborata a tavolino, trasmessa ed udita dalla viva voce di coloro per i quali spesso era l’unica lingua conosciuta.

10 ottobre
Troviamo, forse, il primo documento relativo all’emigrazione di uno scalpellino, datato 10 ottobre 1873; nullaosta del Sindaco di La Maddalena per il rilascio del passaporto a nome di Filippini Giovanni Antonio di Carlo, nato all’Isola di San Giulio (NO), relativamente all’espatrio per l’America. Questo documento può essere considerato il più “vecchio” in ordine di tempo e rappresenta la ricerca di lavoro al di fuori dell’isola. Il Filippini viene indicato come dimorante all’isola da oltre due anni e, essendo piemontese, ci fa pensare che faccia parte di quell’imponete gruppo di scalpellini arrivati all’isola dal 1860 in poi per l’estrazione del granito. Come ben sappiamo, nel 1873, ci troviamo nella fase transitoria delle prime cave ubicate nella località Puntiglione (1860) e l’avvento dell’Ing. Giorgio Bertlin, considerato il primo industriale per l’estrazione della roccia a Cala Francese (1890).

28 ottobre

Nasce alla Maddalena Giovanni Battista Tanca; entrato giovanissimo in Marina, percorre una brillante carriera fino a raggiungere, nel 1933, il grado di Ammiraglio di squadra. Collocato a riposo il 28 Dicembre 1944, muore a Marino (Roma) il 17 Aprile 1962. Era stato Comandante Superiore Navale a Fiume quando Gabriele D’Annunzio realizzava la sua “impresa”, ed instaurava nella città adriatica una sorta di Stato personale, in guerra con tutti, anche con l’Italia. La posizione di Tanca era evidentemente molto difficile e delicata, ma era riuscito a costruire col Vate un rapporto amichevole, di cui c’è traccia nell’interessante carteggio tra i due, conservato dai discendenti dell’ammiraglio.