Correva l’anno 1874
Sappiamo che a La Maddalena vi erano 17 capanne e 81 case coperte di tegole, comprendenti 141 vani. Ogni casa aveva pertanto una media di vani 1,7. Tale media induce a ritenere che si tratti in gran parte di abitazioni monocellulari. Troviamo le prime notizie relative a Cava Francese in un libretto di memorie di un turista ottocentesco. Pietro di San Saturnino che venuto a La Maddalena nel 1874 per le “bagnate estive”, annotava tutto ciò che di interessante l’isola gli proponeva. “La Cava”, dice di San Saturnino, “di proprietà di Leonardo Borgona (in realtà Bargone), è concessa non so a quali condizioni alla Banca Italiana di Costruzioni per lo spazio di trenta anni. Essa è presieduta dal Sig. Argenti e amministrata dal Sig. Francesco Susini di Giuseppe… . Io vidi la lavorazione del granito e massi enormi preparati ad essere trasportati in Genova. Le navi approdano facilmente presso il luogo dei lavori, ma per rendere ancor più agevoli le imbarcazioni del granito, l’amministrazione intende slargare ed approfondire il seno di mare all’approdo. Il fabbricato che visitai ad uso dei lavoranti è immenso e potrebbe contenere qualche centinaio di persone. La casa riservata agli amministratori e direttori offre molti vantaggi ed e ben mobiliata ed arredata”. Ma poche persone vi lavoravano allora, forse perché le sorti della banca erano in declino e le forniture, importanti ma non numerose, destinate tutte a Genova, non consentivano uno sviluppo consistente dell’attività. Fu l’ingegnere inglese Giorgio Bertlin, di provenienza maltese, a subentrare alla Banca riuscendo ad affermare le qualità del granito di Cava Francese con forniture in varie città d’Italia (Roma, Napoli, Taranto): dopo il 1887, grazie all’istituzione della piazzaforte marittima alla Maddalena. Furono anni di lavoro intenso per il quale gli operai presenti a La Maddalena, formati dal primitivo nucleo di continentali, venuti intorno al 1887, non era più sufficiente: si assistette così ad una seconda immigrazione di lavoratori che venivano da zone ben identificabili della Toscana (Sambuca Pistoiese, ad esempio, patria della numerosa famiglia Nativi) e dalla Liguria (Levanto, patria dell’altrettanto numerosa famiglia Del Bene). Di questo secondo nucleo fanno parte i più celebri scalpellini del tempo, Merlo e margotti, veri maestri scultori, abili non solo nella lavorazione, ma anche nella creazione di forme, nella realizzazione di oggetti che i nostri più bravi scalpellini guardavano con ammirazione.
17 febbraio
Un regio decreto istituisce a Ozieri l’Istituto per l’Allevamento ippico.
19 febbraio
Una dimostrazione accesa di un folto gruppo di donne contro l’odiosa tassa sul macinato: il nuovo governo aveva stabilito che tutto il grano dovesse essere macinato presso i mulini in modo da poterne valutare le quantità e le conseguenti imposte da pagare. A La Maddalena le donne provvedevano da sole a questo lavoro, a casa loro, all’alba, usando le piccole mole a mano tradizionali: in questo modo aggiravano la norma e non pagavano la tassa. Quella mattina i carabinieri erano usciti presto dalla caserma per sorprendere le fuorilegge e ne avevano arrestato due in flagranza di reato. Ma appena la notizia si era risaputa un folto nugolo di donne si era radunato e, scendendo per la via della Pace (oggi via Goito) erano entrate in chiesa con l’intenzione di suonare le campane per protestare. Avevano trovato chiuso l’accesso al campanile e, mentre si consultavano incerte sul da farsi, era arrivato il Parroco Mamia, chiamato dalla perpetua, la bastiese Maddalena Pagnetta. Mamia aveva affrontato la situazione con molta calma, aveva detto risolutamente che campane non se ne suonavano e, alla obiezione che ai tempi del colera la cosa era stata concessa, replicava che ora la questione (che egli definiva tanto danno) poteva essere risolta dal sindaco e, quindi, le faceva uscire dalla chiesa. Ma la sua testimonianza, registrata nel verbale del processo imbastito per reato di ribellione che poteva costar caro alle donne, aveva contribuito a smorzare la drammaticità degli eventi. Al contrario della perpetua, che aveva dichiarato di essersi nascosta presso l’organo all’arrivo delle donne e di essersi precipitata di corsa (malgrado i suoi 80 anni) a chiamare il Parroco perché le aveva sentite urlare ” vendetta vendetta”, Mamia raccontava di aver trovato in chiesa solo donne addolorate che gridavano ” tutte che erano rovinate e molte di esse piangendo perché la tassa macinato era esorbitante”; giustificava la loro azione affermando “credo che quanto hanno operato quelle donne sia stato per dare una dimostrazione al pubblico del loro malcontento perché quest’anno è aumentata troppo la tassa del macinato che non possono assolutamente pagare”. Durante la discussione il viceparroco celebrava la messa in una cappella laterale e, malgrado si “fosse spaventato, la messa non fu interrotta” a dimostrazione del fatto che la contestazione non aveva avuto carattere violento. La testimonianza di Mamia fu fondamentale per derubricare il reato contestato e nessuno insistette per punire le dimostranti, neanche per le minacce e le offese proferite in quell’occasione contro i proprietari del mulino definiti “pidocchiosi, ladri e infami“.
2 marzo
Garibaldi aderisce alla “Lega internazionale della pace e della libertà”.
26 giugno
21 luglio
Una lettera inviata da Enrico Albanese, commilitone, amico e medico di Garibaldi, a sua moglie, apre uno squarcio drammatico sulle condizioni economiche di Garibaldi e sulla vita a Caprera a quel tempo. eccone alcuni stralci: “Sono a Caprera dopo sette anni di assenza…Oh come tutto è mutato, quei piccoli campi preparati con tanti stenti e con tanto amore dieci anni addietro ora sono nuovamente pieni di erbe selvatiche …. Incontro una vecchia cavalla magra, è la Marsala, poi due, tre, quattro vacche magrissime, finalmente sono presso la casa, le finestre sono tutte chiuse e vederla sembra una tomba…. Basso (il segretario di Garibaldi) mi dice: ….hai veduta l’isola. Tutto abbandonato, è una fortuna se ci trovi vivi. Si vive di caccia. Io ammazzo una capra selvatica per settimana. Non ci sono più soldi, siamo senza provviste, nessuno ci manda più nulla. Menotti, Ricciotti e Canzio hanno tutto consumato, anche con l’amore di questo povero vecchio…. Ora il generale scrive, riscrive e guadagna qualcosa da comprare il pane… Più tardi il Generale mi invita a bere il caffè con lui, si beve il caffè d’orzo. “caro Albanese, non so se vi piacerà, non abbiamo più caffè neri, siamo poveri e vi adatterete a noi” … Più tardi si va a pranzo, è tutta la capra che fa la festa. Capra in umido con cipolla, capra stufato, capra arrosto” Albanese si ritira nella sua stanza e conclude: “Solo qui ho pianto, non credevo a tanta miseria“.
22 luglio
Pietro di San Saturnino descrisse in maniera avvincente la festa della Santa Maria Maddalena, quando si usava bruciare una vecchia barca nella piazza, mentre i bambini e le bambine ballavano e saltavano intorno. Poi la messa solenne celebrata dal Parroco Don Mamia con i preti di Bonifacio giunti appositamente, che cantavano accompagnati da un organista cieco di La Maddalena. La parrocchia allora non era ricca, ed uno dei suoi proventi maggiori era il frutto della licitazione che si faceva il giorno della festa per portare la statua della Santa. Il gruppo che offriva di più aveva il diritto di portare Santa Maria Maddalena sulle spalle in processione, che si snodava fin sul porto, con benedizione del mare e rientro in chiesa per le sacre funzioni. Negli anni tra il 1860 ed il 1870, così riferisce il Vecchi, la messa domenicale era la ripetizione della messa di bordo. Alla testa del popolo il capitano di vascello Francesco Millelire (I cui discendenti vivono ancora all’isola) soprannominato Pescecane. E quando il prete all’altare aveva terminato il “Salvum fac regem”, Millelire alzava il braccio e gridava: “Viva il Re”, tutta la chiesa echeggiava del leale grido marinaresco.
1 ottobre
Il porto di Cala Gavetta era stato, nel 1886, annoverato fra quelli di quarta classe, malgrado le lagnanze del Comune che si vedeva costretto a provvedere in toto alla sua manutenzione e inoltre a partecipare alle spese per quello di Terranova Pausania (attuale Olbia). Si assisté così ad un degrado continuo, sopratutto del lato nord, insabbiato dallo scarico della vadina e quindi quasi impraticabile, ai crolli del muro a secco dei banchinamenti ad est e di conseguenza ai richiami reiterati da parte delle Capitaneria e della Sottoprefettura di Tempio verso il Comune che si dichiarava impotente. La grave situazione culminò nella delibera del 1 ottobre 1874 con la quale il Consiglio Comunale di La Maddalena si rifiutava di stanziare nel bilancio 1875 le spese concernenti la manutenzione del porto di Terranova, adducendo anche il motivo di avere “un porto conveniente nell’approdo dei vapori e grossi legni epperò gravato di due spese contemporanee”. Solo l’attività legata alla nuova piazzaforte marittima riportò pian piano in vita Cala Gavetta con la bonifica del lato nord, con l’asportazione del basso fondo, grazie ad una tramoggia di proprietà della Regia Marina, che veniva periodicamente prestata all’Amministrazione Comunale, con la sistemazione dei banchinamenti ad ovest riservati ai rimorchiatori militari e mercantili, pontoni e chiatte e quelli riservati ai bastimenti per il commercio; le barche da pesca fruivano della parte più interna.
17 ottobre